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Ex ~Primo Libro della Triologia //Ema Oqu

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Jason:

«Scegli una qualsiasi...» - piego gli angoli della bocca in un sorriso malizioso, mostrando al mio nuovo amico la sala piena di donne che saltano in aria a ritmo della musica, mostrando le gambe lisce quando i loro vestiti striminziti si alzano e portandomi a passare la lingua tra le labbra, mentre il mio sguardo diventa sempre più scuro quando incrocio gli occhi di una bionda che mi fissa da lontano.

«E diventerà tua.» - concludo con un tono più malizioso di prima, lanciandogli una rapida occhiata per assicurarmi che non si sia pentito e che stia al gioco per il resto dell'anno.

«Voglio lei.» -apre finalmente bocca, alzando il mento verso le mie spalle dopo aver tirato una lunga occhiata intorno, sicuramente cercando la donna con gonna più corta e le tette più in mostra.

Al suono della sua voce intrufolo le dita tra i capelli scompigliati, seguendo la direzione del suo sguardo pervertito a un paio di metri di distanza dietro di me, ma il sorriso mi muore sulle labbra quando i miei occhi finiscono sulla figura di una donna seduta all'angolo della grande sala, con un'espressione scocciata in volto e le guance gonfie per la rabbia, come se fosse stata costretta a venire.

«La conosci?»

I muscoli del mio collo si irrigidiscono quando il mio amico riprende a insistitere, mentre la mia espressione passa da perplessa a seria all'istante, senza smettere di fissarla da lontano.

È venuta in una festa con una delle sue solite felpe nere, tanto che sembra una pecora nera in mezzo a mille modelle. Alzo un sopracciglio quando mi accorgo che stringe un libro in mano, mentre la sua amica cerca di attirarle l'attenzione, giocherellando con le lunghe ciocche castane che solo ora mi rendo conto di quanto siano cresciute.

«Sta seriamente leggendo in una festa. Chi è?» - raddrizzo le spalle quando la fottuta voce dell'uomo al mio fianco attira la mia attenzione:

«La mia ex.»

