Capitolo XVIII

3394 Parole
Beatrice Mi svegliai il mattino seguente avvolta tra le mie lenzuola calde ma Samuel non era più al mio fianco. Dopo la conversazione con mia madre gli avevo chiesto di tornare a casa nonostante mancassero poche ore all’alba. Non sapevo che ore fossero ma dal mio stato fisico le mie ore di sonno erano scarse. Trascinai il mio corpo in cucina dove il mio coinquilino e il mio angelo sedevano tranquilli. Interruppero la conversazione quando videro il fantasma di me stessa sbucare dalla porta. “ Buongiorno” non dissi altro. “ Ehi tesoro” Samuel mi raggiunse baciandomi sulla fronte. Mi prese per mano e mi condusse al tavolo dove la colazione mi attendeva. “ Bibi..” il tono apprensivo di Stef non provocò nessuna emozione. Non sapevo esattamente cosa avessero compreso di tutta quella storia ma di certo conoscevano il risultato, una me distrutta. “ Non ora Stef “ il caffè mi nauseava e a stomaco vuoto mi alzai rifugiandomi nell’oscurità della mia dimora. Piansi lacrime amare consumando ogni goccia di liquido i miei occhi potessero produrre. Avrei voluto colmare quel vuoto come sapevo fare meglio ma di certo l’avrei data vinta a mia madre. Non ero più una debole ragazzina problematica, ero una donna che avrebbe dovuto affrontare la realtà. Posai le mani sui miei occhi bagnati e pregai di poter ritornare a vivere. *** “ Beatrice, ti ho portato la cena ” il suo sussurro disturbava la mia quiete. Stropicciai i mei occhi stanchi e misi a fuoco l’immagine. Il mio angelo caduto si premurava a portarmi da mangiare ogni volta che poteva e quella volta mi destò un sorriso. “ Ho atteso tanto il tuo sorriso” provai pena per quell’uomo che da una settimana si curava che io non stessi divorando me stessa dall’interno. “ È solo merito tuo mio principe” lui ridacchiò e si sedette accanto a me con un vassoio pieno di cibo. “ Ti prego mangia qualcosa Bea” Ogni volta che provavo a cibarmi la nausea mi attanagliava lo stomaco. Ma quel giorno provai un leggero languorino. “ Sam, dovresti lavorare e prenderti cura di Elisa” “ Vado a lavoro tutti i giorni Bea e mia figlia starà dai miei fino a quando non sarà terminata la causa” avevo proprio dimenticato di quel particolare “ Quando sarà l’udienza?” dissi mettendo in bocca del pane fresco “ il giudice ha rinviato a data da destinarsi” “ Andrà tutto bene” sorrisi ancora cercando il suo sguardo perso. “ Vorrei che tornassi al lavoro” io scossi la testa nervosamente “ Non sono ancora pronta” “ Sei chiusa in questa stanza da giorni Beatrice. Non puoi fuggire per sempre.” Le lacrime riempirono i miei occhi rendendoli lucidi e fragili “ Allora raccontami cosa è successo” “ Non posso” “ Maledizione Beatrice, parlami! Ti vedo da giorni chiusa in te stessa come se non volessi più vivere e non ce la faccio più!” Samuel gesticolava impazzito e disperato e mi sentii in colpa. “ Mi dispiace…” “ Beatrice, ti prego.” La paura che lui potesse conoscere i miei lati più nascosti mi paralizzava. Mi avrebbe lasciato alla deriva come una scarpa vecchia e in quel caso non avrei più resistito. D’altro canto c’era una minima possibilità che lui potesse restare. “ Non mi vedrai mai più con gli stessi occhi” lui prese il mio volto tra le mani e mi baciò con trasporto infondendomi il coraggio che necessitavo. “ Le tue parole non potrebbero incrinare mai il pensiero che io ho di te mia dolce Sherazad” Presi un lungo respiro facendo appello ad ogni mio grammo di volontà. “ Quando mio padre è morto la mia vita ha cominciato a sgretolarsi pezzo dopo pezzo” “ Mi hai detto che è stato un incidente” annuii con il capo “ Ed è così, quella mattina avrebbe dovuto rimanere con me e mia madre in casa. Mi aveva promesso che avremmo mangiato bacon e torta per