La passione per l’elettronica le era nata in un ufficio di assicurazioni in cui sua madre la portava con sé quando andava a fare le pulizie; un’impiegata, colpita dai suoi occhi azzurri, aveva iniziato a farla giocare con un computer, per intrattenerla finchè la mamma lavorava, e lei era rimasta affascinata fin da subito dallo schermo colorato, dalle scritte, da tutto ciò che si poteva fare. In breve tempo era diventata così esperta che l’impiegata chiedeva aiuto a lei quando aveva un problema, e poi, quando la ditta aveva dato via i vecchi computer obsoleti per comprarne di nuovi, ne aveva preso uno per sé. L’informatica era diventata il suo mondo, la sua realtà. I professori restavano stupefatti guardando ciò che riusciva a fare, e nulla riusciva a fermarla.
Dopo il diploma, si era iscritta a un corso di specializzazione per programmatori, ma sapeva quasi tutto ciò che le veniva insegnato, e anche di più. Poi, un giorno, la grande svolta. Aveva ricevuto una telefonata da un’azienda, per un colloquio di lavoro: si era presentata, aveva superato un test, ed era stata assunta. Le sembrava di toccare il cielo con un dito, finalmente aveva un reddito, poteva comprarsi qualcosa senza chiedere niente a nessuno. Quando aveva incassato il primo stipendio, era andata in una boutique del centro e aveva acquistato un costoso abitino griffato, che la faceva sembrare una top model.
Eppure, il meglio doveva ancora arrivare. Anche sul posto di lavoro, come era già successo a scuola, la sua abilità era tale che travalicava i confini della ditta: un giorno in pizzeria sentì che al tavolo vicino parlavano di una ragazza straordinariamente abile con il computer, e i riferimenti che citavano le dettero la certezza che parlassero proprio di lei. Arrivò presto un’altra telefonata, e poi un’altra ancora, e in poco tempo cambiò più volte datori di lavoro, incrementando enormemente il suo stipendio: la chiamavano anche per consulenze, lavori brevi ma di alto livello e professionalità, e lei non deludeva mai le aspettative, anche se si trattava di dover lavorare di notte o in condizioni difficili. Ormai poteva permettersi di spendere qualunque cifra per l’abbigliamento e per la cura della sua persona, e il risultato era che gli uomini cadevano ai suoi piedi, affascinati, ammaliati.
Stava appunto andando a un appuntamento con un uomo, per un colloquio riservato di lavoro: non disdegnava neanche gli incarichi poco chiari e poco puliti, pur di guadagnare cifre elevate. Cosa le importava, in fondo? Aveva sofferto troppo la miseria per porsi scrupoli di ordine morale, tanto lei era un’esecutrice e non le importava di cosa, se avesse rifiutato al posto suo l’avrebbero fatto altri. Ogni volta alzava la posta dell’ingaggio, perché aveva imparato che i giochi erano alti, e poteva ottenere molto sfruttando il suo talento.
Era quasi arrivata al bar dove doveva incontrare il tipo che l’aveva contattata, però si sentiva a disagio perché non l’aveva mai visto prima, sperava di non fare fatica a riconoscerlo in base agli indizi che le aveva fornito telefonicamente. Invece non ce ne fu bisogno, fu lui ad avvicinarsi furtivo, affiancandosi a lei con passo felpato: - E’ lei Melania, vero?
Sì, sono io. Andiamo a parlare al bar?
No, lasci stare, c’è troppa confusione là. Venga con me, conosco un posto più tranquillo, proprio qui dietro l’angolo.
Melania lo studiò con la coda dell’occhio, diffidente: era un uomo sui quarant’anni, ben vestito, dall’aria insignificante. Lo seguì dove lui aveva indicato, in un piccolo locale dall’aria antica e polverosa, con le tendine scolorite alle finestre.
Allora? – gli chiese subito appena si furono seduti all’interno, in un angolo buio.
Si tratta di un lavoro.
Beh, questo l’avevo capito. Che tipo di lavoro?
E’ molto delicato, occorre competenza e segretezza. Lei pensa di esserne capace?
Senta – disse Melania guardandolo fisso negli occhi, con tono un po’ aggressivo. – Cerchiamo di non perdere tempo, se sono qua è perché ci sto, e lei si è rivolto a me perché ha preso informazioni sul mio conto, dunque mi dica subito di che si tratta e io le dico il prezzo del lavoro.
