03. NEW JOB

1959 Parole
Appena le lezioni terminarono William uscì da scuola ripensando ancora a quanto accaduto prima. Probabilmente era stato uno sbaglio rispondere affermativamente a Edward, ma il suo cervello e la sua bocca non avevano collaborato. Se avesse rifiutato il riccio magari si sarebbe incazzato e addio tranquillità a scuola. Inoltre, era più che certo che mai lo avrebbe considerato e che quello fosse solo uno stupido scherzo fatto tanto per sparlare del nuovo arrivato con i suoi amici fighi. Ma forse aveva troppi pregiudizi sulle persone dato che a lui Edward non aveva fatto nulla. D'accordo, giravano voci, ma si sa che non bisogna mai credere del tutto alle voci di corridoio, lui ne era la prova vivente. In ogni caso, tutti i suoi pensieri sul fidarsi o non fidarsi, svanirono nel nulla quando, entrando nell'appartamento che aveva affittato (grazie ai soldi di Fabian, come al solito), trovò sua madre intenta a strusciarsi contro un uomo che era il doppio di lei. Li ignorò, dato che neanche sembravano averlo visto, e superò quello spettacolo imbarazzante e schifoso entrando in camera sua e chiudendo a chiave, in caso ai due fosse venuta la geniale idea di trasferirsi nella sua stanza per una sana scopata. Non sarebbe stata una novità, era successo più volte durante gli anni. Poggiò lo zaino quasi vuoto e si sedette sul letto controllando distrattamente l'orario sul cellulare. 14.30. Avrebbe fatto in tempo a darsi una ripulita, prendere l'autobus delle tre per arrivare in periferia e mangiarsi qualcosa, dato il pranzo scarso (un succo) fatto poche ore prima. Era inutile e improponibile restare a casa, sia per la compagnia poco simpatica, sia per il fatto che nonostante fossero lì da quasi una settimana il frigo fosse rimasto vuoto. Si alzò nuovamente dal letto, capendo che non avrebbe potuto rilassarsi a causa dei pensieri riguardanti il dover fare la spesa e pagare alcune bollette, trovare un lavoro e comprare gli altri libri di testo e chi più ne ha più ne metta. Doveva decisamente smettere di pensare. Raccolse i primi vestiti che trovò nella valigia, dei boxer ed entrò nel piccolo bagno, azionando l'acqua per far sì che si scaldasse e spogliandosi nel frattempo. Gettò in una cesta i vestiti sporchi e fece per entrare nella doccia, saltando indietro non appena notò che nonostante fosse predisposta l'acqua calda, al massimo, questa fosse invece gelata. «Porca puttana, mamma!» gridò, mettendo i vestiti presi poco prima dalla valigia e raggiungendo la madre in cucina, fregandosene del suo essere o non essere venuta durante l'amplesso col primitivo sotto di lei. «Oh, tesoro! Ti ho già presentato Johnny?» chiese Nadine, con voce strascicata, rischiando di bruciare i lunghi capelli castani con la sigaretta che teneva goffamente tra le mani. William rimase in silenzio guardando la donna che l'aveva messo al mondo con una voglia assurda di farle male quasi quanto lei ne stava facendo a lui. Spesso non capiva come potesse continuare a sopportare tutto quello. «Perché non c'è più acqua calda?» chiese, stizzito, ignorando la presentazione del tipo che guardava interessato una siringa. Cristo, sul serio? «Amore, saluta! Non essere maleducato, ti ho insegnato-» William rise freddamente e tornò in camera, recuperando lo zaino e gettandoci dentro il portafoglio e il cellulare, con i libri della lezione del giorno dopo; avrebbe studiato qualcosa durante il pranzo. Uscì poi dalla stanza scompigliandosi i capelli (tanto peggio di come erano non avrebbero mai potuto essere) e aprì il portone d'ingresso, «Non so quando torno.» disse a mo' di saluto, uscendo e chiudendosi la porta alle spalle. Si fermò subito dopo guardandosi la punta delle scarpe e cercando di stare calmo, di non scoppiare e cercare di tenere duro. Mancava poco, tra quattro mesi circa avrebbe compiuto diciotto anni e sarebbe stato indipendente (nonostante già lo fosse), avrebbe potuto rifarsi una vita, rilassarsi. Era sempre combattuto sul lasciare casa o restare. Lasciare significava ricominciare da zero, solo e libero, ma al