bc

La nuvola e l'orologio

book_age0+
detail_authorizedAUTHORIZED
0
FOLLOW
1K
READ
like
intro-logo
Blurb

Un giovane hacker, Claudio, si imbatte casualmente in una piattaforma cloud di dati che sfugge al suo controllo e sulla quale non riesce ad intervenire. Sconfortato, chiede soccorso all’anziano professor De Grecis, docente di filosofia di cui è stato allievo al liceo, che ipotizza possa trattarsi dell’iperuranio platonico e lo aiuta ad arrivare alla pianura della verità, non prima di avere incontrato alcuni illustri personaggi, tra cui Cartesio ed Hegel.Ad un certo punto del percorso, tra labirinti e luoghi misteriosi, incontrano Melania, una ragazza dell’età di Claudio, anche lei hacker esperta, che sta cercando dati segreti per conto di un committente potente e sconosciuto. Dopo un’iniziale perplessità, i tre decidono di collaborare ed intraprendono un cammino virtuale ricco di sorprese, costellato di password filosofiche e punteggiato da quadri di Escher, Magritte e Raffaello, che li conduce, tra colpi di scena e passaggi segreti, ad un teatro classico in cui sono rappresentate opere antiche, fino ad arrivare ad una scena finale che riproduce il mito platonico di Er, con le Moire che decidono i destini degli uomini, giocando con i nastri del DNA.Durante il percorso, il professor De Grecis riflette su una importante questione, partendo da una frase di Karl Popper: siamo nuvole oppure orologi? Siamo cioè legati al caso, come le nuvole, o determinati da una meccanica necessità, come gli orologi?E ancora: può esistere una Mente Superiore capace di architettare un ordine del mondo, facendo apparire come reale ciò che è virtuale, e viceversa?

