Marco rimase immobile per lunghi minuti dopo che Alessandro era scomparso, fissando il pugnale sul pavimento come se fosse un serpente velenoso pronto a colpire. Le parole del fantasma risuonavano nella sua mente come un'eco tormentosa: "Sei tu. Sei sempre stato tu."
Lentamente, come se si muovesse sott'acqua, si chinò a raccogliere l'arma. Nel momento in cui le sue dita toccarono il manico d'argento, il mondo intorno a lui esplose in una cascata di ricordi che non erano suoi, ma che riconosceva come se li avesse vissuti ieri.
Si vide in abiti d'epoca, i capelli più lunghi raccolti con un nastro, mentre entrava furtivamente nella villa attraverso la porta del giardino. Il cuore gli batteva forte per l'eccitazione dell'incontro segreto con Alessandro, ma anche per la paura di essere scoperto.
"Marco, sei in ritardo," la voce di Alessandro risuonò nella memoria, giovane e piena di vita. "Credevo che non saresti venuto."
"Come potrei stare lontano da te?" si sentì rispondere con una voce che era la sua ma diversa, più formale, intrisa dell'accento dell'epoca. "Sei la mia ragione di vivere."
Marco lasciò cadere il pugnale con un grido strozzato, ma i ricordi continuarono ad affluire come un fiume in piena, travolgendo ogni sua resistenza.
Si vide fare l'amore con Alessandro in quella stessa biblioteca, i loro corpi nudi illuminati dalla luce del camino, le promesse sussurrate di amore eterno che sembravano vere come il respiro.
"Scappa con me," supplicava Alessandro, i capelli scuri sparsi sul cuscino di velluto rosso. "Andiamo in Francia, in America, ovunque. Qui non potremo mai essere liberi."
"Lo sai che non posso," si sentì rispondere, il cuore che si spezzava mentre pronunciava quelle parole. "Ho dei doveri, delle responsabilità. Margherita... i bambini..."
"E io?" gli occhi di Alessandro si riempivano di lacrime. "Io non conto niente?"
"Tu conti più della mia stessa vita," aveva sussurrato il Marco del passato, baciando quelle lacrime salate. "Ma non posso abbandonare la mia famiglia. Non posso rovinare il nome dei Benedetti."
Marco si piegò su sé stesso, sopraffatto dal dolore di quei ricordi che non erano ricordi ma vissuto reale. Ogni emozione, ogni sensazione era autentica, come se il tempo fosse un cerchio che si stava finalmente chiudendo.
L'ultima notte. Margherita che lo aspettava in salotto, gli occhi rossi di pianto e di rabbia.
"Lo so tutto," aveva detto con voce tremula ma ferma. "So di te e di quel... di quell'uomo. I servi parlano, Marco. Parlano del padrone che esce di notte e torna all'alba con l'odore di un altro addosso."
"Margherita, io posso spiegare..."
"Non c'è niente da spiegare," lei si era alzata, la dignità che le faceva tenere la schiena dritta nonostante il dolore. "O finisce questa vergogna, o io prendo i bambini e torno da mio padre. E tu sai cosa significherebbe per la tua reputazione, per la tua posizione sociale."
I bambini. I suoi piccoli, innocenti bambini che lo guardavano come se fosse un eroe. Come poteva distruggere le loro vite per la sua felicità?
Marco si rialzò bruscamente, le lacrime che gli rigavano il volto. "No," sussurrò alla stanza vuota. "Non può essere vero. Non io. Non potrei mai..."
Ma i ricordi continuavano, implacabili come una condanna divina.
Quella notte era andato da Alessandro per l'ultima volta, il pugnale nascosto nella giacca come un peso che gli schiacciava l'anima. Alessandro lo aveva accolto con il sorriso radioso di sempre, ignaro di quello che stava per accadere.
"Amore mio," Alessandro si era gettato tra le sue braccia. "Ho deciso. Scappiamo stanotte. Ho venduto i miei gioielli, ho abbastanza denaro per..."
"Alessandro, non possiamo." Le parole erano uscite come vetri rotti dalla sua gola.
"Perché?" Alessandro si era allontanato, leggendo qualcosa di terribile nei suoi occhi. "Cosa è successo?"
"Margherita sa tutto. Minaccia di portarmi via i bambini, di rovinare la mia famiglia."
"E allora lasciala fare!" Alessandro aveva afferrato le sue mani con disperazione. "Costruiremo una nuova famiglia, io e te. Quello che conta è il nostro amore!"
"Tu non capisci", aveva sussurrato il Marco del passato, con il pugnale che gli bruciava contro il petto come un carbone ardente. "Non posso perdere i miei figli. Non posso disonorare il nome di mio padre.»
"Quindi scegli loro invece che me?" Alessandro aveva fatto un passo indietro, gli occhi che si riempivano di una comprensione terribile.