colazione” sorrisi all’idea “ Poi cosa successe?” strinsi la mia mano tra le sue per prendere il coraggio che mi necessitava. “ Ha ricevuto una chiamata dalla centrale, degli adolescenti avevano fatto irruzione in una proprietà privata. Uno di quei ragazzi aveva una pistola…” due lacrime solitarie scesero dai miei occhi e il mio dolce demone si premurò a spazzarle via con un bacio. “ Mi dispiace così tanto angelo” “ è stato un incidente” dissi chinando il capo “ Tua madre come ha reagito a tutto questo?” “ Mia madre non mi ha mai voluta, sono sempre stata un ostacolo alla sua vita piena di soldi e alcol. Dopo la morte di mio padre divenni il suo sfogo, mi picchiava quando piangevo e quando dopo anni imparai a resistere alle lacrime mi colpiva con le parole” i singhiozzi si alternavano alle mie parole. “Quando iniziai la terapia con la dottoressa Rosa avevo appena finito il liceo ma ormai il dado era tratto e i problemi erano diventati più gradi di quanto immaginassi” “ Sei una donna forte Beatrice” mi agguantò tra le sue braccia ma io ne sfuggii confrontandomi con il suo sguardo accigliato. “ Ti sbagli Samuel io non sono mai stata forte” “ Hai affrontato una vita difficile e lo hai fatto da sola, hai deciso di andare in terapia senza l’aiuto di nessuno, cosa credi che sia questa? ” “ Mi ferivo!” portai le mani sugli occhi per la vergogna e attimi di silenzio tormentato ci divisero. “ In che senso ti ferivi?” lui era sbigottito e confuso “ Sono andata in terapia perché Stefano mi ha obbligata a farlo quando ha visto i miei segni sulla pelle” le mie lacrime avevano smesso di colare e provai dolore a quei ricordi infami. “ Perché?” di tutto ciò che potessi aspettarmi in risposta l’unica cosa che Samuel mi chiese fu un motivo. Inspirai profondamente e aprii il mio cuore al Diavolo. “ Perché non riuscivo più a sopportare Samuel, la pressione, la morte di mio padre, il vuoto che provavo dentro era troppo grande e il dolore riusciva a confortarmi” “ Da quanto tempo non…” “ Da quando ho iniziato la terapia. La dottoressa Rosa mi ha aiutata a mantenere il controllo” lui annuì cercando di metabolizzare la triste realtà. “ Controlli i tuoi istinti per non ricaderci” sembrò lo dicesse più a se stesso che a me. Il mio angelo realizzò i motivi della mia distanza e dei miei timori verso di lui. Poi un lampo di terrore attraversò i suoi occhi “Lo hai fatto ancora non è vero?” un lampo di terrore mi trapassò il volto. Non potei mentire. “ Una volta ma non sono andata fino in fondo” “ Quando Beatrice?” il suo tono divenne rigido e tetro e io ebbi paura a rispondere “ Dopo l’ospedale” la mia risposta rapida e indolore lo fece saltare via dal letto. “ Cazzo” si passò una mano tra i capelli biondi e si inginocchiò ai miei piedi prendendomi le mani. “ Mi dispiace così tanto…” mi baciò i dorsi continuando a scusarsi. “ Non è successo nulla Sam” “ Poteva accadere, e io non me lo sarei mai perdonato” “ Non è successo. E non farti colpe che non hai ” scandii parola per parola così che entrassero nella sua testa. “ Promettimi solo una cosa Bi” ancora inginocchiato Sam si appoggiò alle mie cosce mentre i suoi occhi cielo penetravano fin dritto al mio cuore. Annuii incapace di sfuggire alla potenza di quelle sensazioni. “ Se mai dovessi sentire quel vuoto sfoga il tuo dolore su di me. Ferisci il mio corpo, annientami con le parole ma non deturpare più te stessa” i miei occhi si riempirono di lacrime. Samuel mi stava offrendo se stesso e io ero incapace di proferire parole di senso compiuto. Sentii il garbuglio dei miei sentimenti districarsi fornendo una visuale ben chiara di ciò che erano. La paura, il controllo, la sfiducia, il dolore passarono in secondo piano rispetto alla purezza di un unico moto