George aveva la gola arida, infiammata a furia di urlare. La stanchezza gli faceva girare la testa, i pensieri gli si accavallavano nella mente in modo caotico. Incrociando le braccia al petto e circondandosi il busto, desiderò per la centesima volta di aver indossato il mantello, quel giorno, e non solo la tunica e i pantaloni.
Era gelato, tremava in modo incontrollabile, il fango che gli imprigionava le gambe e le cosce come una morsa di ferro. L'acqua salmastra gli turbinava intorno lambendogli la parte superiore delle gambe, avvolgendogli le membra ghiacciate.
A mano a mano che la marea diventava sempre più alta, il panico lo attanagliò, mettendo fine alle sue grida. A cosa serviva urlare, del resto? Nessuno stava venendo a prenderlo. Benché fosse ancora visibile nel limpido crepuscolo, la riva era deserta. Se n'erano andati tutti.
Incapace di fissare a lungo un unico punto, portò lo sguardo al di là della fangosa distesa. Delle luci guizzanti emergevano dai cottage costruiti a ridosso l'uno dell'altro che formavano la città. Un'inaudita debolezza gli pervadeva i muscoli, privandolo delle ultime tracce di energia. Aveva lo stomaco vuoto, fatta eccezione per la piccola ciotola di farinata di avena che aveva mangiato quel mattino insieme al padre e al fratello.
Il suo cervello non era in grado di formulare un pensiero coerente a causa della fame e della stanchezza, la tentazione di abbassarsi nell'acqua e di abbandonarsi minacciava di sopraffarlo.
Come se la sarebbe cavata suo padre senza di lui? E suo fratello? Il povero Marc aveva già sofferto abbastanza. La sua bellezza era stata la maledizione della sua esistenza, dato che il suo aspetto angelico catturava l'attenzione di molti alfa ovunque andassero.
Un flotto di lacrime cocenti gli sali agli occhi, rotolandole sulle guance e offuscandogli la vista. Non gli sarebbe più stato accanto per proteggerlo. Premendosi le mani tremanti contro il viso, pianse per la propria situazione disperata, per la propria impotenza, l'acqua che ormai gli arrivava alla vita, inzuppando il rozzo tessuto della sua tunica.
Benché non fosse mai stato inclina a cedere allo sconforto, in quel momento, mentre le lacrime gli scivolavano fra le dita, George era sinceramente convinto di essere sul punto di morire.
..
La esile, ondeggiante sagoma del ragazzo acquistò dei contorni più nitidi via via che Ragnar avanzava lungo la stretta asse di legna, la corda legata attorno alla vita che si allungava dietro di lui fino ai suoi uomini in piedi sulla riva.
Scintillanti ciuffi d'erba si innalzavano dalla palude, gli uccelli marini ruotavano sulla sua testa, sbattendo le ali e gracchiando come se la sua presenza li infastidisse. A metà dell'acquitrino, l'aqua gli lambi gli stivali, ammassandosi spumeggiando intorno alle sue caviglie. Si lasciò sfuggire un'imprecazione. Il cuoio avrebbe tardato un'eternità ad asciugarsi.
Alzò la testa di scatto, rendendosi conto all'improvviso che le grida del ragazzo erano cessate. Lo aveva visto? Poiché, in tal caso, avrebbe sentito rinascere la speranza.
George però stava immobile con le mani sul viso, l'impetuosa corrente alle sue spalle. portava un anello d'argento che si illuminava sotto il sole, e quello che aveva attirato il suo sguardo.
"Ehi!" lo chiamò. "Ehi, voi! Sto venendo a prendervi." Gli disse in sassone. Si aspettava che lui si togliesse le mani dal viso, che alzasse lo sguardo e lo vedesse. Invece il ragazzo non si mosse, continuando a coprirsi il viso con le mani, come se non lo avesse udito. Il che ovviamente non era da escludere, considerato il frastuono prodotto dagli uccelli. La sua tunica come i pantaloni erano strappati in alcuni punti.
Ragnar sospirò. Uno qualsiasi dei loro uomini avrebbe potuto tirarlo fuori da lì. Tuttavia, sapeva cosa lo aveva spinto ad accorrere di persona: lo stesso impulso che lo induceva a gettarsi a capofitto nel folto della mischia durante una battaglia, sempre davanti agli altri, facendo roteare con abile violenza l'ascia sopra la testa. L'incessante irrequietezza della sua anima, il senso di colpa che lo torturava per ciò che era accaduto a sua sorella. Il corpo e la mente che non trovavano mai pace, in preda a una costante, inesauribile energia.
Quando infine lo raggiunse, l'acqua gli arrivava alle ginocchia. George non alzò lo sguardo. Non lo aveva sentito avvicinarsi? Divaricando le gambe per tenersi in equilibrio, Ragnar rimase sull'asse, il ragazzo a un paio di piedi di distanza da lui, la tunica che fluttuava intorno investito dalla marea. "Datemi la mano!" gli gridò.