"Perdonami," erano state le ultime parole prima che la lama si conficcasse nel petto di Alessandro. "Perdonami, Alessandro. Non avevo scelta. I bambini... dovevo pensare ai bambini."
Marco si accasciò sul pavimento della biblioteca, il corpo scosso da singhiozzi che sembravano voler spezzargli le costole. Vedeva tutto ora, ricordava tutto. L'espressione di shock negli occhi di Alessandro quando la lama lo aveva trafitto, il sangue che macchiava la camicia bianca, le mani che si alzavano tremule verso il suo volto.
"Ti... ti amo," erano state le ultime parole di Alessandro, sussurrate mentre la vita scivolava via dai suoi occhi. "Anche... anche ora, ti amo."
E lui, il codardo, il traditore, era fuggito nella notte, lasciando il corpo dell'uomo che amava più della vita stessa a marcire in quella villa maledetta.
"Io l'ho ucciso," sussurrò Marco al pavimento di marmo freddo. "Io ho ucciso l'unico uomo che abbia mai amato veramente."
"Sì," la voce di Alessandro risuonò alle sue spalle, gelida come il vento invernale. "Finalmente ricordi."
Marco si girò lentamente, vedendo Alessandro materializzarsi nella luce dorata del pomeriggio. Ma ora il fantasma sembrava diverso, più solido, più terribile nella sua bellezza spettrale.
"Ho aspettato duecento anni che la tua anima tornasse in questa villa," continuò Alessandro, camminando lentamente verso di lui. "Duecento anni per sentirti confessare quello che hai fatto."
"Alessandro, io... quello che feci era sbagliato, ma io..."
"Tu hai scelto la tua rispettabilità invece del nostro amore," Alessandro si fermò davanti a lui, gli occhi che bruciavano di un fuoco glaciale. "Hai scelto la paura invece del coraggio. Hai scelto di essere un codardo invece di essere un uomo."
"Lo so," Marco alzò gli occhi verso di lui, non cercando più di negare o di giustificarsi. "Lo so, e ho vissuto ogni giorno della mia vita precedente tormentato dai rimorsi. Sono morto giovane, consunto dal senso di colpa, pronunciando il tuo nome con l'ultimo respiro."
"E credi che questo basti?" Alessandro si chinò verso di lui, il volto a pochi centimetri dal suo. "Credi che il rimorso possa cancellare quello che hai fatto?"
"No," Marco scosse la testa, le lacrime che continuavano a scendere. "Niente può cancellarlo. Ma Alessandro, nonostante tutto quello che è successo, nonostante quello che ho fatto, io ti amo. Ti ho amato allora e ti amo adesso, con ogni fibra della mia anima dannata."
Alessandro si fermò, qualcosa che tremolò nei suoi occhi come una crepa in una lastra di ghiaccio. "Come osi dire che mi ami dopo quello che hai fatto?"
"Perché è vero," Marco si alzò lentamente, affrontando lo sguardo furioso del fantasma. "Ti ho ucciso proprio perché ti amavo troppo. Ero terrorizzato dall'intensità di quello che provavo per te, dalla forza con cui il mio cuore si ribellava a tutto quello che mi era stato insegnato."
"Menzogne," sibilò Alessandro, ma la sua voce tremava.
"No, verità," Marco si avvicinò di un passo. "Ero un codardo, hai ragione. Ma ero un codardo innamorato pazzo di te. Ogni notte che passavamo insieme era il paradiso, e ogni mattina che dovevo tornare dalla mia famiglia era l'inferno. Ti ho ucciso perché non riuscivo a vivere né con te né senza di te."
Alessandro lo guardò per lunghi momenti, come se stesse vedendo qualcosa che non aveva mai notato prima. "E ora?" chiese infine, la voce appena un sussurro. "Ora che ricordi tutto, ora che sai chi sei veramente, cosa scegli?"
Marco prese il pugnale dal pavimento, sentendone il peso familiare nella mano. "Scelgo di dare la mia vita per te, come avrei dovuto fare duecento anni fa."
Prima che Alessandro potesse fermarlo, Marco girò la lama verso il proprio petto. "Ti amo, Alessandro. E questa volta, scelgo te."
"No!" Alessandro si mosse più veloce del vento, afferrando il polso di Marco. "Non così! Non può finire così!"
I loro occhi si incontrarono, e in quello sguardo Marco vide qualcosa cambiare. La rabbia si mescolava al dolore, l'odio si contorceva con l'amore mai morto, la vendetta lottava contro il perdono.
"Allora dimmi tu come deve finire," sussurrò Marco, il pugnale che tremava tra le loro mani unite. "Dimmi cosa devo fare per espiare quello che ho fatto."
Alessandro lo guardò per un'eternità, e Marco vide negli occhi del fantasma una guerra antica quanto l'amore stesso, la battaglia eterna tra il perdono e la vendetta, tra l'amore e l'orgoglio ferito.
La risposta che Alessandro stava per dare avrebbe deciso il destino di entrambi per l'eternità.