Capitolo 7

1206 Words
Logic & Rag'n'Bone Man – Broken People Megan POV  Ci sono delle volte in cui mi capita ancora durante la notte di svegliarmi per colpa degli incubi, dal giorno dell'incidente ho iniziato ad avere attacchi di panico misti all'ansia più frequentemente.  Il problema è che non pensavo solo a cosa era successo a me, ad Alex, il problema era più grande, una catena di segreti teneva in piedi tutta questa farsa, facendo sembrare le cose rose e fiori, quando era tutto tranne che facile.  Nel giro di una settimana dall'incidente scoprimmo che non era stato un mal funzionamento dei freni, ma bensì qualcuno li aveva manomessi. Le giornate trascorse tra l'ospedale per vedere Alex in coma e quelle alla stazione della polizia a cercare un colpevole erano strazianti. È passato più di un anno ormai è tutto questo mi perseguita come un ombra costante, le chiamate dal carcere da quando sono a New York, precisamente da quando ho iniziato l'università e rivisto Alex sono più frequenti, sapevo benissimo chi mi chiamasse, ma non avevo mai avuto la forza di rispondere fino ad oggi.  > dissi con voce tremolante al telefono.  > una voce rude scandì parola per parola, il mio cuore iniziò a battere freneticamente come impazzito, > disse la voce riportandomi in me, > balbettai. Un sospiro precedette la sua voce > chiese cautamente.  > risposi semplicemente con un sospiro buttando fuori l'aria che stavo trattenendo nei polmoni.  > disse, > risposi con rabbia, >, sospirò.  La prigione di Rickers Island era conosciuta per i suoi orrori, una percentuale rilevante dei detenuti che una volta scontata la loro pena e usciti di lì si suicidavano perché non riuscivano a convivere con le violenze subite all'interno della prigione.  La prigione degli orrori, così la chiamavano.  > inveii con rabbia al telefono.  > ammise semplicemente, > disse in un fil di voce, > chiesi preoccupata.  > a quelle parole le mie pupille si dilatarono automaticamente per lo spavento e il mio cuore iniziò a martellare.  > chiesi allarmata.  > sussurrò come se fosse spiato da qualcuno.  > strillai al telefono, > prima di rispondere cadde la linea in un tonfo.  Alan sapeva, ma cosa di preciso? Come faceva poi Liam a sapere tutto ciò? Perché suo nonno voleva far del male a me o peggio ancora a suo nipote?  Troppe domande e troppo poche le risposte, la testa mi stava scoppiando, decisi di prendere un antidolorifico e di uscire a farmi una passeggiata.  Erano passati giorni dall'ultima volta che vidi Alex, una settimana più o meno, non era venuto neanche all'università. Anche se non ero del tutto sincera, perché sì non l'avevo visto fisicamente, ma era sui notiziari in tv o su riviste di gossip e di fama economica.  " Il nuovo baby-rich", " Lo scapolo super milionario più giovane della storia", " Alan Prescot cede tutto al suo unico nipote, o quasi tutto".  Erano questi i titoli delle copertine che giravano negli ultimi giorni, se Alex era famoso, ora lo era ancora di più certamente.  Uscii di casa prendendo le auricolari e iniziai a vagare per Central Park con Demi Lovato alle orecchie e la canzone Tell me you love me.  Il colore degli alberi iniziava a cambiare radicalmente, l'autunno è i suoi colori caldi li amavo.  Guardavo il cielo ripensando alla strana conversazione avuta poco fa, fin quando non mi scontrai con qualcuno cadendo in un tonfo.  La solita imbranata, doveva mancarmi una botta al culo per completare la giornata di merda, sbuffai parlando con la me interiore che se la rideva.  > disse la voce.  Alzai lo sguardo e vidi Jason, > mi tese la mano aiutandomi ad alzarmi, > sorrisi alzandomi da terra e pulendo i jeans.  > disse scrutandomi in faccia, > risposi alzando e abbassando le spalle, > ammise illuminandosi come un albero di Natale.  > ridacchiai, > spiegò.  Mi invitò a camminare con lui e accettai, almeno mi sarei distratta da tutto quello che mi era successo fino ad ora.  > disse fermandosi improvvisamente davanti a me, dovetti usare tutte le mie forze per frenare e non andargli addosso o peggio ancora cadere di nuovo, > dissi sorridendo.  > disse chinando la testa verso il basso come dispiaciuto.  > ridacchiai. > chiese speranzoso guardandomi dritto negli occhi cercando conferma, > mi finsi una persona con tanti impegni, lui annuì guardandomi ancora di più, > ammisi alla fine sorridendo.  Si rilassò visibilmente, > disse preoccupato pizzicandosi il mento per poi sfoggiare uno dei suoi sorrisi " adesso ti faccio cadere ai miei piedi", e ci riusciva eccome.  Mi accompagnò verso casa così gli feci vedere dove abitato per venirmi a prendere venerdì.  Ero ansiosa e preoccupata, dopo Alex non ero uscita con nessun altro né prima di lui né dopo a parte in Italia, ma quella storia tralasciamola. Ero ancora in grado di uscire con qualcuno che non fosse Alex? Dopotutto quanto poteva essere difficile? A lui riusciva così bene, non mi aveva neanche più cercato dopo la sera al locale, dove passammo la notte insieme.  Se io non regnavo nei suoi pensieri perché lui doveva farlo nei miei ? 
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