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Prigioniero d'amore

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Blurb

Alexander Laird del Clan scozzese degli Ullyot, dopo aver catturato il fratello del suo peggior nemico spera con quel bottino di guerra di vendicare la perdita dei compagni e di arginare le preteste degli inglesi sul confine.

Dietro la reputazione di razzino viziato di Malcolm si cela però un ragazzi fragile e solo quando lui, che da sempre cerca il modo di sfuggire all'universo di violenza e di menzogne nel quale il fratello lo tiene prigioniero a poco a poco Alexander scopre in sé il desiderio di proteggerlo e, quando i Re di Scozia e Inghilterra gli ordinano di restituire il giovane alla famiglia, si rende conto di non poter rinunciare a quella splendida creatura.

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Castello di Heathwater, nordovest dell'Inghilterra. 30 settembre 1358 Tra il reame d'Inghilterra e quello di Scozia esiste una terra chiamata la terra Contesa "Ian!" Un urlo acuto e straziante squarciò l'aria e un nome viaggiò nel vento sopra Heathwater, mentre Alexander Ullyot si strappava la giubba e si dondolava avanti e indietro sopra il corpo esanime di uno degli uomini del suo clan. Lord Malcolm Randwick lo osservava dal bosco e stentava a credere in quell'esternazione di dolore da parte del capo degli Ullyot. Quell'uomo- nato e cresciuto nella regione degli altipiani Scozzesi, figlio naturale di un re che non lo aveva riconosciuto- era noto piuttosto per la sua crudeltà e la durezza. E a Malcolm non sfuggiva il perché. Il suo volto, sotto la fredda pioggia scrosciante, sembrava essere stato intagliato nel marmo: non si poteva definire piacevole né attraente, com'è in genere il viso carico di sogni e promesse di un giovane uomo, ma consunto e provato, segnato dal pericolo e dalla tragedia. La cicatrice sulla guancia desta, visibile anche da lì, solcava il viso fino all'attaccatura dei capelli biondo scuro, conferendo durezza a un genere di bellezza che lo lasciava senza fiato. L'omega pensò che nessun guaritore con toccasana potenti come il suo sale lo avesse mai preso in cura, mentre si sistemava il mantello sotto i capelli luminosi e la spada a doppio taglio dell'uomo catturava la luce del sole. Santo cielo! Doveva stare ben attento a non farsi vedere. Si abbassò ed esaminò con attenzione le ferite sporche di fango sul braccio del nemico e sulla sua schiena. Sarebbe bastato un taglio un po' più profondo a infettargli il sangue e quella era un'opportunità che valeva la pena di valutare bene. Se quell'uomo fosse morto, infatti, il fratello di Malcolm avrebbe allentato la guardia attorno a Heathwater, il che gli avrebbe dato l'occasione di scappare. Scappare da Noel, Liam e Heathwater. Da quanto accarezzava quel sogno? Si stava già allontanando quando notò un fremito scuotere le spalle del guerriero. Stava piangendo. Il tanto odiato signore degli Ullyot, flagello delle terre di confine, causa di innumerevoli, sanguinose battaglie, piangeva portandosi alle labbra le dita del compagno morto in un ultimo, tenero gesto d'affetto. Malcolm non si mosse. L'immagine dei muscoli e della forza plasmata dalla battaglia faceva a pugni in modo sconcertante con quel dolore. Lo vide irrigidirsi, udendo un rumore giungere da sotto la valle, e imbrattarsi il viso, passandosi la mano di sporca sugli occhi. Rimase in piedi con un'espressione raggelante nello sguardo e la spada sguainata. Ecco lì il nemico visto da vicino. Un alfa le cui terre correvano un po' più a nord delle sue, lungo il confine con la Scozia, e si univano con le distese dei domini di suo fratello a ovest del fiume Esk. Il giovane omega intuì che Alexander Ullyot si era accorto di essere osservato, dato che si era messo a scrutare il sottobosco sulla collina dietro Malcolm. Poi l'arrivo di un gruppetto di uomini del clan distolse l'attenzione di laird. Malcolm poteva sentire la sua voce profonda impartire ordini, mentre i corpi dei compagni caduti venivano separati da quelli del nemico e adagiati su un carro trainato da due cavalli. Si chiese dove fosse la cavalcatura dell'uomo e la sua curiosità fu soddisfatta poco dopo, quando lo vide inclinare la testa e fischiare a un corsero nero come la notte. Sempre più impaurito, Malcolm si rintanò tra le radici degli alberi e cercò di ricordare tutto quello che aveva sentito sugli Ullyot. Ashblane. Una fortezza in pietra, alta e senza finestre; quel po' di luce che vi penetrava era oscurata da pelli luride di bestiame. Terence, il servo del fratello, gli aveva descritto la fortezza proprio dopo la morte della madre. Allora gli era sembrato che quel racconto fosse un monito e