Equivocare

549 Parole
A volte si fugge come foglie al vento, Inseguendo l’ombra di un amore spento. A volte il cuore ama chi non vede, E si nutre di silenzi, in attesa indelebile. Si cerca una mano nell’ora più nera, Un respiro amico contro la sera. Ma una parola cade – lama sottile – E il senso si spezza, ferita d’aprile. Poi il tempo rivela il suo volto sincero, Scioglie i malintesi, disegna il sentiero. Perché ogni errore, se accolto con cura, Può diventare luce, cicatrice pura. … La pioggia batteva contro i vetri del "Caffè degli Artisti", disegnando strisce lucide sul mondo grigio di ottobre. Marco fissava la tazza di caffè freddo, le dita intrecciate ai capelli neri. Fuori, la silhouette familiare di Leo attraversava la piazza sotto l’ombrello rotto, la schiena curva sotto il vento. A volte si scappa da tutto, pensò Marco. Come Leo, che da tre giorni evitava i suoi messaggi dopo una discussione assurda. Leo entrò nella caffetteria, gli occhi verdi opachi di stanchezza. Si sedette al bancone, distante. "Un espresso doppio", sussurrò al barista. Marco sentì quel vuoto come una ferita. A volte si ama chi non ti ama. Perché continuava ad aspettarlo? Perché il suo cuore batteva folle ogni volta che Leo sfiorava una tela con le dita macchiate di colore? "Possiamo parlare?" Marco si avvicinò, la voce spezzata dal timore. Leo annuì, senza sorridere. Camminarono lungo il fiume, l’acqua gonfia di pioggia rifletteva i lampioni. "Mi hai chiamato disperato," disse Leo, voltandosi. "Che tutto ciò che tocco diventa caos. È per questo che sei sparito?" Marco impallidì. A volte si interpreta male una parola. "Ho detto che la mia vita è disperata senza di te." La verità esplose come un fiume in piena. "Ti amo da quando hai dipinto quelle nuvole sulla mia anima. Ma ho paura… paura di soffocarti, di non essere abbastanza". Leo lo fissò, le labbra socchiuse. Un tremito gli attraversò le spalle. Poi, con un gesto improvviso, afferrò il collo di Marco. "Idiota", sibilò, e il bacio che seguì fu una tempesta. Sale di lacrime, pioggia nei capelli, dita che si aggrappavano alla giacca come ancore. Era un urlo senza suono, una promessa fatta con la pelle. Si ritrovarono nell’atelier di Leo, tra tele coperte e l’odore di trementina. Le mani di Marco tracciavano le costole di Leo sotto la maglia bagnata, mentre le sue labbra ne esploravano il collo, la clavicola, il polso. "Dimmi di fermarmi", mormorò Marco, il respiro un fuoco sulla pelle di lui. "Non fermarti mai", ansimò Leo, spingendolo sul divano ingombro di schizzi di colore. Fu lenta l’estasi che seguì. Vestiti strappati via come paure, corpi che si scoprivano mappa per mappa. Marco adorò ogni cicatrice, ogni curva, come fossero versi di una poesia sconosciuta. Leo si arrese sotto quelle mani, gemendo parole spezzate che erano preghiere e bestemmie. Quando l’alba bussò alla finestra, erano intrecciati in un groviglio di arti e respiri, le ferite dell’equivoco sigillate da un calore che li aveva plasmati di nuovo. "Non scappare più", sussurrò Marco, il naso sepolto nei capelli rossi di Leo. "Non c’è più posto dove andare", rispose l’altro, stringendogli il polso dove il cuore batteva selvaggio. Perché a volte, un malinteso spezzato dall’urgenza dei corpi, diventa la casa che non sapevi di cercare.
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