interiore, Amore. Amavo Samuel come non avevo mai fatto in vita mia. Non conoscevo l’amore genitoriale e non conoscevo l’amore adolescenziale ma fui certa dell’amore per Samael. Mi inginocchiai portandomi al suo livello e presi il suo volto tra le mani. La sua barba ispida era pungente e i suoi occhi brillanti cercavano disperatamente un segno. “ tal mi fec’io, non possendo parlare, che disiava scusarmi e scusava me tuttavia, e noi mi credea fare[1]”. Lui mi sorrise “ Maggior difetto men vergogna lava, che l’tuo non è stato; però d’ogne trestizia ti disgrava[2]” Posai le mie labbra sulle sue in un bacio profondo. In una danza sinuosa la sua passione mi travolse e lì sul pavimento freddo della mia stanza sugellai la mia promessa d’amore. Il giorno trascorse lento quando Samuel lasciò il mio fianco per andare alla De Luca Editori. Sola in casa mi ritrovai a girovagare senza far nulla pensando a come potessi ripartire da zero. Le nuove rivelazioni avrebbero segnato la mia vita per sempre e non garantivo a me stessa una completa guarigione ma mi chiesi cosa potessi fare per provarci. Presi il telefono e scorsi nella lunga lista della rubrica un nome che conoscevo bene. “ Studio della Dottoressa Rosa” all’altro capo del telefono la voce squillante della ragazza mi fece sorridere. “ Ciao Giusy sono Beatrice” “ Santo cielo Bi! È una vita che non ti sento” “ Lavori per tua madre adesso?” “ Sono in periodo di magra e mia madre mi tiene occupata” Giusy era una ragazzina come me quando la conobbi. Stava sempre in giro per lo studio e dopo le mie sedute ci piaceva chiacchierare. “ Potrei prendere un appuntamento?” “ Certamente, mmh.. vediamo un po’, che ne dici di Giovedì?” in quell’istante mi balenò una questione che i miei drammi avevano accantonato. Giovedì dovevo scoprire chi ci fosse dietro la mail di Emilia. “ Non ho altre possibilità?” sentii il fruscio delle pagine dell’agenda. “ Che ne dici di adesso?” era un po’ improvvisato ma acconsentii. Persi qualche minuto prima di raggiungere lo studio che per fortuna si trovava proprio dietro l’angolo. Entrai nell’antico ascensore e un senso d’ansia si insinuò in me, forse per il cubicolo stretto o forse perché avrei dovuto parlare della mia vita ancora una volta. Salutai con calore Giusy che mi accolse con un abbraccio e mi fece accomodare in studio. Attesi seduta sul comodo divano in pelle davanti alla sedia dove sapevo si sarebbe appostata la dottoressa. La luce che entrava dalla finestra illuminava la stanza e lo stile antico del mobilio ricordava tempi passati. “ Buongiorno Beatrice, è da un po’ che non ci vediamo ” la dottoressa Rosa mi salutò sfoggiando un sorriso e si accomodò dinnanzi a me tenendo un piccolo quaderno, dalla rilegatura di pelle, tra le mani. “ Salve dottoressa, beh… si” torturai le mie mani dal nervoso. “ Allora Beatrice come mai sei qui oggi?” la porta della stanza venne chiusa e io iniziai a parlare. Per la prima volta dopo un intera settimana mi sentii in forza. Non ricordavo come ci si sentisse dopo una seduta ma il mio umore era decisamente migliorato. Concordai con la psicologa di vederci ogni settimana per avere il supporto necessario a superare tutto il casino che mia madre mi aveva gettata addosso. Tornata a casa passai l’intero pomeriggio a scrivere e notai come il mio primo romanzo stesse lentamente prendendo forma. Di certo ci sarebbe voluto ancora molto tempo ma ero certa che avrei raggiunto il mio obiettivo. Samuel mi chiamò due volte quel giorno, mi disse che gli mancavo e che non avrebbe resistito molto senza di me in quell’ufficio. Gli parlai del mio appuntamento con la dottoressa e lui entusiasta mi invitò a cena a casa sua per festeggiare un nuovo inizio. Chiusi il portatile e tolsi gli occhiali