Capitolo Sette

1456 Parole
"Chi è?" domandò Eirik mentre Ragnar lo metteva giù con la massima cautela. Il viso del ragazzo aveva assunto un pallore grigiastro. Se ne stava immobile. Inginocchiandosi al suo fianco, gli prese il polso e gli scostò la manica sfilacciata per tentare di percepire il battito di una vena. Il sangue gli pulsò contro le dita in modo rassicurante, procurandogli un enorme sollievo. La sua tunica , era strappata in alcuni punti. Invece i pantaloni, di un tessuto rozzo, erano trattenuti intorno alla vita da una cintura di cuoio intrecciato. Marrone scuro, macchiato dalla striature bianche del sale che si stava asciugando, con l'orlo incrostato di fango. I suoi indumenti indicavano la classe sociale a cui apparteneva: un contadino che viveva miseramente con le poche monete che riusciva a guadagnare. Era stato sciocco da parte sua angustiarsi tanto. Il ragazzo era chiaramente una nullità, e di certo non significava niente per Ragnar. Nondimeno, la situazione in cui era venuto a trovarsi gli toccava l'anima. Appariva talmente solo, talmente vulnerabile, senza nessuno che si fosse precipitato a proteggerlo o a reclamarne il possesso. "Non ne ho idea." Chinandosi, Ragnar gli copri i pettorali leggermente scolpiti con la tunica appesantita da veri strati di melma. Non intendeva rivelare le parole che il ragazzo si era lasciato sfuggire nella palude e che lo aveva tradito. Avrebbe tenuto per sé quell'informazione finché non avesse scoperto per quale motivo si trovava a Bertune. Perché proprio lì? In una zona del paese in cui i normanni avevano supplicato i danesi di aiutarli a spodestarli. Ma cosa ci faceva lì quel ragazzo cosi solo, cosi atterrito? Chiunque fosse, non costituiva una minaccia, per lui, né per nessun altro. Aveva una sia pur vaga idea dei rischi che stava correndo? La donna che li aveva avvertiti che era in procinto di affogare stava appoggiata contro il muro del cottage situato a breve distanza dalla spiaggia. Ragnar la interpellò. "Chi è?" "Lavora con noi alle pentole di sale." rispose la donna, un'espressione diffidente negli occhi arrossati. "E lavora duramente, per giunta. Ma è con noi solo da un paio di giorni. Gli occorre il denaro per pagare il traghetto, immagino. Non parla molto." "Dove vive allora?" interloquì Eirik in tono stizzito. "Non possiamo lasciarlo qui." "Perché non vai a raggiungere il resto degli uomini in città?" gli propose Ragnar, avvertendo la sua crescente frustrazione. "Mi occupo io di questa faccenda." "Ne sei sicuro?" Gli stivali di Eirik scricchiolarono sui ciottoli mentre si dirigeva verso di lui. "Avrei proprio bisogno di bere qualcosa." Infilò la punta di uno stivale sotto il fianco del ragazzo, sollevando il suo corpo senza necessità, le labbra atteggiate a un ghigno beffardo. "è strano che un cosino così piccolo riesca a causare tanti guai, non trovi?" domandò, ritirando lo stivale così di colpo che il corpo del ragazzo tornò a rotolare supino sulla spiaggia. Un braccio gli ricadde di lato, facendogli sbattere la mano sulle pietre, il palmo si coprì di linee rosse. Ragnar strinse i pugni lungo i fianchi, soffocando l'impulso di spingere via l'amico. Maledizione, trattalo come un essere umano, pensò, non come un animale! "Vai pure." Si stampò un sorriso sul viso, augurandosi che fosse convincente. Spinse la spalla di Eirik in un gesto amichevole. "Lo porterò a casa." "Dopo averti dato un'occhiata, fuggirò a gambe levate." Eirik rise, avviandosi attraverso la spiaggia. "Il tuo aspetto spaventerebbe a morte qualsiasi omega. Non perdere troppo tempo con lui, comunque. Voglio vederti alla locanda prima che l'oscurità cali del tutto." Alzò un braccio in un gesto di saluto, i capelli arruffati dal vento sempre più impetuoso. Poi scomparve lungo un vicolo fra i tetti spioventi di due cottage, l'altra figura inghiottita dalle ombra dell'imbrunire. Il ragazzo stava tremando, adesso, il suo viso aveva assunto una tonalità bluastra. Sfilando la spilla dal mantello, Ragnar si lasciò cadere in ginocchio senza curarsi delle pietre aguzze che gli si conficcarono negli stinchi attraverso le brache. L'elsa della spada scattò verso l'alto allorché la punta del fodero colpi la spiaggia. Lui lo spinse da parte, in modo che gli pendesse lungo il fianco. Si accigliò. Eirik aveva ragione? Malgrado avesse la reputazione di essere spietato, sul campo di battaglia, nonostante l'abilità con un'ascia o una spada, non desiderava spaventare nessun omega. Si chino sul ragazzo, si sentì come un idiota ingombrante, maldestro e impacciato, troppo corpulento per prendersi cura di un omega. Dopo