un invito ad apprezzare la propria fortuna: nessuno poteva vivere in modo più squallido di Alexander, il potente e arrogante laird degli Ullyot. I corpi erano intanto stati accatastati e brandelli rabbiosi di conversazione continuarono ad arrivargli, fino a quando il vento che si alzò li spazzò via e scostò la mantella con la quale Ullyot aveva coperto il viso dei caduti. Il tessuto non era solo sporco, ma anche intriso di sangue. Malcolm pensò che fosse a causa del braccio o della ferita profonda che gli poteva vedere sulla schiena quando si girava: i segni della battaglia con le incrostazioni rosse dal sangue rappreso. I suoi uomini si raccolsero attorno a lui, come per consolarlo. Malcolm si chiese di sfuggita chi mai potesse consolare quell'uomo. Il pensiero gli parve così assurdo che dovette soffocare una risata. Un uomo come il Lard degli Ullyot non aveva bisogno di consolazione, intimità, calore. Le chiacchiere dicevano che in vita sua quell'uomo avesse imboccato una via nella quale la solidarietà non era contemplata per nulla e per nessuno. La solitudine era il suo codice e l'odio la sua ispirazione. Osservando il cielo, Malcolm cercò di capire l'ora mentre il drappello di uomini spariva tra le colline boscose che conducevano al fiume. Non osò ancora avviarsi verso il castello di Heathwater: il sole era alto e la cresta delle colline lo proteggeva solo in parte dai uomini e sentinelle Ullyot, che di sicuro sarebbero rimasti nei paraggi fino a quando il loro clan non fosse stato visibile nemmeno in lontananza. Non cedette alla tentazione di sgattaiolare in avanti per prendersi cura degli uomini del fratello feriti sul campo; se ne rimase immobile dov'era fino a quando fu certo che se ne fossero andati tutti. Gli sembrava già di udire i lugubri rintocchi funebri della campana della cappella al castello di Noel e lo terrorizzava l'idea di ritornare a casa per vedere le madri accogliere i figli morti. Nemmeno il plaid colorato degli Ullyot copriva loro i visi, mentre la fredda e inesorabile bruma calava dalla pianure della Scozia. Un'ora dopo a Malcolm parve opportuno cominciare a muoversi e aveva appena raggiunto il filare di alberi presso il quale si era dato appuntamento con la sorellina- vestita come al solito da paggio e più al sicuro lì che a casa, a Heathwater- quando un movimento catturò la sua attenzione. Uno dei soldati degli Ullyot sbucò dal nulla e con la spada sguainata attraversò la radura gridando. La paura lo fece suo. Qualcosa sta andando storto. Malcolm poteva intuirlo anche da lontano. "Jemmie." urlò terrorizzato. Alzò la mano e qualcuno, cogliendolo di sorpresa, gliela afferrò per portargliela dietro alla schiena con un movimento forte e deciso. "Fermo, ragazzo." Nella voce profonda si distingueva l'accento delle Highlands e, quando lui si girò, tutto il suo mondo si rimpicciolì. L'uomo era niente di meno che Alexander Ullyot in persona e neppure il fruscio leggero dei passi lo aveva tradito. L'uomo lo scrutò da capo a piedi con occhi grigio argento che si strinsero quando Malcolm gli affondò le unghie della mano destra nella carne viva del braccio. "Smettetela." L'uomo lo attirò a sé con uno strattone, imprecando. Malcolm si ritrovò scaraventato fra tendini, muscoli e ossa scolpiti dalle molte battaglie e immerso nel calore e nell'odore inebriante della pura virilità. Per un attimo tutto rallentò. Sicurezza, forza, potenza. Quando mai aveva anche solo sfiorato un uomo che trasmetteva quelle sensazioni e aveva quella prestanza fisica? Gli lambi la pelle del collo con l'alito caldo e un desiderio acuto lo arse vivo. Un guerriero. Un lottatore. Un capo con l'esatta percezione del proprio valore in una terra che non offriva una seconda opportunità a coloro che non lo avevano. Malcolm avrebbe voluto appoggiargli la guancia contro il petto e chiedergli rifugio. Avrebbe voluto afferrarlo come uno scudo che protegga da un mondo incomprensibile e che Malcolm non desiderava nemmeno più comprendere. "Chi diavolo siete?" Non era di certo una bella voce. Anzi, la rabbia dell'uomo gli strappò dalle sue fantasie alla stessa stregua del sangue che gli fluiva dalla spalla e si riversava scuro sul suo braccio. Se Malcolm gli avesse rivelato la propria identità lui, con ogni probabilità, lo avrebbe ammazzato. Vertigini sfumate di rosso lo travolsero e il battito del cuore riflette il suo panico. "Chi siete?" lo incalzò lui di nuovo, mentre con la mano lo stringeva forte attorno alle spalle. Malcolm si sentì soffocare e, quando cercò di voltarsi per vedere cosa stesse succedendo a Jemmie il buio lo inghiottì. Il giovane perse l'equilibrio e precipitò nel nulla.

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