strizzando i mei occhi abbagliati dalle luci blu del dispositivo. Feci una doccia calda e rilassante e mi preparai per uscire di casa, misi un cambio nella borsa perché se conoscevo bene il mio demone non mi avrebbe mai fatta tornare a casa quella sera. Non dovetti nemmeno bussare dato che la porta era spalancata e le urla si udivano fin da fuori. Entrai perplessa delle origini dei rumori, “ Sei una dannata pazza! Lo metteremo agli atti e vedrai come reagirà il giudice!” chiuse il telefono e solo allora i suoi occhi incontrarono i miei “ È tutto ok?” gli andai incontro abbracciandolo e posando le mie labbra sulle sue in un bacio casto “ Mariavittoria ha pensato bene di rapire mia figlia!” mi scostai dal suo petto e lo guardai sospettosa “ Lei è sua madre io non lo chiamerei proprio rapimento non credi?” “ Lo è se fai sparire una bambina senza avvertire nessuno!” lui sospirò esasperato e si staccò da me. riuscii a raggiungerlo nonostante il passo svelto, lo vidi versarsi un bicchiere di liquido ambrato e ingoiarlo come fosse acqua. “ puoi spigarmi per favore?” “ Elisa era con mio padre in casa ma a quanto pare un problema alla vigna lo ha fatto allontanare lasciando la bambina a giocare. Mariavittoria ha avuto il tempo di entrare prendere indisturbata Elisa e andare via.” sgranai gli occhi per l’assurdità della situazione “ Sam casa dei tuoi è piena di braccianti come è possibile che nessuno l’ha vista?” “ Ha detto che era sua madre e non ha avuto problemi” si versò ancora del liquido ma lo tolsi via dalle sue mani guadagnandomi un occhiataccia “ Dov’è adesso Elisa?” “ È con lei e la babysitter, vado a prenderla” aggrottai la fronte. “ Non credi che sia meglio lasciarla con sua madre per stasera? Domani andrai a riprenderla” “ Io devo sapere dov’è e cosa fa in ogni momento, capisci?” sgranai gli occhi per la sua reazione esagerata. “ Ehi, mi dispiace non volevo turbarti” i suoi occhi demoniaci tornarono umani e sospirò amareggiato. “ Mi dispiace angelo, oggi avremmo dovuto passare una serata tranquilla” gli sorrisi “ Se per te è importante avere qui Elisa possiamo andare a riprenderla adesso” mi morsi il labbro inferiore poco convinta che quella fosse una buona idea. Probabilmente la bambina stava per andare a dormire e dopo una giornata intera di viaggio sarebbe stata un ulteriore tortura. “ No, hai ragione, andremo domani” io sorrisi e fui felice che Sam avesse recuperato il senno. “ Beh allora.. mi avevi promesso una cena tranquilla no?” il suo sorriso malizioso mi fece infuocare. Lo desideravo ardentemente il che mi fece agire in modo audace cingendo il suo collo con le braccia. Gli baciai il collo lasciando una scia fino alle labbra dove ne uscì un mugolio di piacere. “ Mi sta provocando Sherazad? ” palpai il suo petto continuando a posare le mie labbra su ogni punto del suo viso in modo estremamente calmo. “ Le sto indicando la via principe Akbar ” “ E dove vorresti condurmi schiava ribelle?” mi avvicinai al suo orecchio e sussurrai a bassa voce “ Alla perdizione” le mie parole lo infervorarono tanto da sollevarmi da terra. Per mantenere l’equilibrio fui costretta ad attorcigliare le gambe al suo busto aggrappandomi alle sue spalle. “ Fanculo la cena” il suo tono rauco ed alterato e il suo passo svelto verso le scale mi fecero ridere. “ Adesso ti renderai conto di cosa vuol dire prendersi gioco del demonio” raggiunse la camera da letto e non si preoccupò neppure di soffocare le mie urla. *** “ Quando mi farai leggere il tuo libro?” Samuel addentò il suo sandwich con foga. L’ora tarda dopo ore in camera da letto non ci aveva concesso il tempo di una cena decente. “ Quando sarà pronto” feci spallucce e bevvi un sorso di vino. “Oh andiamo Bi, sarò io a pubblicarlo non credi