Capitolo 1 – Il teatro addormentato

585 Words
Il Teatro San Carlo si stagliava contro il cuore pulsante della città come un’antica cattedrale della bellezza e del mistero. Le prime luci della sera scivolavano sulle sue mura di pietra color miele, svelando le venature del tempo, le cicatrici dei secoli, i sussurri delle generazioni che avevano amato, pianto, sognato tra quelle stesse mura. Colonne corinzie sostenevano un frontone dove angeli di marmo sembravano vigilare, custodi silenziosi di un regno sospeso tra realtà e sogno. Simone sostò a lungo davanti all’ingresso, nel chiaroscuro che il tramonto regalava ai suoi lineamenti delicati e ai capelli scuri spettinati dalle emozioni. Sentiva il respiro della città tutt’intorno – clacson, voci, passi affrettati – ma, appena oltre le porte del teatro, era già un altro mondo. Stringendo la borsa delle scarpette come un talismano, poggiò una mano sulle assi del portone. Il legno, scolpito con minuzioso virtuosismo, portava le impronte invisibili di innumerevoli artisti che vi si erano appoggiati prima di lui. Simone sentì una corrente gelida trapassargli le dita, una promessa sussurrata da chi, come lui, aveva bussato alla soglia della leggenda. Al varcare la soglia, fu investito dall’odore denso e inebriante del teatro: il velluto stanco delle poltrone, la polvere dorata delle scenografie, un vago sentore di legno antico e sudore, di passione e paura. Le luci erano spente, rotte solo da qualche lampada di sicurezza che proiettava ombre mobili sui muri affrescati. I grandi specchi lungo il corridoio restituivano il suo riflesso frammentato: occhi larghi, il petto che si alzava e abbassava rapidamente, il nervosismo che gonfiava le vene come un secondo battito. Salendo la lunga scalinata verso la platea, i suoi passi riecheggiavano minacciosi nel silenzio. Ogni metro percorso riportava alla mente ricordi della sua infanzia: le serate trascorse con il naso premuto contro la balaustra della loggione più alta, gli occhi dischiusi sull’incanto dei movimenti, la meraviglia di chi sogna e basta. Ora era lui ad entrare da protagonista, pronto a calcare quel palcoscenico con il titolo che aveva rincorso da sempre: primo ballerino. Sentiva il peso della consacrazione e insieme quello delle aspettative, tutta la vertigine di chi sa di avere un solo colpo per lasciare un’impronta indelebile. Per un attimo, fermo al centro della platea deserta, lasciò correre lo sguardo sui decori dorati, sulle poltrone vuote che sembravano attendere ancora un fantasma o un reietto da applaudire. Immaginò le gallerie traboccanti, il mormorio eccitato del pubblico, la tensione delle luci pronte a morire un istante prima dell’inizio. Si sentiva piccolo e grandioso insieme, parte invisibile di una catena antica, uno degli infiniti sogni che avevano popolato quelle notti stellate di arte e di struggimento. Quando aprì le porte del palcoscenico e si trovò immerso in quel mare oscuro, il cuore gli saltò in gola. L’immenso sipario abbassato, le scenografie coperte da teli come fantasmi addormentati... Lì, nel ventre segreto del San Carlo, Simone comprese che nulla sarebbe stato più come prima. Si avvicinò con gesti lenti e pieni di rispetto, come chi entra in un tempio sacro. Ogni passo sul palco scricchiolava leggero, quasi chiedendo permesso ai danzatori che l’avevano solcato prima di lui. Si fermò, respirando profondamente l’aria vibrante, ascoltando il battito impaziente del proprio cuore e il silenzio potente che lo circondava. In quell’attimo di sospensione tra paura e sogno, tra passato e futuro, Simone sentì che cominciava davvero la sua storia: una storia che avrebbe fatto tremare i muri del vecchio teatro, e risvegliato i segreti dormienti sotto il velluto rosso e la pietra. Ed era solo l’inizio.
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