chap-preview
Free preview
Indice dei contenuti-1
Indice dei contenuti CAPITOLO 1 CAPITOLO 2 CAPITOLO 3 CAPITOLO 4 CAPITOLO 5 CAPITOLO 6 CAPITOLO 7 CAPITOLO 8 CAPITOLO 9 CAPITOLO 10 CAPITOLO 11 CAPITOLO 12 CAPITOLO 13 CAPITOLO 14 CAPITOLO 15 CAPITOLO 16 CAPITOLO 17 CAPITOLO 18 CAPITOLO 19 CAPITOLO 20 CAPITOLO 21 CAPITOLO 22 CAPITOLO 23 CAPITOLO 24 CAPITOLO 25 CAPITOLO 26 CAPITOLO 27 CAPITOLO 28 Il problema centrale, mio caro Claudio, è solo uno: siamo nuvole o orologi? Come, professore? Non riesco a seguirla. Certo, certo. Ora ti farò un esempio che ti aiuterà a capire. Guarda quella nuvola là fuori - ed indicò con un vago gesto della mano il cielo, oltre la finestra intelaiata del bar. – Riesci a vederla? Sì. Intende quella grande, sfumata, che è sopra il campanile della chiesa? Naturalmente. Osserva i suoi contorni: sono instabili, mutano ad ogni secondo, si muovono seguendo il vento. La nuvola cambia forma continuamente, è così bizzarra, capricciosa, inaffidabile… non possiamo mai prevedere il suo movimento. E allora? Adesso guarda questo. Il professore sfilò dal polso il suo pesante orologio, lo posò delicatamente sul tavolino ribaltandolo con tocco leggero ed esperto: sotto il quadrante trasparente, erano ben visibili i meccanismi e gli ingranaggi interni. Guarda: ogni movimento è calcolato, studiato, programmato. Questo è il bilanciere, che dà l’impulso alle ruote: osserva la perfezione dei dentini. Niente è affidato al caso, qua. Capisci cosa voglio dire? A dir la verità non proprio. Ma è così semplice! Riflettici un attimo – disse spostando il busto in avanti, mentre gli occhi gli si accendevano di una luce entusiasta. Claudio lo guardò con un misto di ammirazione e di incertezza. Il professor De Grecis, figura mitica dei suoi anni di liceo, manteneva intatta tutta la sua forza e l’energia intellettuale, trattenuta nel magnetismo dello sguardo, nella voce intensa e profonda, nei gesti ampi e calibrati. Invecchiando i suoi baffi erano diventati bianchi, la pelle del viso si era un po’ avvizzita e le rughe erano diventate più profonde, ma la potenza del suo fascino era ancora la stessa che un tempo incatenava i ragazzi ai banchi, ammaliati dal suo eloquio, dalla potenza delle sue parole e dalla teatralità delle sue spiegazioni. Claudio continuava a cercarlo a intervalli regolari, a richiedere il suo parere quando aveva dei dubbi sulle scelte da fare, e il professore non si negava, arrivava compiaciuto agli appuntamenti che lui stesso fissava in quel vecchio bar demodè, dai tavolini di legno anni Trenta, fornendo consigli ed aiuto. Ora, però, Claudio non riusciva a capire cosa gli stesse dicendo, e si sentiva smarrito come quando al liceo lo beccava impreparato. Il professore lo fissava con occhi sorridenti, scrutando il suo turbamento e la sua perplessità, accarezzando con lo sguardo il suo volto di giovane uomo inesperto. Vedi, Claudio, ti ricordi di quando vi parlavo della casualità e della causalità? Sì, sì, questo lo ricordo. Basta spostare la posizione della U… e tutto cambia. Esattamente. La nuvola è il caso, o, se preferisci, il caos (è l’anagramma di caso, anche qua basta invertire la lettera), l’orologio è la causa, il tic-tac che si ripete in modo prevedibile e ordinato: causa, effetto, causa, effetto… La legge della causalità, sì… Hume, Kant. Bene, bene. Sei stato uno studente molto brillante, me lo ricordo nitidamente. Potevi studiare filosofia, invece di buttarti sull’informatica. Professore, anche l’informatica mi piaceva tanto. Volevo entrare nei meccanismi del computer come lei ci insegnava ad entrare nelle parole della filosofia. Ma certo, lo so. E ci sei entrato bene, a quanto pare… un genio della programmazione. Un genio, beh… diciamo che me la cavo abbastanza. Ma tornando al consiglio che le ho chiesto prima, cosa mi dice? Cosa devo fare secondo lei? Sa, io non so con chi parlarne. Il fatto è, caro Claudio, che se tu pensi di essere una nuvola devi lasciarti trasportare dal vento, cioè da quello che accade. E se fossi un orologio? Anche in questo caso, professore, mi sento come un dentino dell’ingranaggio: non ho possibilità di scegliere. Sì che ce l’hai. E’ il libero arbitrio, che va al di là del determinismo, perché vedi caro ragazzo, non tutto è meccanico, quindi… Professore, la prego. Questo me lo spiega un’altra volta. Ma sì, hai ragione. Tu vieni qua perché hai bisogno di un aiuto e io ti faccio perdere tempo con i miei assurdi discorsi filosofici. Io però penso che tu abbia già scelto, vuoi