Mentre i danesi saltavano giù dai velieri, gli stivali che sciaguattavano nell'acqua poco profonda, i sassoni affollarono la striscia di spiaggia pietrosa, assestando pacche poderose sulla schiena degli alti guerrieri, stringendo le loro mani. Sorridendo, gli uomini accettarono le fiasche di sidro che venivano loro offerta dalle bruni omega sassoni e prelevarono i fumanti pasticci di carne dai vassoi che venivano passati in giro, gustandoli con autentico apprezzamento.
Ragnar percorse con lo sguardo le prue delle lunghe navi per accertarsi che fossero state allontanate a sufficienza dalla riva e non venissero trascinate via dalla marea. I sei velieri avevano trasportato più di duecento uomini attraverso il Mare del Nord. La flotta più numerosa di Harald ne avrebbe portati il doppio entro un paio di giorni, accrescendo in tal modo le loro file per formare un'armata di notevoli dimensioni che avrebbe aiutato i sassoni a liberarsi dal giogo normanno.
"Torvald ci ha procurato una locanda per questa notte." Eirik gli si avvicinò, restituendo il boccale vuoto a un ragazzo sassone. "Gli uomini possono dormire a bordo ma, per quanto mi riguarda, gradirei un soffice pagliericcio, come sono certo che lo gradiresti anche tu."
"L'età sta cominciando a farsi sentire, Eirik?" lo canzonò Ragnar.
L'altro scoppiò in una risata. "Può darsi. Comunque, dato che ne ho la possibilità, tanto vale che stia comodo." L'occhio gli cadde su un giovane sassone, il quale arrossì per l'attenzione che riceveva mentre boccali di birra. "Questa città è buona come un'altra per passare la notte." osservò, scostandosi alcune ciocche scure dagli occhi.
"Sei sposato, purtroppo." gli ricordò Ragnar, sollevando gli angoli della bocca nell'ombra di un sorriso.
"Già." convenne Eirik con aria mesta. "Ma tu non lo sei. Non avrai intenzione di rifiutare ciò che ti viene offerto, immagino."
Un impetuoso colpo di vento arruffò i capelli di Ragnar. "No, Eirik." Il senso di colpa lo assalì, scuro, bruciante. Uno stormo di oche passò al di sopra delle paludi, il collo proteso in avanti, e lui ne seguì il volo in silenzio, in preda a un violento rammarico.
"Peccato." Eirik incrociò sul petto le braccia rivestite di cuoio e portò lo sguardo sul fiume.
Non era che ciò che si meritava, pensò Ragnar, dopo quanto era accaduto a Gyda. Le condizioni di sua sorella peggioravano di giorno in giorno, era una pallida effigie della giovane che era stata, e dava l'impressione di rimpicciolirsi a vista d'occhio. Quella silenziosa presenza ossessionava le sue giornate, mentre lei gli passava accanto come un fantasma, o stava appollaiata all'estremità del lungo tavolo, chiusa in un impenetrabile mutismo. Non aveva pronunciato una parola da quando era tornata da quel maledetto paese.
"Quello che non sono mai riuscito a capire, però." continuò Eirik. "è per quale motivo Gyda abbia accompagnato Magnus in Inghilterra. Per intraprendere un'incursione così pericolosa, per giunta.
Perché gliel'ho consigliato io, pensò Ragnar. Per Thor, l'aveva perfino incoraggiata! Aveva visto quanto fosse stata innamorata di Magnus e fino a che punto i loro genitori avessero osteggiato quell'amore. Le aveva detto di andare, che avrebbe provveduto lui a fornire tutte le spiegazioni del caso. Gyda e Magnus si sarebbero sposati in Inghilterra e sarebbero tornati in Danimarca come marito e moglie. Sarebbe andato tutto bene. Invece, all'improvviso, tutto era andato storto.
Delle voci concitate a breve distanza lo riscossero dai suoi ricordi. Se ne rallegrò. Non desiderava indugiare con la mente sulla situazione della sorella più a lungo di quanto fosse necessario. Scrutò le ombre, tentando di stabilire da dove provenisse il rumore della lite. Sotto lo spiovente del tetto di un edificio, una donna stava tirando la manica di un uomo, un uomo oltremodo corpulento, la cui faccia rubizza era resa flaccida dall'abuso di sidro.
