Sbattei una mano sul volante maledicendomi, come un povero idiota mi sentii subito in colpa dopo averla insultata nel mio ufficio e per la prima volta in tre anni pensai di dovermi scusare! Se solo non l’avessi trovata nel bel mezzo di un ménage. Scossi la testa e continuai a guidare cercando di non pensare a quella donna. Quella mattina non avevo appuntamento con nessun cliente ma avrei dovuto prendere mia figlia e portarla dai miei genitori. Nella grande villa dove viveva la mia orrenda ex moglie, mia figlia se ne stava sempre rintanata nella sua stanza a giocare. La mia bambina era convinta che sua madre non l’amasse e per quanto lei avesse ragione cercavo ogni giorno di convincerla del contrario. Mariavittoria era una donna spietata, una modella ancora in carriera che non aveva bisogno di una figlia e se non fosse stato per me forse non ne avrebbe mai avuti. Tirai un sospiro amareggiato e decisi di scendere dall’auto.
“ Sam! È sempre un piacere vederti” sorrisi cordiale all’uomo che per qualche anno era stato mio suocero. Fui piacevolmente sorpreso della sua presenza, era l’unico che come me aveva accolto la mia bambina con calore e felicità. Non compresi mai come Alexander Lione potesse aver sposato quel diavolo di donna che non aveva nulla di diverso dalla pazza di figlia che io stesso avevo sposato. L’unica differenza fu quella che io compresi in tempo il mio errore, anche se forse avrei dovuto capirlo prima di mettere al mondo una bambina che soffriva la mancanza di una madre. Scossi la testa per cacciare via quei pensieri abominevoli, soffrivo per Elisa ma senza di lei la mia vita sarebbe stata vuota.
“ Anche per me è un piacere Alex” mi diede una pacca sulla spalla e mi condusse verso l’ingresso che era tanto imponente quanto il giardino.
“ Come mai sei qui?” Alexander era un direttore di banca in pensione che amava la tranquillità e di certo quella villa non ne era l’emblema. Feste e sfarzi non mancavano mai nei weekend e per quanto la mia ex moglie guadagnasse bene sono convinto che qualche extra lo guadagnasse anche mentre eravamo sposati.
“ Sono appena rientrato da New York e ho pensato di fare un salto per vedere mia figlia, speravo che ci fosse anche la piccola Elisa” i suoi occhi si illuminarono e io sorrisi felice.
“ Sono contento che tu sia stato qui, di solito Elisa si rifiuta persino ad uscire dalla sua stanza e Mariavittoria non fa che chiamarmi per i capricci della bambina.” Sbuffai irritato da quanto spesso quella situazione si fosse verificata.
“ Non temere, Elisa è stata un angioletto, e credimi se ti dico che la sua stanza era l’ultima cosa che voleva vedere!” Ridacchiai sereno e decisi che lui sarebbe stato il primo a dover sapere la reale situazione.
“ Sto per chiedere l’affidamento esclusivo.”
Lui si bloccò e mi osservò serio. Gli attimi di serenità si tramutarono in stizza e poi rassegnazione.
“ Non posso darti torto, Mariavittoria non ha mai avuto istinto materno e tu sei la persona migliore per occuparti di lei.” Io annuii apprezzando il suo appoggio.
“ Spero solo che non mi allontanerai da lei.”
“ Alex, Elisa non perderà mai i contatti con suo nonno e anche Mariavittoria farà parte della sua vita. Voglio semplicemente che questa storia del tira e molla finisca e che Elisa possa avere una sola casa con la sua stanza e i suoi giochi. Ha bisogno di stabilità.”
“ Lo capisco…” La nostra conversazione si interruppe quando una piccola peste cominciò a correre verso di me.
“ Amore di papà!” La presi facendola volteggiare e mi beai della sua risata dolce e innocente.
“ Papi! Lo sai che il nonno mi ha insegnato a sparare? Boom!” Vidi Elisa imitare il gesto dello sparo e io guardai male il suo dolce nonno che non mi aveva rivelato che tipo di giochi avessero fatto in quei giorni.
“ Alexander, davvero? Spero solo che fosse una pistola giocattolo.”
Lui alzò le mai in segno di innocenza e io alzai gli occhi al cielo per la sua imprudenza.
