13. WITHOUT HIM (first time)

1720 Parole
Ignorarlo? No, sarebbe stato da maleducati. Parlargli? Certo, e dirgli che la sua famiglia gli sembrava un ammasso di sociopatici? Fare finta di non aver visto la chiamata? Si sarebbe sentito una merda. William sbuffò nervosamente, guardando il cellulare che squillava sul suo comodino; ovviamente la chiamata era di Edward. Sempre ovviamente, la cena del giorno prima a casa Adams era stata un disastro, per non parlare del fatto che si erano letteralmente saltati addosso. Avrebbe voluto scavare una fossa e non uscirne più per la vergogna. «Fai cessare quel dannato affare, William Spencer!» gridò Nadine, sorprendendo William. Come mai non era rincoglionita sul divano, agonizzante? Per William era stata una sorpresa anche non trovare la madre intenta a divertirsi con qualcuno la notte prima. Si alzò svogliatamente dal letto e mise il silenzioso al cellulare uscendo poi dalla stanza, «Come mai sei normale, oggi?» chiese curioso, chiudendo la porta della sua camera e squadrando la donna, non fidandosi per niente del finto sorriso sulle sue labbra, alzando un sopracciglio quando notò addirittura la colazione in tavola. Era sicuro di non averla preparata, dato che si era appena svegliato. «Io sono sempre normale, amore.» gli fece notare Nadine, sedendosi e facendogli cenno di farle compagnia a tavola. William si sedette senza abbassare comunque la guardia, «Ci sono due possibili motivi per cui hai fatto tutto questo fingendoti una madre modello e vestendoti persino, di solito giri nuda.» disse, bloccando in partenza il possibile approccio della donna, che assunse un'espressione dispiaciuta. Falsa, ma dispiaciuta. «E sarebbero, tesoro?» chiese pazientemente, spalmando burro e marmellata sul pane tostato. Avevano un tostapane? E chi aveva comprato quelle cose? Ne aveva abbastanza delle solite mille domande senza risposta. «O hai trovato il millesimo "amore della tua vita" oppure ci dobbiamo trasferire, di nuovo.» disse bevendo il the. Era il suo preferito. Strano che sua madre se lo ricordasse. Probabilmente era finito in un universo parallelo, perché nella sua vita una cosa simile non era possibile. «Entrambe.» annunciò Nadine, facendo soffocare William col thè. Inghiottì tossicchiando e la guardò spalancando gli occhi azzurri, «Mi prendi per il culo? Perché dovremmo trasferirci se lo hai trovato qui?» sbottò, pensando subito a Edward. D'accordo, lo aveva evitato prima ma prima o poi gli avrebbe parlato e la sola idea di perderlo era come una doccia gelata in pieno dicembre. Non poteva accettarlo, non poteva perderlo e non rivederlo mai più. «Prima di tutto: modera i toni. Inoltre, io e Arthur vogliamo vivere a Santa Monica e ci sposeremo sulla costa, è già tutto organizzato e si parte fra una settimana.» continuò la donna, fingendo di non vedere il turbamento sul volto del figlio. William scosse la testa in un categorico rifiuto e si alzò producendo un rumore fastidioso con lo strisciare della sedia sul pavimento, «Chi l'ha deciso? Tu, come sempre! Non puoi fare come se io praticamente non esistessi e poi fingere di essere la madre modello del momento e spiattellarmi in faccia che tu e il deficiente con cui scopi avete deciso di sposarvi e partire per Santa Monica! Sono almeno quattromila chilometri da qui, è praticamente dalla parte opposta di Beckley e non ci sto. Basta con queste decisioni all'improvviso, basta col cambiare posto, mi sono rotto le palle. E dannazione, non dirmi di abbassare o moderare i toni perché se avessi avuto qualcuno che mi istruisse in tutti questi anni, sarei una persona migliore. Vacci tu in quella dannata città, parti anche oggi, fra tre mesi sarò maggiorenne e potrò cavarmela da solo, non che non lo faccia da sempre, ma almeno sarò libero e non dovrò finire in una merda di orfanotrofio o in qualche strada al gelo!» sputò, guardando la donna che l'aveva messo al mondo con molta, troppa, rabbia repressa. Sapeva che prima o poi sarebbe scoppiato, e quella era la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Nadine lo guardò severamente e poi si alzò rapidamente dalla sedia tirandogli uno schiaffo talmente forte da fargli girare la testa di lato, «Tu verrai con me, oppure passerai i prossimi mesi in uno schifoso orfanotrofio dove ti tratteranno come meriti. Hai forse dimenticato la volta che sei scappato? Volevano rinchiuderti lì e farti chissà cosa! Inoltre, credi che i servizi sociali potrebbero aiutarti? Neanche per sogno, andresti di famiglia in famiglia proprio come fai ora, perché nessuno ti vorrebbe, sei già grande e rompi i coglioni abbastanza per tre persone! Ora vai a scuola, è tardi.» disse decisa, dirigendosi a grandi passi verso la camera e chiudendo poi la porta. William fu grato che fosse sparita, non voleva che vedesse le lacrime che scendevano a velocità impressionante dai suoi occhi. Le asciugò con un gesto stizzito della mano e andò in camera, notando solo in quel momento i vestiti piegati sulla scrivania. La notte prima aveva lavato e steso i vestiti che Edward gli aveva prestato, piegandoli e poggiandoli su quelli che la volta prima il riccio gli aveva dato per cambiarsi dopo aver affrontato la pioggia. Accennò un sorriso triste e sospirò pesantemente tirando su col naso, prima di prendere la propria roba e farsi