Me l’avevano detto, che lei è un tipo deciso, che sa il fatto suo – rispose l’uomo sorridendo a mezza bocca – bene, meglio così. Veramente non ho molto da dire, mi hanno mandato solo per prendere contatto, troverà tutte le istruzioni nella mail che le manderemo.
Una mail? Non ho mai lavorato così.
Non si preoccupi, usiamo codici crittati ad altissima sicurezza, è nostra cura fare in modo che tutto vada alla perfezione.
Mi scusi, lei parla al plurale, di quale società si tratta?
Troverà tutto nel messaggio, con le indicazioni del suo incarico.
E il mio compenso?
Ah, certo. Abbiamo pensato a questa cifra – e le mostrò un biglietto estraendolo dalla tasca.
Il doppio, voglio il doppio, altrimenti non se ne fa niente. E mi serve un acconto, subito.
D’accordo. Abbiamo pensato anche a questo, qui c’è una busta con quello che le serve. Le raccomandiamo solo di rispettare scrupolosamente le istruzioni e le scadenze, come le sarà comunicato. Si ricordi, non dovrà mai parlare con nessuno di questo lavoro.
Certo, non sono mica una novellina, so come funziona – disse Melania intascando la busta.
Le faremo sapere al più presto altre notizie.
Bene. Allora a presto. In futuro avrò a che fare ancora con lei, signor…?
Oreste. Comunque non credo che ci rivedremo, se necessario si incontrerà con qualcuno dei miei colleghi. Sono in partenza per un’altra missione, starò fuori a lungo.
Buon lavoro.
Buon lavoro anche a lei, Melania.
CAPITOLO 4
Il professor De Grecis sorseggiava il suo cappuccino e intanto scrutava perplesso l’orologio posato sul tavolino, accanto al vassoio.
-Desidera altro? – chiese la cameriera, gentile, portando via la tazza.
- No, no, aspetto un amico – e sospirando prese il giornale, lo aprì accuratamente spianandone gli angoli e apprestandosi alla lettura. Finalmente il rumore della porta a vetri che si apriva lo riscosse, e davanti a lui apparve Claudio, affannato, trafelato, con l’aria di chi non ha dormito per tutta la notte.
- Professore! Mi scusi, mi scusi, sono in ritardo pazzesco, temevo di non trovarla più. Volevo avvisarla ma non sapevo come fare, se solo lei si convincesse ad acquistare un cellulare, come tutti…
- Lo sai che sono contrario, per principio. Potevi chiamare il bar e farmi avvisare dalla cameriera, qua tutti mi conoscono e mi rispettano.
- Il bar, è vero… non ci ho pensato. Vede, è che ho passato una notte terribile, praticamente insonne. Poi mi sono addormentato all’alba, ed è stato un sonno agitato, con sogni strani, uno in particolare… vorrei raccontarglielo.
- Va bene, va bene, siediti e raccontami tutto. Signorina, porti una ricca colazione al mio amico.
- Ma no, professore lasci stare…
- Che hai capito? Offri tu, naturalmente, dopo tutto questo ritardo vorrai farti perdonare… a me un cornetto, signorina.
- Allora le spiego, posso? Ieri ho cominciato il lavoro di cui le ho parlato l’altra volta.
- Me lo dovevo immaginare: questo benedetto lavoro nuovo porta solo grane.
- No, è che ci sono delle cose che non capisco, e quando non capisco, lo sa professore, ho bisogno di lei.
- Eh già! I vecchi insegnanti servono a qualcosa, ogni tanto. Che è successo, dunque, figliolo?
- Una schermata, mi è uscita una schermata strana. Ero entrato in DOS, poi in un linguaggio compilatore…
- Eh no, eh! Questo significa giocare sporco. Mi devi spiegare le cose in modo che le possa capire, ricomincia da capo e non usare termini tecnici.
- Ha ragione, mi scusi, è che sono agitato. Insomma, ho seguito delle procedure per entrare in un linguaggio protetto…
- Un linguaggio protetto?
- Professore, devo agganciare una piattaforma di dati top secret: gliel’avevo accennato, che si tratta di un incarico delicato. Si chiamano piattaforme cloud, alcune sono a libero accesso, altre no, sono protette da sistemi di sicurezza.
- Capisco. Claud, hai detto? Come Claudio, che cosa singolare.
- Sì, assomiglia al mio nome, non l’avevo notato. Comunque si scrive con la o, cloud, è inglese… vuol dire nuvola.
