Capitolo Dodici

1109 Parole
Serrando le labbra, osservò la marea di gente davanti a lui. Si trattava di un'eventualità alquanto remota, come minimo. Se non fosse riuscito a recuperare il denaro del riscatto prima che il padre lo avesse perduto tutto, la vita di suo fratello sarebbe stata in pericolo. E sarebbe stata colpa sua. Suvvia, George, si ammonì severamente, mostra la tua forza di carattere. Erano giunti troppo lontano e ne avevano passate troppe per arrendersi adesso. Stringendosi addosso lo scialle, chinò la testa e si tuffò nella mischia, facendosi strada a gomitate, lo sguardo inchiodato al suolo. Nessuno gli rivolse una seconda occhiata. I biondi, giganteschi danesi erano occupati a vuotare i loro boccali di birra e a intonare i loro canti. Alcuni tenevano fra le braccia ragazzi e ragazze sassoni, con i quali avrebbero trascorso la notte. Girando intorno allo steccato a cui erano legati i cavalli di fronte alla locanda, George si fermò un istante per riprendere fiato e rafforzare la propria determinazione. Alla sua sinistra, un gruppo di danesi era radunato intorno a quello che sembrava un fagotto di stracci caduto al suolo. Un uomo si accovacciò, allungando il braccio per scrollare qualcosa, poi un altro lo imitò. No, si rese conto, non erano stracci. Era un uomo steso sul lastrico. Torse la bocca in una smorfia sarcastica. Quei danesi erano noti per ubriacarsi fino a perdere conoscenza. Distogliendo lo sguardo, tornò a fissare la locanda, la luce che filtrava attraverso le fenditure degli scuri. Come avrebbe fatto a entrare là dentro senza che tutti si voltassero a guardarlo, quando avesse varcato la soglia? Il sudore gli inumidì le ascelle, un senso di gelo gli si accentrò nell'addome. Poi qualcosa lo indusse a riportare lo sguardo sull'uomo steso al suolo. Altri uomini lo circondavano ora, le voci costernate, il gutturale idioma norreno che giungeva fino a lui. Erano riusciti a metterlo seduto, la testa brizzolata chiusa fra le mani si accasciava contro il muro. Fra le gambe dei danesi, George scorse gli stivali consumati dell'uomo, le brache di lana verde scuro. Non era un guerriero, a giudicare dall'aspetto. Il cuore gli accelerò i battiti, poi si lanciò a un galoppo sfrenato mentre stringeva spasmodicamente le dita intorno allo steccato. Sapeva chi era quell'uomo. "Padre!" gridò, avendo cura di usare la lingua sassone. Quei barbari norreni l'avrebbero compreso. Alzando i pugni, li abbatté sul miro di schiene danesi. "Lasciatemi passare!" Mentre tutti si voltavano, sbalorditi, lui riuscì a insinuarsi tra i loro corpi massicci. Un uomo allungò un braccio e gli sbarrò la strada. "No, signore, non è uno spettacolo che possiate vedere." George, però, aveva già visto: il corpo ingobbito del genitore accasciato contro il muro, la testa fra le mani. I capelli e la barba striati di grigio, incrostati di sangue. Il viso mortalmente pallido, solcato dalle rughe ben note. Il sangue gli colava sui polsi ossuti, gocciolando al suolo. "Che cosa vi hanno fatto? la sua voce fu un lungo gemito. Inginocchiandosi accanto a lui, si tolse il mantello e glielo avvolse intorno alle spalle. "Cosa è successo?" Lui alzò lo sguardo offuscato e batté le palpebre, allorché lo riconobbe. Si schiarì la gola. "Avevo vinto, George. Avevo vinto una grossa somma. E loro me l'hanno portata via." Un impeto di furore l'assalì, un'ira cieca per l'ingiustizia della situazione, per la stupidità dimostrata dal padre, comportandosi in modo