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First 10/09/2021
10/09/2021 Chanelle Non so perché mi guardo allo specchio ogni mattina, come se avessi intenzione di iniziare a truccarmi o aggiustare i miei lunghi capelli. Faccio una smorfia di disprezzo davanti alla mia immagine riflessa, ripercorrendo ogni singolo difetto del mio corpo. Le mie lunghe ciocche ondulate mi arrivano fino ai fianchi, ma chi mi conosce mi dice sempre di tagliare i capelli, o di mettere un po' di colore sulle guance, dato che sono sempre così maledettamente pallida. Persino le mie labbra sono di un rosa chiaro, e la mattina sono piccole e carnose, 'dalla forma di un cuoricino' - dice mia sorella. Se solo mi vedesse in questa maglia larga e nera ora, mi caccerebbe di casa oggi stesso. Per non parlare della tuta scura che fascia le mie gambe. Prendo un forte respiro, riprendendo a guardare negli occhi verdi il mio riflesso, come se potesse aiutarmi a dare coraggio a me stessa. Fino a tre settimane fa facevo l'università e non dovevo preoccuparmi del mio futuro. Mi bastava stare seduta sul letto a risolvere problemi di matematica dalla mattina alla sera, anche solo per distrarmi, ma ora voglio una vita mia. Una vita indipendente lontano da mia sorella, un lavoro e una casa mia. Una di quelle che ho sempre sognato, un appartamento piccolo e accogliente al centro di questa città. Miami mi è sempre piaciuta e non ho intenzione di andarmene da qui, nonostante tutte le offerte di lavoro all'estero. Ma devo assolutamente trovare un'appartamento lontano da questo, il più lontano possibile per evitare di stare tra i piedi di mia sorella e il suo fidanzato. «Ah!»- spalanco gli occhi e porto una mano all'altezza della bocca per evitare di vomitare quando i gemiti di mia sorella arrivano alle mie orecchie. Con la smorfia schifata, chiedendomi come facciano a essere così accalorati persino di mattina, mi affretto a fare un paio di passi verso la porta che mi permette di affacciarmi ogni sera al balcone della mia camera da letto, convincendo me stessa che un giorno devo parlare col proprietario per togliere queste maledette scale che portano dritto alla mia stanza. Al solo pensiero il cuore mi sale in gola, mentre stringo i denti per trasformare tutta la mia tristezza in rabbia, portando una ciocca di capelli dietro l'orecchio. 'Lui non verrà più.'- sussurro con una voce così bassa che non capisco se l'ho detto veramente o ho solo mosso le labbra, ma prima di sprofondare di nuovo nei ricordi con quello stronzo, raddrizzo la schiena e chiudo la porta rapidamente, assumendo di nuovo una smorfia di fastidio quando altri rumori provengono dalla sua camera da letto. Non so come abbia fatto a continuare a stare con quel uomo, pur sapendo cosa mi ha fatto suo fratello. Non pretendevo che si lasciassero, certo, ma nemmeno che mia sorella organizzasse cene con la famiglia di quel bastardo ogni settimana, costringendomi a chiudermi nella mia camera ogni volta che loro mangiano in questa casa solo per non rivedere lui. Sbatto più volte le palpebre e sbatto il portone alle spalle, pensando che non sia il momento giusto per salutare mia sorella in questo momento. Le ho già detto che quella di oggi è una giornata decisiva nella mia vita, e forse speravo che mi desse la buona fortuna come ogni sorella maggiore farebbe, ma lei non è come le altre. Abbiamo una piccola differenza di età, dato che sono di due anni più piccola di lei, ma è sempre stata autoritaria nei miei confronti e le ho sempre dato la possibilità di farlo, stringendo i denti anche quando mi sembrava che esagerasse. Infondo è grazie a lei se non sono finita adottata in tutti gli anni che abbiamo passato in orfanotrofio. Mi ha tenuta vicino a se, per poi aiutarmi ad avere una vita. Se oggi ho un colloquio di lavoro con una delle più grandi aziende di moda di Miami non è solo grazie alle ore insonne passate a studiare, ma anche grazie a lei. Non avrei mai voluto lavorare per il padre di quel bastardo, ma quando ho visto il suo invito tra le mail non ho potuto non pensarci. A Miami la sua è l'azienda più celebre, non posso negarlo, ma spero non mi abbia selezionato solo per essere la ex di suo figlio. Prendo un forte respiro per prendere una boccata d'aria gelida, per poi passare una ciocca di capelli dietro l'orecchio per lasciare che le mie onde castane inizino a ondeggiare alle mie spalla, ma appena fermo la macchina nel parcheggio dell'azienda ed esco dalla macchina rabbrividisco per il freddo. Solo