una doccia veloce, vestirsi e lasciare i capelli così com'erano. Non aveva la minima voglia di sistemarli, non si era neanche guardato allo specchio per evitare di piangere di nuovo, ma le lacrime versate sotto la doccia gli avevano di certo provocato due occhi rossi e gonfi. Mise alcuni libri nello zaino e due quaderni, poi lo chiuse ed uscì dalla stanza, tornando indietro subito dopo e mettendo dentro anche i vestiti del riccio, afferrando il cellulare ed uscendo di casa senza dire nulla o accennare un saluto a Nadine. Non lo meritava, gli stava rovinando la vita. Alla faccia dell'universo parallelo. Come per miracolo, gli arrivò l'ennesima chiamata, ma stavolta da parte di Fabian. Leggere il suo nome sullo schermo lo fece sentire un po' meglio e rispose incamminandosi verso scuola, «Hola! Come sta il mio niño preferito?» chiese l'uomo dall'altra parte del telefono. William sorrise camminando, «Preferisco non parlarne, tu come stai?» chiese, calciando un sassolino annoiato. «Tutto bene. Ti sento giù, dime lo que pasa. Nadine eh?» rispose Fabian che ovviamente aveva capito che il malumore avesse a che fare con la madre. Era sempre così, in fondo. «Vuole che parta con lei e il suo nuovo idiota a Santa Monica tra una sola settimana e la cosa mi fa andare fuori di testa! L'ho seguita per tutti questi anni cercando in tutti i modi di evitare di affezionarmi alle persone che conoscevo nelle altre città ma ormai ho diciotto anni e credo sia normale che prima o poi capiti qualcuno con cui stai bene e ora che l'ho trovato devo partire dall'altra parte dello stato solo perché lo vuole lei. Non voglio andarmene, ho trovato anche dei ragazzi con cui mi sto lentamente conoscendo e sono davvero simpatici ma mi ha minacciato, di nuovo, riguardo l'orfanotrofio.» spiegò a grandi linee, sbuffando per la rabbia e la tristezza. Era tutto così sbagliato ed ingiusto. Fabian sospirò dall'altra parte della linea, «Chico, sai che posso chiamare la polizia e farla intervenire, vero?» gli ricordò, come sempre. Ma William scosse la testa e ovviamente l'uomo capì, nonostante non potesse vederlo, che il silenzio che aveva accompagnato la risposta alla sua domanda, era un chiaro no. «Gli orfanotrofi non sono così male, sai? E poi usciresti tra pochi mesi.» continuò Fabian, fermandosi quando sentì il ragazzo tirare su col naso, «Sono arrivato a scuola, grazie per avermi chiamato, ti scrivo dopo, okay?» lo liquidò William, intravedendo l'edificio. Fabian tacque per qualche secondo, «Va bene, te amo.» disse e William sorrise appena, «Ti voglio bene anche io, ciao Fabian.» rispose, chiudendo la chiamata e mettendo il cellulare in tasca, entrando nel cortile della scuola. Si diresse al suo armadietto e a causa della sua solita fortuna, notò Edward che prendeva dei libri. Il riccio si voltò sentendo la sua presenza e lo guardò per qualche secondo, rimettendo i libri nell'armadietto e fingendo di cercare solo Dio sapeva cosa. «Non hai risposto alle mie chiamate.» cominciò il ragazzo, guardandolo con la coda dell'occhio. William alzò le spalle mettendo i libri nel proprio armadietto ed appendendo lo zaino. «Cosa ho fatto ora?» chiese allora Edward, sbuffando per il mutismo dell'altro e poggiandosi alla fila di armadietti dopo aver chiuso il proprio. William non rispose e gli porse i vestiti, «Grazie per avermeli prestati ieri e la scorsa volta.» disse con tono atono. Non era sua intenzione trattare in quel modo Edward, ma dopo l'inizio di quella mattina schifosa preferiva evitare di parlare con chiunque se non sé stesso. Anzi, forse era meglio non parlare neanche tra sé e sé. Edward li prese aprendo nuovamente l'armadietto e poggiandoli dentro, per poi chiuderlo e voltarsi riprendendo la posizione di poco prima, «William, è per ieri? Mi dispiace per come si sono comportati i miei, negli ultimi tempi ho qualche problema a casa e mi dispiace per come mi sono comportato io dopo cena, ma non per queste cazzate devi ignorarmi. Parliamone, dimmi cosa c'è che non va e risolviamo, rovinare un'amiciz-» «Non c'è nessuna amicizia da rovinare, Edward, non più.» William si voltò e chiuse il proprio armadietto, «Tra una settimana parto.» disse, pacato. In ogni caso prima o poi l'avrebbe scoperto e tirarla per le lunghe era inutile. Edward sgranò gli occhi, «Che vuol dire che parti?» chiese, allibito. William alzò le spalle mordendosi con forza il labbro inferiore, gli incisivi premettero fino a far sanguinare la zona torturata e William leccò immediatamente via il sangue. Edward seguì il movimento e guardò poi il ragazzo negli occhi lucidi e stanchi. «Sono qui.» disse soltanto, abbracciando il liscio, che si strinse a lui scoppiando a piangere silenziosamente, facendosi piccolo tra le braccia di Edward, che lo strinsero mentre il ragazzo gli accarezzava la schiena per confortarlo, «Non sarai solo, lo prometto.» sussurrò al suo orecchio, baciandogli la testa. William tirò su col naso, «C-come fai a-a sap-» balbettò, ma Edward lo interruppe con un «Lo so, William. Fidati di me.» abbastanza sicuro e convincente che diede una speranza a William. E non era una promessa detta solo come rassicurazione, era una certezza che avrebbe posto fine a tutto, forse nel modo più sbagliato che potesse esserci.      
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