La sveglia continuò a trillare come se i precedenti colpi al cellulare per cercare di farla smettere non fossero stati sufficienti e William credette di impazzire. Quella era la classica mattina in cui al solo pensiero di dover aprire gli occhi e affrontare un giorno di scuola lo stomaco si rivoltava, le gambe stavano immobili sotto le coperte, il letto sembrava improvvisamente più caldo e accogliente e la testa pesante quanto un mattone. Impossibile alzarsi. Eppure, doveva farlo. Riteneva la scuola davvero importante e non ci voleva un genio per capire il perché. Nadine aveva lasciato la scuola a soli diciassette anni per prendersi cura di William ed era finita ridotta in quello stato pietoso, pari a quello di un'ameba. Inutile e senza forze necessarie a reggere l'enorme peso che era un figlio. William ringraziava il fatto che mai ci fossero stati fratellini in arrivo, o si sarebbe dovuto occupare anche di loro, oltre che di sua madre e di sé stesso. A quel punto la situazione sarebbe stata complicata a livelli incredibili.
Oltre quei mille pensieri, ci si metteva pure il fatto che avesse litigato con Luke, James e Kyle per Edward e che la fortuna (stronza come sempre) voleva che avesse la prima ora in comune con Luke e Kyle e la terza con James. Li avrebbe visti e poi? Avrebbe dovuto ignorarli o cercare di chiarire? No, dovevano essere loro a cercare lui; erano stati loro ad essere irrispettosi, William glielo aveva fatto soltanto notare, in modo piuttosto brusco, ovvio, ma almeno si era occupato di fargli capire che i pregiudizi non portavano da nessuna parte e che se avessero voluto continuare quel rapporto di amicizia con lui avrebbero dovuto accettare il legame tra lui ed Edward. Sorrise istintivamente nel pensare al giorno prima e a ciò che era successo. Al lavoro avevano scherzato come sempre, ma era ovvio che l'essersi aperto con lui la mattina prima avesse portato risvolti positivi alla loro amicizia. Edward gli era molto più vicino e inoltre c'era meno imbarazzo tra loro, rispetto i primi giorni in cui William si teneva a debita distanza e il riccio cercava di convincerlo di non essere uno stalker.
Senza nessuno sforzo si tirò su, sollevato dalla voglia di vedere il riccio. Era strano ma bello il fatto che il solo pensiero di Edward e di spendere due parole contate con lui ogni giorno lo rendesse felice. Era come venire rassicurati o un motivo in più per ripetersi che ce la poteva fare. Incredibile come la vita potesse cambiare radicalmente in così poco tempo grazie ad una sola persona.
Uscì dalla stanza ma tornò subito dentro appena il cellulare squillò. Lo prese ancora mezzo addormentato e rispose distratto chiudendosi in bagno per prepararsi mentre parlava al telefono. «Pronto?» rispose poi, guardandosi allo specchio e facendo una smorfia nel notare le occhiaie. Doveva dormire di più. Difficile farlo quando tua madre passa tutta la notte ad urlare e gemere nella stanza accanto e tu sei talmente stanco che dormire diventa impossibile a causa della troppa stanchezza. Quando sarebbe finito tutto?
«Già sveglio? Non me l'aspettavo. Buongiorno, William.» lo salutò Edward dall'altra parte del telefono.
«Sveglio e carico.» ironizzò William, prima di «In realtà sembro uno zombie e sto morendo di sonno.» ammettere sbuffando e mettendo il telefono sul mobile accanto al lavandino, attivando il vivavoce proprio mentre Edward rideva, «Quindi non penso ti farebbe schifo se ti dicessi che tra dieci minuti passo a prenderti e ti porto a fare colazione?» propose il riccio e William sorrise, perché davvero, era umanamente possibile essere così...così Edward?
«Non farebbe schifo per niente. Proverò a prepararmi in dieci minuti, quindi prega nel miracolo, sarà quasi impossibile.» rise spogliandosi, ed Edward rise a sua volta, «Ti abbono cinque minuti, muoviti.» disse prima di chiudere.
William si fece una doccia veloce, rabbrividendo per l'acqua ghiacciata e si vestì altrettanto velocemente. Uscì giusto in tempo mentre leggeva il messaggio di Edward che lo avvertiva del fatto che stava arrivando, così dopo una corsa sfrenata girò l'angolo reggendo lo zaino sulla spalla e si piazzò davanti al portone di un palazzo che non era il suo ma che dava di sicuro un'opinione migliore della topaia che era il palazzo in cui viveva.
La macchina di Edward si fermò proprio davanti a lui e il finestrino venne abbassato, come il flashback di qualche giorno prima in cui era passato a prenderlo per andare da lui a fare quel progetto.
Avrebbe davvero dovuto restituirgli i vestiti lavati e smetterla di tenerli sulla scrivania come rassicurazione su non sapeva neanche lui cosa. Probabilmente gli sembravano un'assicurazione sul fatto che qualunque cosa sarebbe successa, avrebbe sempre avuto una scusa per vederlo. A che diavolo pensava? Sul serio?
