06. SCHOOL PROJECT (once again)

1851 Parole
Era passata una settimana dal trasferimento, di cui quattro giorni dall'inizio del suo lavoro al The Judge e in generale William poteva dirsi soddisfatto. Aveva stretto amicizia con Luke, James e Kyle (non era proprio amicizia, era un po' il trovarsi bene con loro ma l'avere il tarlo continuo che lo torturava ricordandogli che non sarebbe rimasto lì per sempre e prima o poi avrebbe perso anche loro) e inoltre tra lui ed Edward sembrava esserci davvero la possibilità di un'amicizia. Era diffidente, perché sette giorni non erano nulla, ma al tempo stesso ci sperava. L'indomani, oltretutto, sarebbe stato il suo ultimo giorno di lavoro, come prova, e sperava che Michael l'avrebbe assunto. Aveva bisogno di quel lavoro. Ma era quasi sicuro che sarebbe andata bene, inoltre Edward continuava a complimentarsi con lui per il modo in cui svolgeva il suo lavoro, quindi non poteva fare così schifo, no? D'altra parte, trovare tempo per lo studio era difficile, soprattutto dato il fatto che usciva da scuola alle due e trenta o un'ora dopo, quindi svolgeva i compiti nella pausa pranzo (spesso con l'aiuto di quelli che erano divenuti ormai i suoi tre compagni di tavolo) e nelle due ore scarse che separavano la fine delle lezioni con l'inizio del turno al Fast Food. Ma non si lamentava e aveva fatto turni peggiori, come quelli notturni al bar sotto casa sua, in Canada. Stressante e soprattutto, molto pesante. «William, tesoro, dove vai?» interruppe i suoi pensieri Nadine, notandolo attraversare la cucina con lo zaino in spalla. Era appena rientrato da scuola e oltre al non voler stare un minuto in più in quella casa, aveva anche fretta dato che si era addormentato sui compiti e doveva essere a casa di Edward alle quattro. Erano le quattro e mezza. Alzò lo sguardo sulla madre mentre apriva la porta e sbuffò, «Ti interessa davvero o vuoi solo essere sicura che porti qualcosa per cena?» chiese, breve e coinciso. Non voleva iniziare una discussione, ma era ovvio che la madre non si stesse davvero preoccupando per lui. Nadine non rispose e William annuì pressando le labbra in una linea dura, «Come sempre.» affermò deluso, uscendo poi dalla casa senza dare una risposta soddisfacente alla donna. Scese velocemente le scale e sentì il cellulare suonare nella sua tasca, per l'ennesima volta. Rispose distrattamente, sapendo già chi fosse il mittente della chiamata. «Dove cazzo sei finito?» ecco, appunto. Sbuffò affrettando il passo (non che le sue gambe minuscole aiutassero, accidenti) e si sistemò meglio lo zaino blu sulle spalle, «Sto arrivando, ho avuto un contrattempo.» si scusò, svoltando verso la fermata dell'autobus e notando il mezzo in fondo alla strada. Bene, aveva perso l'unico pullman disponibile e stava pure cominciando a piovere. Voleva piangere, seriamente. «Un contrattempo che ti farà arrivare alle?» chiese Edward, dall'altra parte del telefono. «Le...» William si fermò per controllare gli orari e sgranò gli occhi, «...sei meno un quarto?» affermò, facendo sembrare la frase una domanda. Il riccio imprecò, «Se prenderemo una F ti perseguiterò a vita, Spencer. Vuoi dire che devo aspettare un'altra ora oltre la mezz'ora in cui hai palesemente ignorato chiamate e messaggi? Ho voglia di ucciderti.» aggiunse poi, scocciato. William si guardò intorno e poi si sedette sulla panchina della fermata per evitare di bagnarsi più di quanto già non lo fosse, «Non è colpa mia se ho perso l'autobus, Edward.» si giustificò, guardandosi le unghie e facendo una smorfia; doveva tagliarle. «Vuoi dire che dovresti aspettare il prossimo autobus? Non puoi semplicemente chiedermi di venire a prenderti?» sentì un tonfo, una porta sbattere e qualcosa tintinnare. Edward stava probabilmente andando a prenderlo. Wow, chi l'avrebbe mai detto. «Non volevo