tempo stesso avrebbe abbandonato sua madre al suo destino. Sarebbe sicuramente finita male, ne era certo. Ma cosa poteva fare? Rovinarsi la vita per una persona che non teneva, evidentemente, neanche un po' a lui? Dannazione, no. Bastava suo padre. Eppure, ogni volta che pensava alla sua libertà, il pensiero di sua madre abbandonata a sé stessa lo tormentava. Non sembrava esserci una via d’uscita. Voleva essere indipendente per andarsene ma quella situazione tragica lo attirava e si sentiva responsabile per lei. «D'accordo. Va tutto bene.» si disse sottovoce, camminando fino alla fermata dell'autobus e sedendosi, passando i minuti successivi a pensare a quanto successo prima. Non si era manco potuto fare una doccia prima di uscire nuovamente. Non che puzzasse o cose simili, ma uno dei suoi tanti vizi era farsi la doccia almeno due volte al giorno. Si sentiva costantemente sporco, come se la madre e tutto l'uragano che era la sua vita, lo rendessero lurido. Forse era una sua paranoia o forse anche gli altri lo vedevano, c'era chi per pena non diceva nulla, chi gli parlava pensando di fare un gesto di carità e chi semplicemente si faceva gli affari propri e viveva la sua vita senza preoccuparsi degli altri. Perché in fondo, tutti sanno che la storia del "tu sei speciale" è una cazzata. Nessuno è speciale, siamo tutti esseri umani, uguali. Cosa ci differenzia? Qualche caratteristica genetica? Oh, per favore. William non si era mai sentito speciale, non aveva mai pensato di valere più di un sasso, se proprio doveva essere sincero. Chi piange o tiene a un sasso? Le persone lo calciano a tempo perso. Salì sull'autobus appena questo arrivò, tre precise, e si sedette in un posto a caso, ringraziando il fatto che il viaggio fosse durato solo pochi minuti, o sarebbe ricaduto nei soliti pensieri depressi. Scese poco dopo e si guardò intorno confuso. Doveva ancora abituarsi all'ambiente di Beckley. Di certo non era una cittadina paragonabile a New York, ma era comunque qualcosa di nuovo per lui. Non che vivere in Virginia fosse uno dei suoi sogni nel cassetto, ma dettagli. Cominciò a camminare sul marciapiede alla ricerca di un posto dove mangiare e gli si illuminarono gli occhi quando l'insegna lampeggiante di un fast food gli comparve davanti. Corse, quasi, entrando dentro come una furia e sedendosi al primo tavolo disponibile. Sembrò accorgersi solo in quel momento, avvolto dall'odore di cibo, di quanta fame avesse. «Papà, ti prego! Solo quindici dollari.» sentì dire e alzò la testa di scatto, quasi come richiamato dalla voce appena sentita. Si, quello era decisamente Edward. Perché se lo ritrovava ovunque andasse? Dannazione. Una cameriera lo distrasse dal seguire la discussione tra Edward e quello che dedusse fosse il padre. Ordinò un panino e delle patatine, seguiti da una coca cola, sorridendo alla cameriera che si allontanò promettendo di tornare subito con la sua ordinazione. Prese il cellulare dallo zaino e lo sbloccò, notando un messaggio di Fabian che gli chiedeva come stesse andando. Sorrise istintivamente e fece per rispondere quando un tonfo davanti a sé lo fece sobbalzare. «Mi segui per caso?» chiese la solita voce. Poggiò il cellulare sul tavolo e alzò lo sguardo notando Edward che, con la schiena poggiata allo schienale del divanetto e le braccia incrociate davanti al petto, lo fissava interessato ad una risposta. «Potrei farti la stessa domanda.» ribatté con tono atono. Non era dell'umore per scherzare o preoccuparsi di cose come i bulletti del paese, erano problemi totalmente insignificanti a confronto della sua mancanza di soldi. «Il The Judge è di mio padre, posso stare qui quanto voglio. La tua scusa, cucciolo smarrito?» si giustificò il riccio, senza scomporsi. William indicò il vassoio che la cameriera poggiò sul tavolo e dopo averla ringraziata cominciò a mangiare, borbottando un «Perché The Judge? Non ha molto senso per un fast food, senza offesa.» confuso. Edward rise, William pensò di voler morire. Come diavolo poteva evitare una persona simile? L'aveva aiutato con