Il cuore di Simone martellava in petto come se volesse schizzare fuori dal suo corpo, scappare da quella presenza impossibile; eppure, magnetica che aveva invaso la scena. Tommaso – o il suo spettro, il ricordo reso carne e desiderio dal buio del San Carlo – lo fissava con occhi accesi e nervosi, una luce febbrile che vibrava tra le ombre dorate delle quinte.
Il teatro sembrava trattenere il respiro. Nulla si muoveva, nessun rumore oltre quello dei loro respiri intrecciati, lievi ma profondi come l’eco di un mare antico. Attorno a loro, le file di poltrone addormentate e i vertiginosi palchi sospesi componevano un Colosseo muto, dove la sfida in atto era fatta di sguardi, silenzi e una tensione tagliente.
Tommaso si avvicinò, e ad ogni passo pareva guadagnare consistenza: una camicia sottile, i pantaloni neri aderenti come una seconda pelle, il corpo che trasudava l’eleganza e la potenza dei grandi artisti. I suoi capelli d’ebano cadevano in morbide ciocche spettinate sulle spalle affilate, e le mani, belle e forti, si muovevano con una grazia pericolosa. Non aveva l’aspetto di un fantasma, bensì la fisicità concreta di qualcuno che nel corpo aveva vissuto la passione fino all’ultimo respiro.
“Nessuno può capire questo palco meglio di chi, come me, ci ha danzato per anni. Ma ora tu vuoi prenderti tutto, vero?” disse con voce vellutata e pungente allo stesso tempo.
“Non voglio rubare nulla… Solo ciò che ho conquistato,” replicò Simone, stringendo le dita attorno al bordo del palcoscenico come per assorbirne la forza. Nei suoi occhi brillava un orgoglio vulnerabile, il coraggio di chi sa di dover combattere non solo per sé stesso ma per tutto ciò che lo ha reso uomo e artista.
Tommaso sorrise, un sorriso antico e affilato, che sa di sfida e invito insieme. “Allora dimostralo. Con la danza, non con le parole.” Fece un gesto secco con la mano, come se impartisse un ordine alle mura stesse: e all’improvviso, dal nulla, una musica ovattata sbocciò nell’aria densa. Un valzer lento e sensuale, nato dall’eco dei secoli e riflesso dalle pietre, si diffuse tra le ombre creando un’atmosfera soprannaturale. Era come se il San Carlo avesse memoria di tutte le sue notti magiche e, per loro, avesse deciso di riaprirle.
La sala sembrava vibrare: le ombre si allungavano sul pavimento lucido, la luce tremolante delle lampade di sicurezza tracciava arabeschi sulle colonne e sulle statue, mentre il sipario rosso diventava, nell’immaginazione di Simone, la cortina tra il mondo dei vivi e quello dei sogni.
Tommaso si portò al centro della scena. La postura era nobile, i muscoli tesi sotto la seta, la bellezza cupa degli occhi puntata su Simone come un faro. “Voglio vedere la tua passione, il tuo abbandono. Dimostrami che hai più cuore di me, che puoi incendiare queste vecchie mura con la tua arte.”
Simone si avvicinò, con un misto di paura e desiderio. Si tolse la tuta da esercizio e rimase nei pantaloni della prova, la pelle ancora umida di sudore e brividi. Non era più solo bravura tecnica quella che doveva mettere in campo: serviva ciò che aveva temuto di mostrare da sempre, la parte fragile, furente e autentica di sé stesso.
Il valzer montava, struggente. Simone chiuse gli occhi un istante, lasciando la musica scivolargli sotto la pelle. Poi si mosse. Ogni gesto, ogni passo era una dichiarazione d’intenti: salti plasticosi, giri che fendono l’aria, braccia che si aprono come porte su mondi sconosciuti. Tommaso gli girava attorno, spettatore e giudice, lo provocava con lo sguardo, accennava movimenti che erano promesse di una danza a due.
Un istante dopo, fu Tommaso a entrare nel suo cerchio: i loro corpi sfiorarsi con una precisione quasi crudele. Entrambi danzavano, ma era una sfida: port de bras che diventano accenni di duello, piroette dove basta un niente a sfiorarsi, a graffiarsi il cuore.
Il palco vibrava sotto di loro mentre i movimenti si intensificavano: Simone sentiva addosso lo sguardo del rivale, ma anche l’ammirazione silenziosa di generazioni di fantasmi. Ricordava le notti da bambino in galleria, la fame di emozioni che lo aveva spinto fino a lì. Adesso però era il suo corpo a parlare, nudo nella sua vulnerabilità, esploso nella sua forza. Più danzava, più sentiva che la scena stava cambiando: il peso delle attese cadeva, restava la pura energia della sfida e del desiderio.
Quando la musica si fermò di colpo lasciando solo il battito dei loro cuori, Simone e Tommaso si fermarono, vicinissimi. Bocca contro bocca, respiro contro respiro. E il palcoscenico, per la prima volta, approvò silenziosamente: fra quei due uomini, la passione e la danza erano diventate un’unica, vertiginosa preghiera.
La notte non era che all’inizio, e la sfida fra vivi e ombre si era appena trasformata in un preludio ardente di qualcosa di molto, molto più profondo.