Capitolo 1: L'Eredità
La pioggia batteva sui vetri dell'auto mentre Marco guidava lungo la strada sterrata che conduceva alla villa. Le gocce scivolavano sul parabrezza come lacrime, offuscando la vista del paesaggio selvaggio che si estendeva ai lati del sentiero. Era la prima volta che si recava in quella proprietà isolata sulle colline toscane, eredità inaspettata dello zio Filippo che aveva a malapena conosciuto.
Il testamento era stato una sorpresa. Suo zio, uomo eccentrico e solitario, gli aveva lasciato quella dimora antica insieme a una lettera enigmatica: "Caro Marco, questa casa ha bisogno di qualcuno che sappia ascoltare. Tu hai sempre avuto l'anima sensibile. Spero che saprai comprendere ciò che altri non sono riusciti a capire."
Mentre l'auto si fermava davanti al cancello di ferro battuto, Marco sentì un brivido percorrergli la schiena. La villa si ergeva imponente contro il cielo plumbeo, le sue finestre scure sembravano occhi che lo osservavano. L'edera aveva preso possesso di gran parte della facciata, conferendo all'edificio un aspetto selvaggio e affascinante. I secoli sembravano aver lasciato il loro segno su ogni pietra, su ogni mattone di quella costruzione che trasudava storia da ogni poro.
Marco prese la valigia dal bagagliaio e si avviò verso l'ingresso principale. Le chiavi che l'avvocato gli aveva consegnato erano pesanti, antiche, e quando aprì la porta principale, il cigolio dei cardini riecheggiò nell'atrio come un lamento. L'odore di chiuso e di tempo lo investì, mescolato a qualcosa di più sottile, quasi impercettibile: un profumo che non riusciva a identificare, dolce e malinconico.
L'interno della villa lo lasciò senza fiato. Il salone principale si apriva maestoso, con soffitti altissimi decorati da affreschi che il tempo aveva solo leggermente sbiadito. I mobili erano coperti da lenzuola bianche che davano all'ambiente un'atmosfera spettrale, come se la casa fosse in attesa di qualcuno. Marco iniziò a scoprire i mobili uno ad uno, rivelando tesori d'antiquariato: poltrone di velluto rosso, tavolini intarsiati, una libreria che occupava un'intera parete colma di volumi rilegati in pelle.
Fu quando si avvicinò al camino che il suo sguardo fu catturato dal ritratto appeso sopra la mensola. Il dipinto raffigurava un uomo di straordinaria bellezza, dai capelli corvini che incorniciavano un volto dai lineamenti perfetti. Gli occhi scuri sembravano seguire ogni suo movimento, mentre le labbra erano atteggiate in un sorriso enigmatico e sensuale. Una piccola targa dorata in basso recitava: "Alessandro Monteverde - 1847-1870".
"Morto a soli ventitré anni," mormorò Marco, sentendo una strana malinconia pervaderlo. C'era qualcosa di magnetico in quel volto, qualcosa che lo attirava in modo inspiegabile. I vestiti dell'uomo nel ritratto erano eleganti, tipici della nobiltà del XIX secolo, e le sue mani affusolate reggevano quello che sembrava essere un libro di poesie.
Marco trascorse il resto della giornata esplorando la casa, scoprendo stanze piene di ricordi di vite passate. Ogni ambiente raccontava una storia diversa: la biblioteca con i suoi scaffali che arrivavano fino al soffitto, la sala da pranzo con il grande tavolo di mogano, le camere da letto con i loro letti a baldacchino. Scelse per sé la camera principale, quella che presumibilmente era appartenuta a suo zio Filippo.
Quando calò la sera, Marco accese il fuoco nel camino del salone e si sedette in una delle poltrone con un bicchiere di vino che aveva trovato nella cantina. Il crepitio delle fiamme era l'unico suono che rompeva il silenzio, ma a tratti gli sembrava di percepire altro: un fruscio lontano, come se qualcuno camminasse nei corridoi superiori.
"È solo la casa che si assesta," si disse, cercando di convincersi mentre il suo sguardo tornava inevitabilmente al ritratto di Alessandro. Alla luce del fuoco, il volto del giovane sembrava quasi animarsi, come se stesse per parlare.
La notte era ormai avanzata quando Marco decise di andare a dormire. Mentre spegneva le luci del salone, gli sembrò di sentire un sussurro, così lieve da sembrare immaginario: "Benvenuto a casa."
Si voltò di scatto, il cuore che batteva forte nel petto, ma il salone era vuoto. Solo il ritratto di Alessandro lo guardava dall'alto del camino, quegli occhi scuri che sembravano custodire segreti indicibili.
Quella notte, Marco dormì un sonno agitato, popolato da sogni confusi in cui corridoi bui si alternavano a voci che lo chiamavano per nome. Si svegliò più volte, sempre con la sensazione che qualcuno stesse camminando nella stanza accanto, ma ogni volta che tendeva l'orecchio, il silenzio tornava a regnare sovrano.
All'alba, quando i primi raggi di sole filtrarono attraverso le pesanti tende, Marco si alzò con una strana sensazione. La casa sembrava diversa, come se durante la notte qualcosa fosse cambiato. Scendendo al piano di sotto per preparare il caffè, notò che una delle poltrone del salone era stata spostata, girata verso il camino in una posizione diversa da come l'aveva lasciata.
Il ritratto di Alessandro lo guardava sempre dall'alto, ma ora Marco avrebbe giurato che il sorriso sulle labbra dipinte fosse leggermente diverso, più pronunciato, quasi complice.
"Forse ho solo bisogno di abituarmi," mormorò tra sé, ma nel profondo del cuore sapeva che quella casa custodiva segreti che stavano per essere svelati. E qualcosa gli diceva che la sua vita non sarebbe mai più stata la stessa.