La donna stava additando freneticamente, agitando il pugno in direzione delle paludi, la voce stridula, pressante. Non erano rimaste molte persone sulla stretta spiaggia, adesso. La folla che si era radunata accanto alle navi si era allontanata, ansiosa di mostrare ai visitatori danesi i piaceri che la città era in grado di offrire, guardandoli lungo i vicoli augusti che si diramavano dalla riva del fiume. Solo Eirik, Ragnar e alcuni dei loro uomini si trovano ancora sulla spiaggia.
Alzando un pugno carnoso, l'uomo lo abbatté sull'orecchio della donna.
"Non hai diritto di parlarmi in questo modo, Vattene! Te l'ho già spiegato, andrò a prenderlo quando si alzerà la marea."
Chinandosi e coprendosi con la mano l'orecchio dolorante, la donna lo rimbeccò. "La marea si sta già alzando, stupido zotico! Il ragazzo è già immerso fino alle cosce. Devi fare qualcosa, altrimenti affogherà."
Indietreggiando con passo malfermo contro il muro di paglia e argilla dell'edificio, l'uomo alzò il boccale e mandò giù una lunga sorsata. La birra gli colò sul mento.
"Lascia che affoghi, allora! Che vuoi che mi importi?"
"Ha soccorso la piccola May, non te l'hanno detto i bambini? è per questo che si trova nel fango. Ha lasciato le assi per salvarla."
Sentendosi assalire dalla collera, Ragnar percorse la spiaggia sassosa in tre falcate. La vista di un uomo che colpiva una donna in quel modo gli riempiva la bocca di un sapore acre, causato dal disgusto.
"Vi sentite bene?" domandò alla donna, toccandole il gomito. Continuando a premersi la mano contro l'orecchio, lei lo fissò sbalordita, quindi annuì lentamente.
Mentre Eirik si avvicinava, l'uomo ubriaco alzò la testa, osservando gli alti danesi con un'espressione sfrontata e circospetta al contempo. "Questi non sono affari vostri." Si schiarì rumorosamente la gola. "Andate in città con il resto dei vostri uomini."
Intuendo di avere un alleato, la donna portò lo sguardo su Ragnar e gli tirò nervosamente la manica.
"Il ragazzo è imprigionato nel fango!" le sue guance erano incavate, incrostate di sale. "E la marea si sta alzando così in fretta che affogherà di sicuro!"
Seguendo la direzione del suo dito, lui scrutò le paludi, i ciuffi di rigida erba, lo sguardo catturato dalle profonde scanalature che solcavano la densa melma grigia. Il sole morente si rifletté su qualcosa, una spilla, o un anello, e lui fissò quel punto luminoso. Fu allora che lo vide. La sagoma di una figura maschile da cui provenivano grida disperate. L'estremità spumeggiante della marea gli turbinava intorno alle ginocchia, la donna aveva ragione. Il tempo non giocava a suo favore.
"Preleva una lunga corda da uno dei velieri." ordinò a uno dei suoi uomini che li avevano seguiti attraverso la spiaggia.
"Non avrai intenzione di andare a prenderlo, vero?" Eirik si accigliò. "Lascia che questa gente salvi i suoi compagni. Ciò che accade qui non ci riguarda, e non dovremmo immischiarci."
"Allora, in nome di Odino, che cosa stiamo facendo qui?" Ragnar sollevò le sopracciglia, due archi bronzei sotto i capelli color stoppa. "Dovremmo aiutarli a scacciare i normanni ma non possiamo salvare dal fango un ragazzo sassone? Morirà di sicuro, a meno che non facciamo qualcosa. Vuoi avere questo peso sulla coscienza?"
"No, naturalmente no." Eirik fece una smorfia, l'espressione contrita, come se si vergognasse di ciò che aveva pensato. Benché fosse di un rango più elevato di quello di Ragnar, erano innanzitutto e soprattutto amici, essendo cresciuti insieme in due proprietà confinanti, a Ribe.
"Inoltre, non sarai tu a recarti laggiù." Un muscolo gli guizzò sotto lo zigomo prominente, e un sorriso gli incurvò le labbra. "Il figlio del Re di Danimarca che sguazza nelle paludi? Tuo padre non me lo perdonerebbe mai."
"Và, allora, con la benedizione di Thor." ribatté Eirik mentre il loro uomo ricompariva con un rotolo di corda intorno al collo e al torace. "Speriamo che sia ancora vivo, quando lo raggiungerai."