Completamente sola e travolta da mille paure mi chiedevo come avrei potuto sopportare quella solitudine nelle condizioni in cui mi trovavo. Trascorsero parecchi giorni e non avevo scambiato una sola parola con nessuno, la donna che mi accudiva entrava nella cella per lasciarmi il cibo e aveva il divieto assoluto di parlarmi. Gli uomini di guardia si scambiavano continuamente i turni e nessuno di loro parlava con me per ordine di Barek, il quale aveva mantenuto la sua parola e non era più tornato. Il mio ventre stava crescendo ed iniziava a notarsi la mia gravidanza, quel giorno ero particolarmente demoralizzata stavo attendendo la donna che mi avrebbe portato il cibo, anche se non ci scambiavamo parole era sempre una compagnia il suo arrivo. Sentii aprire il cancello, e convinta che fosse lei, ero pronta ad andargli incontro rimasi impietrita da chi mi si presentò dinanzi, Vegard, non credevo ai miei occhi era proprio lui, gli chiesi in preda all'emozione: «Ma sei proprio tu? » Mi rispose visibilmente sconvolto: «Sì… Sì, sono proprio io amore mio…» Stavo per lanciarmi addosso a lui per abbracciarlo e stranamente egli mi impose di fermarmi. Le sue parole mi bloccarono, non riuscivo a capirne il motivo, resosi conto del mio stupore mi disse di sedermi che mi avrebbe spiegato tutto. Anch’egli si sedette cercando di stare il più lontano possibile da me e tutto ciò era molto strano. Iniziò dicendo che Barek qualche giorno prima si presentò da lui completamente sconvolto per chiedergli aiuto, Barek che chiedeva aiuto a lui, era difficile da credere. Barek gli confidò che non aveva più la forza di trattenersi dal farmi sua, ogni notte mentre dormivo trascorreva molto tempo ad osservarmi fuori dalla cella e si tratteneva a malapena dal non farmi del male. Era troppo innamorato di me e non sapeva più come controllare i suoi istinti. Vegard mi confidò che lo avrebbe ucciso all’istante se non avesse avuto paura delle conseguenze riguardanti la mia incolumità. Barek continuò dicendo che non avrebbe funzionato neanche se mi avesse riportata da lui perché egli avrebbe sempre cercato di riprendermi, quindi era per il mio bene e solamente per quello che gli stava chiedendo aiuto. Vegard non sapendo che fare ne parlò con il sovrano degli elitiani che gli consigliò di recarsi dall’eremita che viveva ai margini delle grandi montagne, fratello della sacerdotessa morta. Era un uomo molto saggio ed era a conoscenza di cose a loro sconosciute, parlandone con lui forse avrebbero trovato la soluzione. Si recarono entrambi dall’eremita che spiegò loro che per salvare la mia incolumità c’era una sola cosa da fare. Vegard era il più potente tra i due quindi sarebbe stato in grado di controllare Barek se fossero ritornati di nuovo un solo essere. Egli era a conoscenza di un rito segreto che poteva riunirli, ero completamente sconvolta da quello che avevo udito e chiesi a Vegard: «Non dirmi che lo avete fatto? » Vegard era molto sofferente mentre lo confermava, disse che mi amava troppo e non c’era un’altra soluzione, si erano entrambi sacrificati per lei, tanto era immenso il loro amore nei suoi confronti. Continuò dicendo che se avesse provato ad unirsi a lei Barek si sarebbe di nuovo materializzato, quindi non l’avrebbe mai più neanche sfiorata. Non avevo parole ero sconvolta, vedendomi in quello stato mi disse che aveva anche una bella notizia da darmi, fuori c’era un calesse che mi attendeva, due guerrieri mi avrebbero riportata a Roma da mio padre. Egli personalmente aveva provveduto ad avvisarlo andando a Roma, comunicò a mio padre che era il padre del bambino e che si sarebbe preso tutte le sue responsabilità a suo tempo. Mio padre era vivo, finalmente una bella notizia, gli chiesi se potevo abbracciarlo per un’ultima volta, molto dispiaciuto disse che non era possibile, Barek si sarebbe scatenato e poteva farmi del male. Era più sconvolto di me nel rifiutarmi, lo confermava il suo magnifico sguardo colmo d’amore. Mi diede un’ultima occhiata dicendo che avrebbe sempre vegliato su di me poi mi voltò le spalle, si arrestò per un attimo sembrava indeciso se andarsene o no, lo osservavo piangendo silenziosamente perché mi rendevo conto perfettamente che quello era un addio. Speravo che si voltasse e tornasse da me, ma non lo fece e se ne andò, lo accompagnai con lo sguardo finché non scomparve dalla mia vista. Poco dopo mi raggiunse Svein che, resosi conto del mio stato con un sorriso incoraggiante mi disse se ero pronta per far ritorno a casa. Saremmo arrivati in breve tempo perché la via sotterranea era più breve. «…Sì, sono pronta…» risposi tra le lacrime.