così avventato. L'occhio gli cadde sulla corta spada del genitore, l'elsa che spuntava dalla cintura. Non pensando che a vendicarsi di coloro che lo avevano derubato. George afferrò l'elsa, sfilando la lama dal fodero di cuoio. Con l'agilità di un gatto, balzò in piedi e si volse verso il cerchio di danesi. "Chi di voi ha rubato il suo denaro?" gridò, fendendo l'aria con la spada. La lama scintillò in modo sinistro, riflettendo il bagliore dei fuochi. "Chi è stato?" "Non noi." ribatté uno degli uomini. "Vi sbagliate. Lo abbiamo trovato così, incosciente e sanguinante. Siamo stati noi ad aiutarlo a sedersi." "Non vi credo." George separò i piedi, quasi si preparasse a dar battaglia. Il terrore che quei guerrieri erano stati in grado di incutergli l'abbandonò al pensiero di ciò che era accaduto al padre. Doveva recuperare il denaro, in un modo o nell'altro, la loro situazione era disperata. "Sappiamo tutti di cosa siete capaci, voi danesi. Perché non aggredire un uomo anziano e rubargli il suo denaro? è una facile preda, dopotutto." Descrisse un semicerchio con la spada, vibrandola a casaccio. "Restituitemelo, all'istante! So usare questa lama, vi avverto." "Ma noi non lo abbiamo." spiegò un altro uomo, allungando le mani per tentare di rabbonirlo. "Noi non" "Che cosa sta succedendo qui?" Risuonò una voce imperiosa, proveniente da dietro il gruppo. I guerrieri si scostarono all'istante, aprendo un varco per permettere a un altro uomo di passare. Era più alto di mezza testa rispetto ai suoi compagni, con lucidi capelli scuri e occhi castani. Un uomo giovane, che avanzava con l'incedere tronfio e arrogante che derivava dall'autorevolezza, la testa inclinata da un lato mentre ascoltava le spiegazioni di uno degli uomini. Lanciò un'occhiata frettolosa all'anziano accasciato contro il muro. Poi, tenendosi a prudente distanza dalla lama, circondato dai corpulenti danesi, fisso George con aria sdegnosa. Anche se il sudore gli inumidì le dita strette intorno all'elsa di cuoio, lui non si mosse, l'espressione ribelle, la lama protesa di fronte a sé. "Che cos'è questa sciocchezza, ragazzo?" "Siete il capo di questi uomini?" "Esatto, sono Eirik Sweynsson." Lui incrociò le braccia sul petto. "Ditemi, cosa sta succedendo qui?" "I vostri uomini, i vostri maledetti uomini, hanno rubato il denaro di mio padre e le sue vincite." George passò lo sguardo intorno al cerchio di uomini, aspettandosi che uno di loro si facesse avanti e ammettesse la propria colpevolezza. "Lo hanno aggredito." Un lento sorriso incurvò le labbra di Eirik. "Sono certo che vi sbagliate, dato che loro mi hanno assicurato che non lo hanno fatto. Che anzi, lo hanno aiutato." "E voi ci credete? Dovreste perquisirli, come minimo!" "Perché dovrei credere a voi piuttosto che ai miei uomini?" Eirik rispose il mento, osservandolo con aria sprezzante. "Un'umile omega sassone, vestito di stracci." Percorrendolo con lo sguardo, prese nota della tunica stropicciata, i pantaloni rattoppati e del copricapo incolore che gli avvolgeva il collo e la testa. "Per quello che ne so, può darsi che non fosse nemmeno il vostro denaro. Con ogni probabilità, lo avete rubato a qualcun altro." Quelle parole lo punsero sul vivo, intensificando la sua collera. "Come osate?" gridò. Dimenticando la spada che aveva in mano, si lanciò in avanti, desiderando colpire, desiderando cancellare quel compiaciuto, altezzoso sorriso dal suo viso attraente.
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