«Sali o devo pregarti?» lo prese in giro Edward, aprendo lo sportello con una spinta della mano ornata di anelli, completamente piegato sul sedile del passeggero, per poi rimettersi dritto con la schiena contro il sedile e sorridergli. William si affrettò a salire in auto e chiuse lo sportello, mettendo la cintura e poggiando la testa al finestrino, bofonchiando un «Ho sonno.» confermato dallo sbadiglio che tentò di nascondere con la mano.
Edward rise, «Si vede. Stanotte hai dormito?» chiese, partendo e guardando attentamente la strada. William alzò la mano scuotendola leggermente, «Così così; forse due o tre ore.» ammise, storcendo la bocca al solo ripensare alle urla e i gemiti che aveva dovuto sopportare fino alle quattro del mattino.
«Due o tre ore? Di nuovo? Ma si può sapere cosa fai la notte invece di dormire? Capisco una o due notti, può capitare, ma quando cominci a dare la stessa risposta per quasi una settimana di fila, la cosa si aggrava. Non riesci a dormire?» lo riprese Edward, evidentemente preoccupato, ma William scosse la testa non volendo rispondere. Non voleva mentire a Edward, era convinto che dire bugie di continuo non portasse un'amicizia sulla retta via. Quindi ometteva delle verità o al massimo evitava l'argomento sviando il discorso su altro, ma in quel momento era davvero troppo stanco (sia per il sonno perso che per la corsa assurda) e non aveva voglia di sforzare il cervello nel vano tentativo di trovare giustificazioni o scuse. O addirittura altri argomenti da proporre. Era troppo da chiedere.
«Sto parlando da solo?» lo riscosse Edward, picchiettando un dito sulla sua spalla. William sbuffò, «Edward, sto bene.» borbottò poi, ignorando lo sguardo per nulla convinto del riccio.
«Sei un pessimo bugiardo, avanti. Cosa c'è? Siamo amici no? Gli amici si dicono tutto.»
William si voltò guardandolo, errore gravissimo, e alzò le sopracciglia con un'espressione ovvia e scocciata stampata in faccia, «Non mento, dico che sto bene per sfuggire alla tua domanda, ficcanaso.» ammise, alzando le spalle e tornando a guardare fuori, distogliendo gli occhi azzurri dall'esterno del veicolo solo quando Edward parcheggiò davanti al bar.
«Non scendiamo fino a quando non mi dici che hai.» bloccò le sue speranze il riccio, bloccando anche gli sportelli. Possibile si stesse crogiolando per un deficiente che conosceva da sole due settimane? Ecco la cosa scomoda di avere degli amici, William non aveva mai pensato a questo fattore.
«So cosa stai pensando, sono un rompipalle. Ma che tu ci creda o no, mi interessa davvero e vorrei solo che tu stessi meglio. È così brutto chiederti cosa non va?» disse poi il riccio, togliendo la cintura e ruotando il busto in modo da essere faccia a faccia con William, che lo imitò subito puntando lo sguardo stanco negli occhi verdi dell'altro e alzando le spalle, «Edward non lo so.» cominciò, «Non mi sono mai ritrovato alle prese come persone come te e non so come prenderti. Voglio dire, capisco che tu trovi normale preoccuparti o che possa semplicemente essere curioso di sapere come mai non dormo molto, ma di alcune cose preferisco non parlarne. Mi dispiace.» disse giocando con le proprie mani leggermente a disagio. Era così che ci si sentiva ad avere un amico? Delle merde?
«Cosa intendi con "persone come te"? Sono pressante o noioso?» chiese interdetto Edward, non capendo il modo in cui l'altro l'aveva definito.
William fece per parlare ma poi premette le labbra rosse in una linea dura e spostò nuovamente lo sguardo fuori, «Persone a cui importa di me.» ammise dopo alcuni minuti di silenzio.
Edward lo guardò, a sua volta in silenzio per un po', poi annuì non volendo rendere la situazione pesante, aprendo gli sportelli e scendendo dall'auto. William lo seguì subito, chiudendo il proprio sportello ed entrando nel bar accanto al riccio, afferrandogli il polso e facendolo voltare verso di lui, «Questo non significa che non mi fidi. Mi fido, non so come mai e si, tutto è successo molto velocemente, ma so di poterti credere. Non sei tu il problema, solo...non sono pronto a farti dare un'occhiata nella mia vita.» confessò, stringendo leggermente la presa sul polso di Edward che sospirò guardandolo incerto, «Giuri?» chiese poi, con un pizzico di ironia.
William sorrise, «Giuro, croce sul cuore.» stette al gioco, tracciando appunto una croce sul cuore. Stesso cuore che sussultò quando Edward fece scivolare la mano nella sua e per il minimo percorso dall'entrata del bar al primo tavolino disponibile tenne stretta quella più piccola di William nella sua.
Se solo il tempo si potesse fermare, William avrebbe fermato le lancette alle 7:32 di quel nuvoloso giovedì. Ma purtroppo, il tempo scorre e il corso degli eventi ci travolge; come stava per succedere a William ed Edward.