che abbia bisogno di un anteprima?” “ Non sapevo fossi un ficcanaso Samael” ridacchiai “ Sono solo curioso, e chissà, magari potrei darti qualche consiglio” il suo pomo di adamo si abbassò e rialzò mentre ingoiava il liquido rosso del suo bicchiere. Non riuscii a non ritenerlo attraente e mi chiesi se fosse possibile che un gesto così naturale potesse apparirmi irresistibile. “ Ficcanaso e saccente, che combinazione perfetta” lui sbuffò mettendo il broncio “E tu una dannata testarda” risi di gusto e aggirai il tavolo per avvicinarmi. Lui scostò la sedia permettendomi di salire a cavalcioni sulle sue gambe “ E che mi dici del tuo? Ho diritto di sapere in anticipo come andrà a finire tra Akbar e Sherazad non credi?” presi il suo volto tra le mani e gli carezzai le gote “ Cerchi di corrompermi con le tue moine?” feci una finta smorfia indignata e il suo solito sorrisetto malizioso comparve. “ Se volessi davvero corromperti avrei fatto questo” la mia mano attraversò il suo petto nudo fino a giungere la cintura dei suoi pantaloncini sportivi. “ Credo che mi piacciano le tue forme di corruzione” Sam chiuse gli occhi gettando la testa indietro e quando fui soddisfatta della sua eccitazione mi fermai. “ Vuoi che continui?” lui sgranò gli occhi “ Cazzo si!” “ Dimmi del tuo libro” lui sbuffò e mi fece scendere dalle sue gambe. “ Sei davvero un impossibile donna ” Si alzò sistemando il cavallo dei suoi pantaloni e mi condusse in salotto sul divano. Accucciata sul suo petto riuscivo a sentire i sui battiti regolari. “ Non l’ho ancora finito” “ L’ultima volta mi hai detto che mancava poco” sollevai il capo e lo guardai. Il suo volto un po’ abbattuto mi fece incuriosire. “ Non ho una fine, non riesco a concluderlo” immaginai si trattasse di un semplice blocco, tutti gli scrittori prima o poi si impantanavano nella scrittura. “ Sei bloccato?” “ No! Beh si, non lo so… credo che abbia bisogno solo di trovare del tempo per pensarci” “ Non hai mai pensato ad un finale?” lui mi guardò con tenerezza “ L’ho fatto ma non è così semplice” aggrottai la fronte “ Cosa mai può esserci di difficile? Hai immaginato una fine per Sherazad e Akbar non vedo ,allora, perché non scriverla” “ Perché non sono stato io a scrivere la storia tra Sherazad e Akbar” sgranai gli occhi temendo il peggio. “ Dovresti vedere la tua faccia Bi, sembra che tu abbia sentito il sussurro del diavolo” le sue risa mi infastidirono e lo colpii sul petto. “ Non prenderti gioco di me Samael!” “ Non preoccuparti, io ho scritto il libro. Ciò che intendevo è che i personaggi vivono, sono essi stessi che mi conducono alle parole. Sherazad e Akbar hanno scritto la loro storia e io non posso immaginare una fine che loro non abbiano vissuto.” Non fu semplice comprendere le sue parole e probabilmente un comune civile le avrebbe considerate assurde ma io ero una scrittrice coinvolta nella stesura di un romanzo che descriveva la mia vita. Mi resi conto di quanto quelle parole risultassero vere perché se la protagonista non vivesse, nessuna delle mie parole sarebbe giunta alla mente. “ Perché hai scelto loro?” lui mi guardò in un modo che non riuscii a decifrare “ Era inevitabile” mi si seccò la gola. Imposto da fattori che prevedibili o fortuiti, è ugualmente impossibile correggere o limitare, quello era il significato di inevitabile. [1] come se non fosse, mi comportai, non essendo capace di parlare, io che desideravo scusarmi, e di fatto mi scusavo ( proprio per il fatto che la vergogna mi impediva di esprimermi), e non ne ero consapevole. [2] Una vergogna minore ( di quella che stai provando) cancella una colpa maggiore di quanto non sia stata la tua; liberati pertanto di ogni afflizione.
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