Di che cosa? in nome del cielo, stava sorridendo, quell'alfa? Torreggiava su di lui, le spalle possenti che bloccavano la vista del cielo che si andava oscurando, lo sguardo intenso che lo percorreva con incredibile audacia.
L'occhi gli cadde sulla tunica di cuoio, sugli stivali al polpaccio macchiati dall'acqua salata. Era un sassone? O peggio, uno degli uomini che erano a bordo delle lunghe, affusolate imbarcazioni? Un vichingo? Malgrado la sua ostentata spavalderia, George si sentì assalire dall'ansia. Sapeva che avrebbe dovuto alzarsi e andarsene, eppure al momento gli sembrava un'impresa impossibile. Un'orrenda spossatezza lo pervadeva, indebolendogli le gambe, intorpidendogli le braccia e le mani.
"Chi siete?" lo apostrofò in tono di accusa.
Ragnar inclinò la testa da un lato. "Sono un danese. Siamo appena approdati qui, sulla riva."
Oh, Signore, era un vichingo, dopotutto! I vichinghi erano persino peggiori dei sassoni, con la loro reputazione di individui assetati di sangue, che combattevano in modo spietato, che mettevano a ferro e fuoco interi villaggi senza il benché minimo rimorso.
"Ma non non potete esserlo." Un'espressione circospetta gli affiorò negli occhi. "State... state parlando in sassone."
Ragnar rise. "è molto simile alla nostra lingua norrena. è facile, per noi, passare dall'una all'altra."
Confuso e annebbiato, la sua mente si rifiutava di concentrarsi. Cosa gli stava succedendo? Si sentiva Imprigionato in un incubo dal quale, per quanto si sforzasse, non era in grado di uscire. Non aveva idea di come fosse tornato sulla spiaggia.
"Mi avete portato voi?" domandò, la voce tesa, brusca.
L'uomo alzò una spalla e tornò ad abbassarla in un gesto noncurante.
"Sì. Eravate svenuto. Non mi meraviglio. Con ogni probabilità avete pensato che sareste morto laggiù."
George fissò la spiaggia sassosa, il velo di alghe che copriva le pietre bianche, ricordando il turbinare dell'acqua intorno alle sue cosce. Aveva la gola irritata a furia di gridare. Sì, era stato veramente convinto che sarebbe morto.
Ma perché era stato proprio lui a soccorrerlo, quell'uomo, quel forestiero? Si mosse a disagio sotto l'attento esame dei suoi occhi verdi, guardando torva le sue mani, due pugni allentati contro le cosce muscolose.
Mani che gli avevano tastato il corpo insensibile, sollevandolo dalla palude. Com'era possibile che non rammentasse il suo tocco? A un tratto si sentì avvampare, due chiazze purpuree sugli zigomi. Buon Dio, avrebbe potuto fargli qualsiasi cosa. Era stato alla sua mercé, alla mercé di un danese! Gli occhi lampeggianti, incrociò le braccia sul petto e sporse il mento.
"Che cosa mi avete fatto?"