l'armadietto (tralasciando l'inconveniente iniziale), gli aveva chiesto di vedersi, ora gli stava facendo compagnia (salvandolo senza saperlo dal deprimersi con mille preoccupazioni) e aveva una bellissima risata. Era seriamente possibile stargli lontano? Non credeva di aver mai visto una persona così bella. «Se te lo dicessi non mi crederesti mai.» disse il riccio, rubando una patatina dal piatto di William, che continuò a mangiare il suo panino senza dirgli nulla. In fondo gli stava facendo compagnia, poteva almeno mangiare qualche patatina. «Sorprendimi.» lo invitò allora, guardandolo curioso. Edward sorrise divertito, «Mio padre studiò legge per due anni, poi di punto in bianco decise di aprire un carretto di hot-dog all'Università in cui studiava e si appassionò alla cucina in generale pian piano. "The Judge" è più un suo modo per sfottersi.» rise prendendo un'altra patatina. «Sei serio?» chiese William, la mano che reggeva il panino a mezz'aria e una faccia confusa. Edward annuì, «Serissimo, Spencer.» affermò poi. William gli avrebbe volentieri cavato gli occhi. Aveva sentito il suo cognome una sola volta, in segreteria, e già lo ricordava? «Non usare il mio cognome, mi fa strano. Comunque, dato che sei qui e- beh non ho idea a chi potermi rivolgere, sai se qui intorno qualcuno cerca personale?» cambiò discorso, cercando di accorciare il tempo che avrebbe impiegato per cercare. Avrebbe avuto tempo per studiare a casa, dato che lì non lo stava facendo. «Personale? Dipende, chi è interessato?» chiese curioso Edward. William constatò che fosse probabilmente una sua fissa voler sapere tutto di tutti, come un bisogno di essere coinvolto in qualunque cosa, di continuo. Non sapeva ancora decidere se fosse un bene o un male. «Io?» chiese retoricamente, indicandosi col dito della mano libera, finendo poi di mangiare il panino. Edward alzò un sopracciglio studiandolo attentamente e alzandosi subito dopo, «Non sparire.» ordinò, raggiungendo con poche falcate la porta che conduceva alla cucina. William guardò quest'ultima confuso dal comportamento del ragazzo. Aveva forse detto qualcosa di male? Sbagliato modo di porsi? Prese a mangiare le patatine per consolazione e proprio mentre il suo pensiero tornava alla spesa che avrebbe dovuto fare poco dopo, il riccio tornò da lui affiancato da un uomo alto tanto quanto lui ma molto più muscoloso e inquietante. Lo stesso con cui stava litigando poco prima. Era evidentemente il padre, si somigliavano troppo per non essere parenti. «È lui?» chiese l'uomo, guardando Edward che annuì, «Papà lui è William.» lo presentò, poggiandosi poi contro il tavolo e guardando i due. «Michael Adams, piacere di conoscerti. Hai esperienza in questo campo, William? E quanti anni hai, soprattutto?» lo interrogò l'uomo, dritto al punto. Proprio come il figlio, ora ne aveva la conferma. «Ho lavorato per due anni in due fast food differenti. Beh, il secondo era più un chiosco in Messico, ma sì. Ho diciassette anni, farò diciotto tra pochi mesi.» rispose prontamente, capendo l'opportunità che si trovava davanti. L'uomo lo squadrò da capo a piedi e poi guardò il figlio, che annuì con uno sguardo d'intesa. «Possiamo iniziare da domani; una settimana di prova. Che ne pensi?» offrì Michael. William spalancò gli occhi, incredulo e si voltò verso Edward che alzò le spalle e accennò un sorriso. «Sì, sì io- va benissimo.» balbettò senza riuscire a smettere di sorridere. L'uomo si allontanò dopo avergli comunicato l'orario e i turni part time. «Sei impazzito? Manco mi conosci e mi hai appena aiutato.» osservò William, tornando a sedersi. Edward picchiettò le lunghe dita contro il legno del tavolino, «Era da un po' che papà cercava aiuto in cucina. Ho preso due piccioni con una fava.» disse semplicemente, alzando le spalle allontanandosi nuovamente. E il fatto che quando William andò a pagare il suo conto, questo risultò già saldato, non fu che l'inizio dell'uragano che sarebbe diventato quel piccolo vortice di problemi che era la sua vita.
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