“ Bene bene, ma le bambine dolci e carine come te non sparano con la pistola” la sua bocca rosea si chiuse per pensare e poi si rivelò tagliente come una lama.
“ E cosa fanno le bambine?”
“ Beh, giocano con le bambole.” Sperai che quella risposta la quietasse e quando si dimostrò d’accordo la misi giù.
“ Hai deciso di crescere mia nipote come una principessina tenera e debole?” guardai con le fauci spalancate Alexander.
“ Dici sul serio? Cerco di educare mia figlia alla non violenza!”
“ Suvvia ragazzo era solo un gioco!” lui mi abbandonò in quel salone immenso ridendo di me.
***
Beatrice
“ Ok Bea puoi farcela, entri prendi i manoscritti ed esci.”
Mi ripetevo quel mantra dal giorno precedente quando avevo deciso di non farmi vedere da De Luca.
Le porte dell’ascensore si aprirono e fui oltrepassata da colleghi e scrittori, pronti ad affrontare la giornata. Io invece trattenevo il respiro incapace di muovere un passo, solo il rumore delle porte che si chiudevano mi diede la spinta per entrare nella sala.
In genere, prima di dirigermi alla mia postazione prendevo un caffè con Liliana delle risorse umane, una delle poche donne con cui avevo stretto amicizia in quell’inferno. Quella mattina però avevo una missione da compiere, essere invisibile e per portarla a termine dovevo muovermi con velocità. Ogni mattina De Luca prima di arrivare in ufficio accompagnava la figlia all’asilo, gettai lo sguardo sul mio orologio da polso e vidi che segnava le otto in punto il che mi concedeva ben trenta minuti per preparare il suo caffè entrare in ufficio e prendere i manoscritti.
Corsi in sala relax ma quando mi avvicinai alla macchinetta lessi il bigliettino che vi era attaccato sopra. C’era scritto: GUASTO.
“ Oh merda!” Misi una mano sulla fronte sbuffando. Adesso come diavolo avrei fatto? Guardai l’ora, le otto e dieci. Non avevo altra scelta sarei dovuta scendere al bar sulla strada e prendere il suo maledetto caffè macchiato.
Cercai di fare più in fretta possibile ma i tacchi erano un impedimento evidente. Per fortuna non incontrai coda al bar e questo mi fece essere in vantaggio con i tempi, tornai in editoria in men che non si dica e mi fiondai in ufficio. Aprii la porta di scatto schiantandomi contro qualcosa o meglio qualcuno. Chiusi gli occhi aspettando che il sedere toccasse terra ma stranamente non successe e quando riaprii gli occhi constatai il motivo. De Luca mi guardava preoccupato mentre una chiazza marrone si dilagava sul suo petto.
“ Oh mio dio! Mi dispiace io… io…” cominciai a strofinare freneticamente la macchia con l’orlo del mio vestito ma lui mi bloccò rivolgendomi un sorriso. Rimasi folgorata, in tre anni non avevo mai visto sorridere quell’uomo se non per deridere qualcuno. Quello però non era il suo solito sorrisetto altezzoso era un vero sorriso che mi fece scorgere una sincerità mai vista. Ero ancora tra le sue braccia incapace di muovere un muscolo e ipnotizzata davanti a quelle fossette, perché non le avevo mai notate? E quelle rughette attorno agli occhi celesti, da quanto tempo le aveva?
Mi resi conto in quel momento che nonostante fossi meticolosamente attenta ai dettagli non avevo mai guardato veramente De Luca. Mi sono sempre limitata a giudicarlo superficialmente come un uomo consapevole del suo aspetto e che ostenta fascino senza alcun limite. Un narcisista arrogante che non ha rispetto per nessuno se non per sé stesso. Ma in quel momento, lo guardai e quello che scorsi mi mandò in visibilio.
“ Non combinerai niente strofinando in quel modo Beatrice…”
Lui mi lasciò andare e si diresse verso la porta del bagno, io lo inseguii pronta a fare qualcosa per rimediare al mio danno ma mi ritrovai davanti al suo petto nudo mentre mi guardava dall’alto.
Arrossii di colpo provocando una sua grassa risata.
