Capitolo 3 – L’apparizione

445 Parole
Il passaggio dal calore intenso della prova alla gelida sospensione del palcoscenico fu quasi impercettibile. Simone stava ancora danzando immerso nella penombra, quando un’improvvisa sensazione di disagio gli fece rallentare il passo. Il battito del suo cuore riempiva il silenzio; anche la musica nella sua mente sembrava essersi interrotta, lasciando solo il fruscio lontano delle quinte, come respiri trattenuti tra le mura antiche. Qualcosa, o qualcuno, stava osservando. Riaprendo gli occhi, Simone fissò le ombre proiettate dalle luci di sicurezza. All’inizio gli parve solo un inganno della mente stanca: una sagoma più scura delle altre, appena al bordo del palco, lì dove il sipario cadeva in pieghe pesanti. Ma l’ombra si fece lentamente più nitida, guadagnando spessore e dettagli – un movimento appena percettibile, una postura troppo composta per essere frutto del caso. Simone trattenne il fiato, il sudore gelido sulle tempie. L’uomo davanti a lui era alto, con lineamenti perfetti incisi dall’ombra e uno sguardo che sembrava brillare di luce propria nel buio. I capelli scuri sfioravano le spalle; dal portamento, elegante e sicuro, si leggeva una conoscenza profonda del palcoscenico, come se quelle assi fossero tuttora la sua casa. “Non dovresti essere qui.” La voce era calda, profonda, con una musicalità antica che parve far vibrare l’aria. Simone tremò, la lingua secca. “Chi… chi sei?” sussurrò, incapace di distogliere lo sguardo. L’uomo avanzò senza produrre alcun suono, i movimenti morbidi e felini. “Tommaso Benedetti. Questo palco mi apparteneva, prima che tu nascessi.” Il nome aleggiò nella mente di Simone, risvegliando ricordi sbiaditi di leggende sul teatro – storie di un ballerino prodigioso, salito tra i miti dopo essere caduto tragicamente durante una recita di Romeo e Giulietta, più di cinquant’anni prima. L’atmosfera si caricò di echi e misteri, come se il San Carlo stesso – teatro più antico d’Europa e scrigno di innumerevoli segreti – avesse risvegliato uno dei suoi più celebri fantasmi solo per mettere Simone alla prova. Le statue, i velluti, i palchi proiettavano ombre lunghe. Ogni dettaglio dell’ambiente – la perfezione dell’acustica, gli specchi dorati studiati per riflettere il palco reale, i legni che avevano sostenuto generazioni di artisti – sembrava attendere, in silenzio, la risposta di Simone. “Fino a quando sei morto”, sussurrò infine Simone, quasi senza rendersi conto di parlare. E fu allora che lo sguardo dell’apparizione si accese in uno strano misto di malinconia e orgoglio. Sentendo il respiro spezzato dal timore e dall’ammirazione, Simone restò immobile. Sapeva, ora, che la storia della notte era entrata davvero nel territorio del mito – e che nulla sarebbe più stato come prima, per lui e per il Teatro San Carlo.
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