da me solo un incoraggiamento. Questo nuovo lavoro ti attrae, ti fa sentire importante: è così, non è vero? E’ vero. Però ne ho anche paura. Paura dell’ignoto! Buttati pure, ragazzo mio. Ma dì un po’ – soggiunse improvvisamente sospettoso, dopo una breve pausa – non starai diventando per caso un pericoloso criminale, uno di quei, com’è che si chiamano? hacker? Il confine tra ciò che si può e ciò che non si può fare è molto labile… me l’ha insegnato lei, professore. Allora è vero? Sei un pirata informatico? Sono pagato per entrare nei codici, nei linguaggi di programmazione. Anche quelli segreti, ma solo per smascherarne i possibili pericoli. Lo so, le sembrerà immorale, ma è così. Io non giudico mai. Però, sta’ attento, figliolo. Dove girano troppi soldi ci sono anche troppi imbrogli. Professore! Non mi dica così, so quel che faccio. Piuttosto: la storia delle nuvole e degli orologi, l’ha inventata lei? Il professor De Grecis ridacchiò: - Mi piacerebbe poterti rispondere di sì, caro figliolo. Ma tu lo sai, sono povero ma onesto, non potrei mai appropriarmi di qualcosa che non è mio… insomma, si tratta di Popper. Karl Popper? Quello della teoria della falsificazione? Complimenti, complimenti, ragazzo mio. Sono molto colpito, lo sapevo che eri uno dei miei migliori studenti. Potevi studiare filosofia… peccato. CAPITOLO 2 Massimo! Ehi, Massimo! Claudio, che è successo? Stai male? Devi venire qua, assolutamente. Ho un problema al computer e solo tu puoi aiutarmi a risolverlo. Adesso? Ma tu sei fuori di testa. Hai visto che ora è? Lo so, lo so, è molto tardi. Ti prego Massimo, vieni, è successa una cosa straordinaria… roba mai vista prima. Vieni subito qua, ho bisogno urgente di aiuto. Purtroppo non posso dirti di no. Va bene, va bene, tra poco arrivo. Seduto davanti al computer, quasi ipnotizzato, Claudio fissava lo schermo con espressione attonita, gli occhi sgranati e le mani immobili sulla tastiera. Guardava il monitor seguendo con gli occhi alcuni movimenti luminosi che disegnavano grafismi leggeri sulla schermata, e non si accorse della presenza di Massimo che era arrivato dietro di lui. Claudio! Che è ‘sta roba? Massimo, come sei entrato? Ho ancora le chiavi di quest’appartamento, non te ne ricordi? L’abbiamo diviso per cinque anni! Sì, sì, certo. Ti prego, dà un’occhiata a quest’immagine… Forte! Ma che roba è? Guarda tu e dimmi cosa ne pensi. Massimo prese posto accanto a Claudio, davanti al computer, e iniziò a scrutare il video: in breve la sua faccia cambiò espressione, diventando simile a quella di Claudio. Giuro, non ho mai visto niente del genere. Vent’anni di programmazione informatica ad alto livello, ma questa mi mancava. La risoluzione dei pixel è altissima, mostruosa, e quegli effetti 3D, con i piani che si intersecano tra loro a più livelli… dì un po’, come ci sei arrivato? Sto facendo quel lavoro di cui ti ho parlato qualche giorno fa, mi è stato commissionato da un’azienda importante. Devo agganciare una piattaforma cloud di dati top secret. Massimo lo guardò con sguardo penetrante: - Sta’ attento, eh, se è roba compromettente. Non ci lasciare le penne. Mi hai insegnato tu i segreti del mestiere. Appunto, non voglio averti sulla coscienza. Io mi tengo lontano dai lavori che scottano, non sai cosa ti può succedere. Mi pareva di averti insegnato anche questo. Lo so, lo so… ma come si fa a dire di no? L’offerta era molto allettante, volevo cimentarmi con qualcosa di nuovo. Ero indeciso, poi, pensa, ho anche chiesto consiglio al professor De Grecis. Tu devi essere veramente matto. Cosa vuoi che capisca quel vecchio esaltato dei nostri programmi informatici? Beh, per me è stato una guida, un maestro di vita. E cosa ti ha detto? Di stare attento, esattamente come te. Va bene, va bene, tu sei una testa dura e hai deciso di accettare. Allora, mi dici come sei arrivato a questa schermata? Andiamo con ordine. – Claudio tirò un respiro profondo – Sono entrato in MS-DOS, come facciamo sempre quando vogliamo arrivare a piattaforme cloud di dati. Ho utilizzato lo schema che altre volte anche tu hai adoperato per entrare nei programmi ed è andato tutto liscio. Mi sono servito dei vari linguaggi di programmazione, poi di volta in volta, quando avevo bisogno delle password di accesso, le cercavo dall’altro computer, attraverso il software che permette di scoprire quelle criptate. Tutto regolare. E poi? E poi, devo aver sbagliato nel digitare una password. Me ne sono accorto appena ho finito di scriverla, volevo