disturbarti e poi ti sembra normale che chieda a un ragazzo che conosco a malapena da una settimana di venire a prendermi perché non ho una macchina? Oltretutto per darmi un passaggio a casa sua. Roba da pazzi.» disse William, allontanando il cellulare dall'orecchio quando Edward gridò l'ennesima parolaccia, probabilmente rivolta all'auto. «Sei una paranoia vivente. Mandami l'indirizzo, arrivo.» disse sbrigativo, chiudendo la chiamata. William si sporse e copiò nel messaggio il nome della via per poi inviarlo e ringraziare il fatto di trovarsi alla fermata e non a casa sua. Sarebbe stato imbarazzante ritrovare Edward davanti al palazzo sudicio e vecchio in cui abitava. Passarono alcuni minuti prima che vedesse un'auto fermarsi davanti a lui e il finestrino abbassarsi, mostrando i ricci scompigliati di Edward che il ragazzo scompigliò ancora di più per lo stress, probabilmente. «Mr Spencer.» lo salutò Edward, adocchiando poi i suoi vestiti bagnati e ridendo, «Sembri un pulcino spelacchiato, oh e anche bagnato.» lo prese in giro. William alzò gli occhi al cielo ed entrò in auto maledicendo la pioggia, «I sedili sono lucidie io sembro una nuvola per tutta l'acqua che ho addosso, mi dispiace.» si scusò, poggiando lo zaino sul tappetino davanti al sedile e allacciando la cintura mentre Edward riprendeva a guidare. Il riccio in questione gli diede un'occhiata veloce e alzò le spalle, «Hanno visto di peggio.» disse semplicemente. William lo guardò, «Tipo?» chiese curioso. Edward rise, «Vomito.» affermò poi divertito. D'accordo, cosa c'era di così divertente nel vomito sui sedili? Se fosse successo a William (sempre se avesse avuto una macchina) probabilmente avrebbe dato di matto. «Ew, che schifo, Edward.» borbottò schifato. Il riccio alzò le spalle, «Comunque la prossima volta chiamami se hai problemi nel venire, non è un problema venirti a prendere, oppure potresti tornare direttamente a casa con me, per evitare perdite di tempo o di addormentarti sul libro un'altra volta.» lo prese in giro. Ancora. William lo stava per picchiare, davvero. «Non mi sono addormentato e si mi sembra un'ottima idea.» per evitare di stare troppo tempo a casa, avrebbe volentieri aggiunto, ma poi sarebbero nate domande e no grazie, non gli andava di urlare la sua storia schifosa ai quattro venti e ricevere compassione. «Hai la faccia che porta i segni di chi si è chiaramente addormentato, non mentirmi William.» lo sfotté Edward, parcheggiando davanti ad una villetta a piano terra. William guardò la casa curioso e scese dall'auto, dimenticandosi per un attimo della pioggia e borbottando quando venne investito dall'acquazzone. Edward chiuse l'auto e gli fece cenno di seguirlo, tenendo il cappuccio della felpa grigia che indossava sollevato, per evitare di bagnarsi ancora di più. William, che, come al solito, era molto fortunato e portava un giubbotto senza cappuccio e sotto una semplice maglietta a maniche lunghe, peggiorò la situazione, diventando tutt'uno con l'acqua. Entrò in casa grondante e decise di stare fermo nell'ingresso, tanto per evitare di sporcare il pavimento bianco. «Vieni o no?» lo richiamò Edward, togliendosi le scarpe e lasciandole davanti all'entrata. William lo guardò ovvio e indicò i propri vestiti, «Potrei allagare la casa ora come ora.» borbottò, togliendo a sua volta le scarpe. Il riccio gli afferrò poco delicatamente il polso e lo trascinò lungo il corridoio, per poi aprire la porta di quello che William capì essere il bagno, «Entra, ti porto dei vestiti.» ordinò sbrigativo il riccio, sparendo poi in una delle altre porte del corridoio che doveva essere la sua stanza. William era davvero curioso di vederla, si diceva che dalla camera di una persona si potessero capire molte cose. In che modo non lo sapeva. Ma sperava di capire meglio la personalità di Edward. «Dovrebbero