Sotto la coperta mi sentivo al sicuro, era stupido, ma in quel momento la pensavo così. Udii i loro passi che se ne stavano andando, sentii chiudere la porta, tirai fuori la testa e vidi che non c’era più nessuno. Mentre le altre si stavano risvegliando incuriosita andai a vedere il contenuto del vassoio. Erano focacce e carne, avevo un languorino allo stomaco così iniziai a mangiare. Erano veramente molto buone, le mie compagne di sventura, visto il mio entusiasmo nel mangiare, mi seguirono. Avevamo a disposizione un secchio abbastanza grande con dell’acqua, così potemmo darci una rinfrescata. Domitia prese la spazzola sulla mensola ed iniziò a pettinare i suoi lunghi capelli biondi, era veramente molto bella. Si voltò verso di noi con un sorriso, e disse: «Forza signorine, ricomponetevi, siamo o no delle patrizie romane?...Facciamo vedere a questi selvaggi la dignità di Roma.» Il suo consiglio ci incoraggiò, iniziammo a spazzolare i nostri capelli a vicenda. Eravamo tutte molto belle, anche se avevamo addosso i vestiti con cui eravamo partite, che erano ridotti abbastanza male. Valeria con la voce tremante disse: «Ecco, ora siamo pronte per essere violentate…» Cercai di rassicurarla dicendo che se avessero voluto, lo avrebbero già fatto. Ero certa che i sei guerrieri dovevano proteggerci e mantenerci in buona salute, per farci arrivare integre, in un luogo a noi sconosciuto. Il pericolo non era imminente, quando saremmo arrivate a terra forse avremmo avuto qualche possibilità di fuga; la speranza era l’ultima a morire anche se avevo i miei dubbi, ma non lo dissi alle altre. Le mie parole tranquillizzarono Valeria, ella si avvicinò all’oblò ad osservare il mare che era calmissimo e di un blu intenso. Udimmo un rumore, qualcuno stava per fare il suo ingresso nella stanza eravamo tutte rivolte verso la porta, quando un uomo di media statura ne varcò la soglia. Non superava i cinquant’anni, si presentò a noi come Aurelio, fui molto sollevata di ascoltare nuovamente la mia lingua. Aurelio ci spiegò che era venuto per aiutare noi ad imparare la lingua di coloro che ci avevano rapite. Indignata, replicai che non avevamo nessuna intenzione di imparare il linguaggio di quei selvaggi. Egli comunicò che gli era stato comandato, doveva attenersi agli ordini perché anch’egli era uno schiavo. Gli chiesi se era a conoscenza di dove fossimo dirette, abbassò lo sguardo e disse che questo gli era stato proibito di rivelarlo. La nave era un mercantile e, eccetto lui e l’uomo che ci portava il cibo, gli altri membri dell’equipaggio erano uomini liberi. Continuai domandando chi fossero i sei guerrieri, rimase in silenzio. Mi resi conto dall’espressione che aveva in viso che aveva paura di loro. Rispose solamente che dovevano proteggerci, era esattamente ciò che avevo intuito poi ci diede una bella notizia, se volevamo uscire all’aria aperta potevamo farlo, senza commettere stupidaggini; se ci fosse accaduto qualcosa di brutto sarebbe stato lui a risponderne ai guerrieri. Eravamo tutte d’accordo, un po’d’aria fresca ci avrebbe giovato, riguardo ai colpi di testa poteva stare tranquillo. Lo ringraziammo, ci scusammo con lui perché non ci eravamo ancora presentate, fui io la prima a farlo, le altre mi seguirono. Aurelio fu felice di accompagnarci fuori, era una bellissima giornata, il sole era alto nel cielo limpidissimo; feci un gran respiro per inalare quell’aria pulita mescolata al profumo del mare. Osservavo l’ambiente circostante, incuriosita dal luogo dove mi trovavo… Il mercantile non era molto lungo, la grande vela era posizionata al centro e, guardarla dal basso, mi faceva sembrare una pulce. Gli uomini dell’equipaggio erano tutti indaffarati nelle loro mansioni; ne scorgevo pochi, forse cinque, alcuni trasportavano secchi d’acqua ed altri pulivano a terra. Accanto all’albero che sosteneva la vela c’era una scala che scendeva sottocoperta, in fondo allo scafo si trovavano due porte una accanto all’altra. Nel frattempo si era alzata la brezza e, mentre passeggiavo, così per dire, i miei lunghi capelli fino alla vita venivano trasportati dal vento. Era una sensazione piacevole che mi dava un senso di libertà, li lasciavo svolazzare liberi tanto da carezzarmi il viso, quasi a solleticarlo. Le altre erano affacciate al parapetto e osservavano i delfini che seguivano la nave, le avevo quasi raggiunte, ero in prossimità delle due porte che si trovavano in fondo allo scafo quando una di queste si aprì… Era davanti a me, rimasi immobile dinanzi a lui, anch’egli alla mia vista si arrestò, non riuscivo a togliere lo sguardo da quei meravigliosi occhi.