annullarla e correggerla, ma il programma era già partito e mi ha dato un’altra schermata, contenente stringhe sconosciute. Sconosciute? Parliamo di un linguaggio compilatore o di un linguaggio macchina? Nessuno dei due, temo. Ho mandato in esecuzione l’ultima stringa… ed è apparsa questa schermata che hai sotto gli occhi. Hai preso nota della password sbagliata? Sì, certo. E’ sbagliata per quello che volevo fare io, ma è giusta per entrare qui… guarda un po’ tu, Massimo, che ne pensi? Beh, ne ho viste tante di cose strane, ma questa le supera tutte. Scale, edifici a torre, finestre… e tutto è in movimento. Mi ricorda qualcosa, ma non so esattamente di che si tratti. Aspetta, aspetta un attimo, ecco cos’è: sembra un quadro di Escher, forse Relatività, o qualcosa di simile. Sì, ma questo si muove, è interattivo. Osserva quest’omino alla base della scala, forse potremmo cliccarci sopra. Provaci un po’, vediamo. Ecco, ho cliccato, la porta si sta aprendo, c’è un messaggio cifrato su due righe, sapresti decodificarlo? Guarda un po’ che roba! Lo copio e poi ti faccio sapere, non deve essere difficile scoprire cosa significa. Comunque, devo dire, è tutto molto strano. Vero, eh? Lo penso anch’io. Mi chiedo se è un gioco, o qualcosa di più pericoloso. Potrebbe essere entrambe le cose: non lo sapremo mai se non proviamo ad entrarci. Cercherò di risolvere il mistero del messaggio, e poi che ne dici di fare un salto in laboratorio e indossare i simulatori? Mi piacerebbe fare un giro su quelle scale ed entrare da quella porta. Devo annotare tutti i passaggi che ho fatto per arrivare qui, altrimenti non potremo ritrovare la schermata. Tu, intanto, cerca di scoprire il significato del messaggio. Ne riparliamo domani? Tra due o tre giorni, direi. La decodifica richiede tempo e bisogna fare più tentativi. Ti chiamo appena ne vengo a capo, okay? Ok, ok. Massimo? Che c’è ancora, Claudio? Niente. Sono spaventato. CAPITOLO 3 Melania camminava per strada, i lunghi capelli scompigliati dal vento, le mani infilate con disinvoltura nelle tasche dello spolverino, l’andatura rapida e sicura nonostante i tacchi alti. La gente si voltava a guardarla, soprattutto gli uomini, colpiti dalla sua figura sinuosa, dal volto dall’incarnato perfetto, da quel “non so che” che emanava dalla sua presenza. Sorrise notando due giovani che si erano fermati ad osservarla, e parlavano tra loro senza toglierle gli occhi di dosso, stupiti, quasi attoniti. Sollevò la testa con aria fiera, facendo ondeggiare i capelli castano-dorati attorno al viso e sulle spalle. Bella, lo era sempre stata fin da piccola. Ricordava i commenti delle maestre, quando parlavano tra loro sottovoce: “Guarda che occhi azzurri, questa bambina… peccato che sia così povera”. E naturalmente era vero, aveva avuto un’infanzia poverissima, in una famiglia sempre affamata, con i suoi fratelli che litigavano contendendosi l’ultimo panino, e lei in un angolo, spaurita, che sbocconcellava la sua parte. Ricacciò indietro le lacrime che le spuntavano sulle ciglia – ma perché ricordava sempre questa scena? – e iniziò a ripensare con più sollievo alla sua adolescenza, i primi corteggiatori all’istituto tecnico commerciale, i cuoricini disegnati sul diario. A scuola però i ragazzi più belli preferivano le studentesse formose, appariscenti, che vestivano con i pantaloni aderenti e le scarpe firmate, e lei era ancora lì nell’angolo come quando era bambina, a sbocconcellare il suo panino, con le lunghe gambe coperte da vecchi jeans sformati comprati al mercato, e la maglietta sempre troppo larga o troppo corta. Solo nel laboratorio d’informatica si sentiva grande, importante. Le capacità dei suoi compagni erano semplicemente ridicole in confronto a ciò che sapeva fare lei, se solo aveva a disposizione una tastiera e un computer. I professori la chiamavano “la maga”. Questa magìa in realtà non era nata dal nulla, era il frutto di lunghi pomeriggi solitari passati ad armeggiare con una vecchia macchina dei primi anni Novanta, uno di quegli elaboratori elettronici grandi e pesanti andati presto in disuso, che lei aveva raccolto praticamente dal cassonetto della spazzatura.

editor-pick
Dreame-Editor's pick

bc

Invidia

read
1K
bc

Impetuoso

read
1K
bc

Dritto in porta

read
1K
bc

Ribelle, Pedina, Re (Di Corone e di Gloria—Libro 4)

read
1K
bc

La pelle del mostro

read
1K
bc

Ricco sfondato

read
11.6K
bc

Futuro rimosso

read
1K

Scan code to download app

download_iosApp Store
google icon
Google Play
Facebook