andarti, preparo qualcosa da mangiare intanto.» lo distrasse proprio quest'ultimo, passandogli dei vestiti puliti e uscendo poi dal bagno accostando la porta. William guardò i vestiti tra le sue mani e alzò le spalle spogliandosi e cambiandosi velocemente, constatando che: a) i pantaloni della tuta erano lunghi ed aveva dovuto fare tre risvolti per riuscire a tenere i piedi fuori dalla stoffa, b) navigava dentro la felpa nera e non riusciva a tenere fuori le mani, c) sembrava una sorta di nano o qualcosa di simile. Scosse la testa e indossò le calze, poggiando i suoi vestiti da parte ed uscendo dal bagno, seguendo il corridoio dal quale era entrato e trovando poi la cucina, notando Edward intento a versare del the in due tazze. «Non avevamo perso troppo tempo?» chiese, sedendosi in uno degli sgabelli posti davanti all'isola della cucina moderna e bianca. Edward gli porse una tazza e si sedette davanti a lui, «Per il the c'è sempre tempo, e poi guarda, sono le cinque, se vivessimo in Inghilterra sarebbe obbligatorio berlo e mangiare biscotti.» si giustificò, facendo notare a William il vassoio di dolci tra loro. Quest'ultimo rise e ne prese uno mordendolo, «Grazie comunque, per tutto.» disse poi sinceramente. E non era solo per quel giorno, ma in generale. Da quando era arrivato, Edward non aveva fatto altro che aiutarlo e si sentiva bene quando stava con lui. Certo, c'erano i momenti in cui non riusciva a decifrare qualche sorriso o delle affermazioni strane, ma era quasi felice quando stavano insieme. Era possibile? Soprattutto con una persona che conosceva da soli sette giorni? «Non devi ringraziarmi, te l'ho già detto più volte.» ribadì Edward. Non accettava mai i suoi ringraziamenti, come se pensasse di non meritarli. Ecco un'altra cosa che William non capiva. «Abituati, continuerò a farlo.» ribatté, sorridendo e bevendo mentre «Questo vuol dire che credi farò altre cose carine per te?» chiese il riccio, facendogli andare il the di traverso per l'imbarazzo e provocandogli dei colpi di tosse. Edward scoppiò a ridere e scosse la testa, «Probabilmente le farò, si.» affermò poi, finendo di bere il the e ghignando divertito. William lo maledisse nella sua testa e poi finì a sua volta di bere, poggiando la tazza. Edward la ritirò, prima di «Ora muoviamoci, prima cominciamo e prima finiamo questo progetto.» incitarlo, andando in camera. E no, William non aveva capito proprio nulla dalla camera di Edward, se non che aveva una fissa per le foto e per le date scritte sotto le polaroid. Oltre le cose principali che una camera ha, c'era una libreria che piuttosto che portare libri nei vari piani, era occupata da diverse macchine fotografiche; un solo piano era riservato ai libri, di scuola oltretutto. Le pareti erano semplicemente bianche e le varie polaroid erano sparse qui e là, spiccavano così tante date che William stava per impazzire a causa di tutti quei numeri. «Ti piacciono?» chiese Edward, notando il suo sguardo interessato alle foto. William annuì appena, «Hai una camera figa.» si complimentò, prima di sedersi accanto a lui sul letto. Edward gli sorrise come per ringraziarlo e poi incrociò le gambe e prese il computer, picchiettando lo spazio accanto a lui nel letto a due piazze. William si schiarì la voce imbarazzato e imitò la sua posizione spostandosi accanto a lui. «Oltre internet dovremmo anche fare un salto in biblioteca le prossime volte, tanto per fare un buon lavoro. Se quest'anno non avrò una pagella decente i miei mi manderanno in qualche collegio o schifezze simili.» lo informò Edward e William si limitò ad annuire in accordo. Tutto quello sembrava così naturale, come se si conoscessero da una vita. Ma si sa, spesso pensiamo di conoscere una persona che in realtà non conosciamo affatto.  
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