ora mi pento di non aver indossato un cardigan sulla mia felpa pesante. Sbatto la portiera alle spalle, stringendo la cintura della borsa tra le dita quando alzo la testa verso l'alto. Il grattacielo di fronte a me mi fa sentire così piccola che per un attimo mi dimentico del freddo e inizio a preoccuparmi delle mie capacità, come se tutto questo fosse più grande di me, mentre dalle mie labbra esce una nuvola di vapore che mi ricorda di ritornare alla realtà. Porto il labbro inferiore tra i denti quando le mie labbra di attaccano per il freddo, iniziando a torturare l'angolo della bocca per l'ansia. So di valere, ma so anche che il signor Bartol ha più di mille dipendenti in questo edificio e sarà una lotta continua farmi notare tra tutti. Il fatto che ci siano tanti dipendenti e tanti uffici mi consola, tanto che in questi giorni non ho fatto altro che sperare di non capitare sullo stesso piano di quell'uomo. Stringo i denti al solo pensiero, ma cerco di convincere me stessa che non sarà così. Libero il labbro dai denti e mi do coraggio per mettere piedi dentro l'edificio, affrettandomi a raggiungere l'ascensore con un passo deciso quando lo vedo da lontano in fondo alla grande sala. Questo posto sembra di lusso e mi trovo così fuori posto che una parte di me mi suggerisce di fuggire prima di entrare nell'ufficio del signor Bartol. Spalanco gli occhi quando mi avvicino abbastanza da capire che le porte dell'ascensore si stanno per chiudere, al che aumento il passo, incrociando lo sguardo dell'uomo che è già dentro la scatola di metallo. Socchiudo gli occhi quando lo vedo assumere un'espressione stupita e divertita allo stesso tempo, ma senza muovere un dito per fermare l'ascensore e aspettarmi. «Stronzo.»-dico tra i denti quando capisco che lo ha fatto apposta, forse per farmi capire quanto poco sono accoglienti i dipendenti di Bartol, ma appena volto le spalle all'ascensore sbuffando, il rumore delle porte che si aprono alle mie spalle mi costringono a girarmi di nuovo. Raddrizzo la schiena quando mi ritrovo davanti al biondino alto, che mi guarda con la stessa espressione divertita e alquanto fastidiosa in volto. Stringo i denti per nascondere la rabbia e trattenermi dal chiedergli che ha da guardare, mentre faccio un paio di passi per addentrarmi finalmente nell'ascensore. Senza nemmeno ringraziarlo premo l'indice sul numero dieci, in fila con gli altri numeri, inseriti in caselle nere e finemente dipinte. Persino l'ascensore è elegante in questo posto! Alzo il mento quando lo sento schiarirsi la voce alle mie spalle, cercando di attirare la mia attenzione, ma al suo gesto socchiudo gli occhi e mi limiti a lanciargli una rapida occhiata. È biondo. Non mi sono mai piaciuti i ragazzi biondi. Mi trasmettono diffidenza e vigliaccheria, e il modo in cui quest'uomo mi fissava poco fa non ha fatto altro che confermare la mia teoria. Di sottecchi mi accorgo che anche i suoi occhi sono chiari, in sintonia con i capelli ordinati e pettinati senza un filo fuori posto. La prima cosa che noto in lui è la sua altezza. A dire il vero sono io quella bassa che si impressiona davanti a tutti quando vedo che sono più alti di me. Dovrei iniziare a dare retta a mia sorella e indossare i tacchi che lei continua a regalarmi ad ogni compleanno. «Hai dei bei capelli.»-alzo la testa di scatto per incontrare i suoi occhi di nuovo, questa volta senza la malizia di poco fa. Non so se mi sta prendendo per i fondelli o è sincero, ma è il primo essere umano che invece di dirmi di tagliarli, dice che i miei capelli sono belli. E non sa nemmeno il mio nome. Le mie guance iniziano a colorarsi quando mi accorgo che non ha intenzione di distogliere gli occhi, ma dopo un paio di secondi di silenzio l'ascensore si ferma e decido finalmente di aprire bocca: «Lo so.»- farfuglio con un tono volutamente scocciato, distogliendo gli occhi appena le porte di aprono, per poi affrettarsi a uscire per indirizzarmi verso l'ufficio di Bartol, sapendo quanto odia i ritardi. Mi sembra di sentire una risatina alle spalle, ma convinco me stessa che era solo frutto della mia immaginazione e mi limito a seguire le indicazioni della mail, andando in cerca della faccia del mio capo con le gambe ancora tremanti. Non so come andrà il colloquio, conoscendo le aspettative di quell'uomo, ma so anche che Bartol mi conosce bene da sapere quanto mi sono impegnata negli ultimi anni universitari. Mi guardo intorno quando arrivo in fondo al grande corridoio, leggermente in imbarazzo