avergli steso il mantello sul petto, insinuò le mani sotto di lui per sollevarlo, in modo da poterglielo rimboccare intorno. Le fragili protuberanze della spina dorsale gli premettero contro le dita. Mentre tornava ad abbassarlo al suolo, un tenue profumo di fiori tipico odore di un omega si sprigionò dalla pelle di lui, colpendogli le narici, inducendo i suoi sensi a risvegliarsi all'istante. Quando era stata l'ultima volta in cui era stato così vicino a un'omega? Al punto da percepire il suo profumo? Non fu in grado di ricordarlo. La situazione disperata della sorella aveva occupato le sue giornate e ossessionato le sue notti. Qualunque desiderio avesse provato era stato ucciso dal senso di colpa, i suoi incontri con degli uomini beta o omega erano rari e, se avvenivano, tendevano a essere dei rapidi, quasi riluttanti amplessi dai quali non ricavava il benché minimo piacere. Spazientito da quei ricordi, si diede un'occhiata intorno sulla spiaggia. Doveva sbarazzarsi del ragazzo e concentrarsi sul rintracciare l'uomo che aveva trasformato sua sorella nell'ombra di se stessa. Adesso, però, la stretta striscia sassosa era deserta, fatta eccezione per un gabbiano che camminava lungo il bordo spumeggiante della sempre più alta marea. Strano che nessuno fosse stato disposto ad aiutarlo. Del resto erano tempi difficili, la fiducia doveva essere guadagnata. Ragnar si chiese se gli abitanti della città avessero intuito la diversità del ragazzo, notato i suoi modi stranieri, senza però riuscire a individuare la sua provenienza. Un gemito sommesso lo indusse ad abbassare lo sguardo, un gemito che indicava il ritorno della coscienza. Il ragazzo batté le lunghe ciglia contro le guance esangui, poi dischiuse un tantino al bocca. Aveva le labbra piene, carnose, di un invitante rosa acceso. Per qualche inspiegabile ragione, Ragnar anelò a vedere il colore dei suoi capelli, si sentì prudere le mani per la voglia di strappargli il copricapo dalla testa, togliere la spilla e gettare da parte il voluminoso lembo di tessuto. Il sudore gli inumidì i palmi delle mani, e si affrettò a strofinarli contro le brache. Il ragazzo spalancò gli occhi. Due enormi pozze blu dominavano il suo volto, sfavillanti come zaffiri. Le scure profondità dell'oceano in una luminosa giornata estiva. Nella luce morente, lui si abbeverò a quella magnifica tonalità, lo divorò con lo sguardo, i nervi in subbuglio per l'eccitazione che gli accelerava i battiti del cuore. Cosa gli stava accadendo? Era inconcepibile che un giovane così insignificante dovesse sortire un simile effetto su di lui, tanto più che era infagottato come un straccione, nelle sue umili vesti macchiate di fango, ogni pollice della sua pelle celata alla vista, tranne il pallido, atterrito viso. Un momento. No, non atterrito. Ragnar scorse il lampo di collera che gli saettò negli occhi, le labbra serrate in una linea dura, i pugni stretti lungo i fianchi. "Sono qui per aiutarvi." dichiarò in sassone, tentando di imprimere un tono gentile alla sua voce e allungando la mano per toccargli la spalla. "Toglietemi le mani di dosso?" squittì lui. Allontanandogli il braccio, si sforzò di mettersi seduto. Il mantello ricadde in avanti, ammucchiandosi sul suo grembo mentre si raddrizzava. Con un gesto irritato, gettò via il mantello, puntellando le mani e i talloni contro le pietre, dimenando i fianchi per strisciare all'indietro, allontanandosi da lui. "Calmatevi, ragazzo." Ragnar si accovacciò. "Non intendo farvi del male." Malgrado i suoi sforzi, non era riuscito ad arrivare molto lontano. "Lo so, maledette bietolone!" Il ragazzo si interruppe, chiaramente frustrato dalla sua incapacità di muoversi. Si toccò la spilla, come per accertarsi che fosse ancora appuntata sulla sua gola. "Perché diavolo vi sareste preso la briga di tirarmi fuori dal fango se avreste avuto intenzione di uccidermi?" Ragnar si morse il labbro per impedirsi di scoppiare in una risata. Dove aveva imparato il Sassone? In un accampamento militare? Il suo linguaggio non aveva niente da invidiare a quello di un qualsiasi briccone. Sorrise, modificando in fretta l'opinione che si era fatto del ragazzo. Nelle palude era stato un derelitto, ridotto all'impotenza, la corporatura tipica di un omega e il viso angelico avevano lasciato intuire un'indole benevola e arrendevole. Fino a che punto si era sbagliato! Era peggio che aggressivo, un vero delinquente. Incrociò le braccia sull'ampio petto, quasi si stesse preparando a battersi con lui. Cosa assai curiosa, trovò allettante quella prospettiva.
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