"Afoso Meriggio"

635 Parole
Il sole batte contro i vetri, una lama dorata che mi trafigge le palpebre. Mi sveglio – no, qualcosa mi estrae dal sonno: una voce, un eco che mi chiama attraverso la coltre dell’afa. Forse è questo il segno, l’attimo in cui credere in qualcosa più grande del sudore, delle strade che si piegano al calore. Mi sollevo. La gente cammina, corpi evanescenti nell’aria tremula, mentre io resto qui, a bruciare di domande. Oneshot BL: "Bagnato dal Sole" La prima cosa che sentì fu il caldo. Edoardo si svegliò con un respiro strozzato, la camicia del pigiama incollata al petto. Il ventilatore girava inutile in un angolo, spostando aria bollente da una parte all’altra della stanza. Fuori, il sole di agosto martellava Milano, riducendo l’asfalto a uno specchio liquido. Stava per alzarsi quando la voce lo inchiodò al materasso. "Non ti muovere." Un brivido gli corse lungo la schiena, nonostante i trenta gradi. Quella voce – roca, familiare, pericolosa – non l’aveva sentita da due anni. "Gabriele?" Si girò lentamente. Gabriele era seduto sulla sedia accanto al letto, i piedi nudi appoggiati al materasso, i capelli neri umidi di sudore. Indossava solo un paio di pantaloncini strappati e quel sorriso tagliente che faceva impazzire Edoardo al liceo. "Ciao, principino." Edoardo deglutì. L’ultima volta che si erano visti, Gabriele gli aveva spaccato il naso su un campo da basket. E ora era nella sua camera. Con la sua chiave. "Che cazzo ci fai qui?" Gabriele si sporse in avanti, i gomiti sulle ginocchia. "Dovevo vederti." Una goccia di sudore gli scivolò lungo il collo, fermandosi sulla clavicola. Edoardo la seguì con gli occhi. "Due anni di silenzio, e ora decidi che…" "Hai scritto quella roba su di me." Gabriele estrasse un foglio dalla tasca dei pantaloncini – la poesia che Edoardo aveva pubblicato sul giornalino dell’università. "‘Giornata afosa’. Sai che sono io, vero? Il ‘suono’ che ti sveglia. La ‘voce’." Edoardo arrossì. "Non è così." Gabriele rise, un suono basso che fece vibrare l’aria. Poi, con un movimento felino, gli fu addosso, un ginocchio tra le sue gambe, le mani che gli bloccavano i polsi. "Bugiardo," sibilò. "Mi hai cercato in ogni riga." Il bacio fu una dichiarazione di guerra. Gabriele lo divorò, i denti che gli mordevano il labbro inferiore, la lingua che gli invadeva la bocca con una furia che fece gemere Edoardo. Era diverso dal liceo – più adulto, più consapevole. E mille volte più pericoloso. "Odio... quanto ti voglio ancora," ansimò Edoardo, le dita che si aggrappavano ai suoi fianchi. Gabriele gli strappò la camicia, i bottoni che volarono via. "Lo so." Le labbra gli percorsero il collo, i denti che affondavano nella carne. "Per questo sono tornato." Edoardo lo rovesciò sul letto, la rabbia e il desiderio che esplodevano in un groviglio di corpi sudati. Le mani di Gabriele erano ovunque – nei suoi capelli, sulla sua schiena, dentro i suoi boxer – mentre Edoardo gli mordeva il petto, lasciando un livido a forma di mezzaluna. "Fammi sentire che sono ancora tuo," ordinò Gabriele, slacciandosi i pantaloncini con gesti frenetici. Edoardo non rispose. Lo prese per i polsi e lo girò a pancia in giù, il viso di Gabriele che affondò nel cuscino. Non c’era delicatezza in quel che fece dopo – solo bisogno, rabbia e un amore che non era mai morto, solo sepolto sotto strati di orgoglio. Gabriele urlò quando Edoardo lo penetrò, asciutto, crudele, perfetto. Le unghie gli graffiarono le lenzuola, la schiena che si inarcava sotto ogni spinta. "Così... cazzo, così!" singhiozzò, i muscoli che si contraevano intorno a Edoardo. Fuori, la città continuava a bruciare. La gente camminava, ignara. Ma in quella stanza, tra lenzuola strappate e sudore, due anime si riunivano nell’unico modo che conoscevano: Con il fuoco. Fine.
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