dagli sguardi curiosi dei dipendenti che mi guardano dai loro uffici grandi, al che maledico il fatto che gli uffici sono completamente allo scoperto e circondato da grandi vetrate. Se un giorno devo lavorare in quest'azienda non so come mi sentirò all'idea che da fuori tutti possono guardarmi. Sbuffo frustrata, cercando di concentrarmi sui numeri fissati affianco alle porte vetrate degli uffici, ma raddrizzo le spalle quando una voce famigliare alle spalle attira la mia attenzione: «Chanelle.» Il tono del signor Bartol è così dolce che mi vengono i brividi al solo ricordo dei tempi passati, quando suo figlio mi portava a cenare a casa sua. Quel mostro e Bartol non hanno mai avuto un buon rapporto da padre e figlio. Lui è sempre stato il padre con tante pretese, tanto che voleva lasciare l'intera azienda al figlio, ma il mio ex sembrava farlo apposta a deluderlo sempre. Ora si ritrova a lavorare per il padre solo quando ha voglia di farlo, un giorno si e l'altro no, e da quello che racconta il fidanzato di mia sorella, il tempo libero lo spende in camera sua... in compagnia di quella stronza. Quel bastardo è fatto così. Delude tutti. Ha deluso me. È stato la delusione più grande della mia vita. «Bartol.»-sussurro con un filo di voce, forzando un sorriso con le labbra gelata, mentre mi volto nella sua direzione lentamente. L'ultima volta che ci siamo visti è stato più di un anno fa, ma guardarlo di nuovo negli occhi mi porta ad arrossire per l'imbarazzo, come se mi sentissi in colpa per non averlo mai salutato come meritava. Infondo sono sempre stati gentili con me, sia lui che sua moglie, ma quando loro figlio mi ha tradito non ho voluto più avere a che fare con nessuno di loro. «Entra.»-il suo sorriso è molto più sincero del mio, mentre indica con una mano la mia destra per farmi entrare nella stanza affianco. Deglutisco mentre annuisco alle sue parole, seguendolo quando lo vedo sorpassarmi per aprire la grande porta di vetro trasparente. Non ho mai più messo piede a casa sua, anche quando mia sorella mi minacciava di andare a cena a casa del suo fidanzato. Sapevo che non gli avrei potuto evitare all'infinito. Mia sorella e il fratello del mio ex si sposano tra pochi mesi e la mia famiglia sarà la sua. «Ho visto i suoi voti, signorina.»- dice con un tono più serio e autoritario, forse per farmi sentire più a mio agio, mentre prende posto di fronte a me, dietro a una grande scrivania di legno nero. Annuisco di nuovo alle sue parole, alzando il mento in segno di sicurezza quando realizzo quello che ha appena detto. I miei voti sono l'unica cosa di cui vado fiera nella vita, dato che il resto delle mie scelte mi hanno portato solo tanti guai. «E ho visto che è stata richiesta da altri imprenditori.» - continua, iniziando a sfogliare una cartella tra le dita, il che mi fa capire che davanti ai suoi occhi ci sono tutte le informazioni della mia vita. Non so quanto possa essere interessante la mia vita, dato che sono cresciuto in un orfanotrofio fino a quando mia sorella ha compiuto i diciott'anni e mi ha portata via con lei. Abbiamo trovato pace a Miami, dove mi sono laureata e ho deciso di vivere il resto della mia vita, nella speranza di ritrovare la mia madre biologica, che continuo a cercare senza che mia sorella ne sappia qualcosa. «Perchè insiste così tanto per rimanere in Florida?»-chiede senza pensarci due volte, facendomi perdere il sorriso e iniziare a frugare nella mia testa per trovare una risposta convincente, anche se odio mentire a chi mi circonda. Nessuno sa che sto indagando sui miei genitori, ma la voglia di sapere chi sono è più forte di me e della mia testardaggine. Separo le labbra e faccio per iniziare a sparare la prima giustificazione che mi viene in mente, ma tiro un sospiro di sollievo quando sento la porta alle mie spalle aprirsi, salvandomi dalla domanda di Bartol. So che non è un uomo che mantiene i secreti, me lo ha dimostrato più volte quando stavo ancora con suo figlio. Di sottecchi noto che Bartol corruga le sopracciglia appena guarda verso la porta, per poi assumere un'espressione scocciata, facendomi capire che è sul punto di riprendere uno dei suoi dipendenti, ma alzo la testa di scatto quando apre bocca per parlare: «Sei in ritardo, Jason.» Instagram :ema_8570 Che ve ne pare del primo capitolo? ? Vi prego di farmi accorgere di tutti gli errori ???? Se la storia vi piace vi prego di seguirmi sul mio profilo instagram: ema_8570

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