“ Sai Beatrice? Non ti facevo così timida o quanto meno non dopo Sabato”
Mi scansò dirigendosi dall’altro lato della stanza dove prese un'altra camicia ben stirata, mentre io avevo oltrepassato il color magenta da un bel pezzo.
“ Sabato..”
“ Non mi importano i tuoi gusti sessuali per cui non è necessario che mi spieghi nulla”
Il suo tono apatico mi fece infuriare, ma poi una lampadina si accese sulla mia testa.
“ Bene, allora non dovrò spiegarle nulla ma vorrei che invece lei mi desse una spiegazione.”
Incrociai le braccia al petto recuperando la dignità che avevo perso nei minuti precedenti.
Lui alzò un sopracciglio esortandomi a spiegarmi meglio mentre allacciava la cravatta al collo.
“ Cosa diavolo ci faceva di sabato mattina davanti casa mia?” lui sobbalzò, non si aspettava una domanda del genere?
“ Avevo un appuntamento con un cliente da quelle parti e pensavo che fosse utile per lei assistere all’incontro” strinse il nodo alla cravatta e mi guardò come se la sua affermazione non fosse assurda.
“ Di sabato mattina alle otto?”
“ Sì Beatrice, adesso invece di tediarmi con le tue domande inutili perché non vai alla tua postazione e fai quello per cui ti pago?” sbuffai e feci per andarmene ma prima che potessi attraversare l’uscio la sua voce tuonò.
“ Ah! e dato che oggi hai deciso di versare il mio caffè sulla camicia ne gradirei un altro.” Annuii e mi sentii in colpa per l’incidente.
“ Mi dispiace per la sua camicia pagherò le spese della tintoria”
Lui era già immerso nei documenti e non mi degnò neppure di uno sguardo.
“ Non preoccuparti, avrei detratto le spese dal tuo stipendio.” Non poté vedere le mie fauci spalancate e i pugni chiusi dalla rabbia perché prima di perdere le staffe andai via da quella stanza.
Nonostante l’inizio burrascoso la giornata era proseguita senza intoppi, De Luca non mi aveva mai chiamata e io avevo svolto il mio lavoro in pace. Andai in camera per mettere qualcosa di più comodo e poi tornai in cucina sperando che il mio adorato coinquilino mi avesse lasciato qualcosa di pronto per cena. Per mia sfortuna Stef non aveva lasciato nulla, probabilmente non ne aveva avuto il tempo, sarebbe stato a Londra per una settimana per un set di un qualche cosmetico strano. Per lui era sempre stato così, lo chiamavano e lui fuggiva e anche se mi dispiaceva stare in casa senza di lui ero felice che la sua carriera da fotografo stesse finalmente decollando.
Ordinai una pizza e presi il mio k****e alla ricerca di un nuovo mondo in cui immergermi. Dopo un ora di ricerca ancora non avevo trovato nulla che potesse fare al caso mio; volevo qualcosa di leggero e divertente che mi potesse far dimenticare quella giornata infernale. Ad un tratto scorsi qualcosa tra i suggerimenti che mi apparse curioso, sulla copertina appariva un libro aperto con al centro una rosa unica fonte di colore dell’immagine in bianco e nero.
Quel romanzo si intitolava Le rose hanno le spine e l’autrice era una certa Emilia Fossari. Approfondii la ricerca e ciò che scoprii mi sconcertò, la casa editrice era proprio la De Luca Editori ma io non ne avevo mai sentito parlare. Era un caso piuttosto strano dato che ogni manoscritto passava nelle mie mani ma non me ne curai più di tanto iniziando la lettura. Il genere era completamente fuori dai miei schemi, adoravo i romanzi ma ciò di cui leggevo in genere parlava di amore puro a volte solo platonico che cresceva lentamente ,mentre quel diavolo di libro era bollente. Al quinto capitolo avevo già scolato due calici di vino e non erano bastati, la scrittura era appassionata e così coinvolgente da trasportare il lettore dentro le pagine. L’orologio segnava le due di notte ma non potevo interrompere la lettura dovevo sapere se il principe Akbar avrebbe inseguito Sherazad nel bosco d’inverno. Lessi fino a quando Morfeo non ebbe la meglio trascinandomi con lui.