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Al centro della Terra

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Blurb

Quando decide di testare la sua invenzione – un potente scavatore minerario – il giovane David Innes non può immaginare che il macchinario lo porterà al centro della Terra, dove esiste un mondo, Pellucidar, ancora allo stato primordiale.A Pellucidar gli uomini sono schiavi dei crudeli Mahar, e così David, tra inseguimenti e combattimenti mozzafiato, e scontri con creature mostruose, decide di capeggiare una rivolta per conquistare il potere, e il cuore di Dian la Bella.Per la prima volta in italiano la saga di Pellucidar, una delle opere più famose di Edgar Rice Burroughs, maestro dell'avventura fantastica.

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Prologo
PrologoPrima di cominciare vi prego di tenere a mente che non mi aspetto che crediate a questa storia. Né potreste meravigliarvi se foste stati testimoni di una mia recente esperienza quando, armato di beata e magnifica ignoranza, ne ho narrato allegramente il succo a un Socio della Royal Geological Society in occasione del mio ultimo viaggio a Londra. Avreste sicuramente pensato che mi avessero scoperto a compiere un crimine non meno efferato del furto dei gioielli della corona dalla Torre di Londra, o di aver messo del veleno nel caffè di Sua Maestà il Re. L’erudito gentiluomo con cui mi confidavo si è come congelato prima che avessi finito di parlare! – è grazie a questo che si è salvato dall'esplodere – e i miei sogni di una menzione d’onore, medaglie d’oro e uno spazietto nella Hall of Fame sono svaniti nell’aria sottile e fredda della sua atmosfera artica. Ma io credo a questa storia, e ci credereste anche voi, come ci crederebbe anche il dotto membro della Royal Geological Society, se voi e lui l’aveste sentita dalle labbra dell’uomo che me l’ha raccontata. Se aveste visto, come ho visto io, il fuoco della verità in quegli occhi grigi; se aveste sentito l’accento di sincerità in quella voce tranquilla; se aveste compreso la passione in tutto ciò – anche voi ci avreste creduto. Non avreste avuto bisogno della prova definitiva che avevo io: la strana creatura simile al ranforinco che aveva portato con sé dal mondo interno. Mi imbattei in lui all’improvviso, e di certo inaspettatamente, al confine del grande deserto del Sahara. Era in piedi davanti a una tenda di pelle di capra in mezzo a un gruppo di palme da dattero di una piccola oasi. Lì nei pressi c’era un douar arabo di otto o dieci tende. Ero venuto dal nord per la caccia al leone. Il mio gruppo era composto da una dozzina di figli del deserto – io ero l’unico uomo “bianco”. Mentre ci avvicinavamo al piccolo cespuglio di vegetazione, vidi l’uomo uscire dalla sua tenda e scrutarci intensamente riparandosi gli occhi con le mani. Alla mia vista avanzò rapidamente per venirci incontro. — Un uomo bianco! — gridò. — Sia lodato il buon Dio! Vi ho osservato per ore, sperando contro ogni speranza che questa volta ci fosse un uomo bianco. Ditemi la data. Che anno è? E quando glielo dissi, barcollò come se fosse stato colpito in pieno volto, tanto che fu costretto ad afferrare la mia staffa di pelle per sostenersi. — Non può essere! — gridò dopo un momento. — Non può essere! Ditemi che vi sbagliate o che state scherzando. — Vi sto dicendo la verità, amico mio —, risposi. — Perché dovrei ingannare uno sconosciuto, o anche solo provarci, in una questione così semplice come la data? Per qualche tempo rimase in silenzio, con la testa chinata. — Dieci anni! — mormorò infine. — Dieci anni, e pensavo che potesse al massimo essere poco più di uno! Quella notte mi raccontò la sua storia – la storia che vi riporto qui, quasi con le sue stesse parole, come riesco a ricordarle.

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