- Ma guarda un po’ che coincidenza! Proprio l’altro giorno parlavamo della nuvola e dell’orologio, incredibile! E perché queste piattaforme si chiamano proprio così?
- Perché stanno nella rete, ma non si sa dove. Fluttuano come nuvole, ha presente professore? Però contengono milioni di dati, alcuni sono molto importanti e riservati.
- Interessante, veramente molto interessante.
- Mi sta prendendo in giro?
- Ma no, certo che no. Mi fa pensare a Platone, all’iperuranio… la verità oltre il cielo, in un mondo che nessuno trova e sa dov’è… bello, mi piace.
- Beh, insomma, è comparsa una schermata strana. Cioè, voglio dire, sul monitor c’era un paesaggio con architetture complesse, scale, torri, figure di omini che salivano e scendevano, piani che si muovevano intersecandosi a più livelli… una cosa molto complicata, mai vista.
- Le scale avevano effetto tridimensionale e gli omini salivano e scendevano senza arrivare da nessuna parte?
- Sì, ma lei come fa a saperlo?
- Da come l’hai raccontato, mi ha ricordato Escher… hai presente?
Claudio lo guardò molto sorpreso: - Professore, lei mi stupisce. Il mio amico Massimo, l’informatico, ha detto la stessa cosa guardando la schermata: però non pensavo che lei conoscesse Escher, non è un filosofo.
Lascia perdere, raccontami qualcos’altro. Dunque hai mostrato l’immagine – com’è che la chiami, la schermata – a Massimo, e lui è rimasto colpito, meravigliato? Cosa ti ha detto, so che è un tipo molto esperto.
Dice che deve fare delle verifiche per capire di che si tratta. Soprattutto, cercherà di decodificare un messaggio cifrato che è sull’immagine di una porta, per vedere se si apre o qualcosa del genere. Anche lui è molto impressionato da quello che ha visto, dice che non gli è mai capitato niente di simile.
Mmh. – Il professore si accarezzava il mento con aria pensosa. – Un messaggio cifrato su una porta, hai detto… la cosa si fa sempre più interessante.
Ha trovato dei riferimenti filosofici anche qua?
La filosofia sta dappertutto, caro ragazzo, e qua ci potrebbe essere, eccome! Ma dimmi qualcosa in più. Com’è questa porta con il messaggio? Quante scale ci sono contemporaneamente?
Non lo so, non ho fatto caso a tutti i particolari. E’ come una visione che ti prende, ti affascina: sono rimasto a fissarla un sacco di tempo, quasi inebetito, ma non ne ricordo i dettagli. Poi, nel sogno, quel paesaggio strano del computer è diventato un incubo.
Davvero? Hai sognato la schermata?
Sì, ma era diversa, mostruosa. Le scale si muovevano tutte contemporaneamente, poi, come in una morsa, mi stringevano. Cercavo di salire verso la porta con il messaggio, ma inciampavo e quando mi rialzavo mi trovavo da un’altra parte, mi mettevo a correre e questa volta erano le torri a muoversi, serrandomi da vicino minacciose. Finalmente arrivavo davanti alla porta misteriosa, la spingevo con il braccio e quella cominciava lentamente ad aprirsi, ma…
Cosa c’era oltre la porta?
Un triangolo. Un grande triangolo luminoso, sospeso nel vuoto, che prendeva fuoco e mi circondava con le sue spire, come un serpente. Non vedevo più niente, era tutto fumo e nebbia. Mi trascinavo sotto il triangolo, cominciavo a strisciare e sotto di me si apriva una fessura, che si allargava fino a diventare una voragine. Cercavo di aggrapparmi a qualcosa, ma non c’era nessun appiglio e sprofondavo dentro con orrore…
A questo punto ti sei svegliato?
Sì, in preda all’angoscia. Per fortuna era solo un sogno.
Già, per fortuna. Ma il triangolo? C’è per caso un triangolo, nella schermata?
Non ricordo. Forse sì, mi pare di averne visto uno, ma non ricordo dov’era, in quale punto dell’immagine, è importante secondo lei?
Non so, è tutto molto strano. Mi piacerebbe poterci fare un giro, in quella schermata.
E’ davvero incredibile, professore. Per la seconda volta ha usato le stesse parole di Massimo, lui ha detto esattamente come lei: vorrei farci un giro…
Siamo tutti e due tuoi amici, vogliamo aiutarti, mi sembra evidente.