II

943 Words
L'ingresso a scuola fu parecchio piacevole. Hermione fu felice di rivedere i suoi amici, e lo smistamento dei nuovi arrivati fu molto interessante.  Quando la McGranitt si alzò in piedi, tutti in sala ammutolirono, curiosi di sapere cosa avrebbe avuto da dire: "Buonasera giovani maghi e streghe, è con mio immenso piacere che vi accolgo alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts! Ci tengo a precisare che, nonostante gli avvenimenti dello scorso maggio, questa scuola rimane un luogo sicuro. Il signore oscuro è stato sconfitto, e anche se la nostra è una vittoria mutilata dalle molte perdite, dobbiamo andare avanti, per fare in modo che il sacrificio dei nostri compagni non sia stato vano. Spero che quest'anno offra a tutti l'opportunità di realizzarsi, e di comprendere l'importanza delle conseguenze che ogni scelta causa, ma anche quella del perdono e della comprensione. Bentornati!" Un forte applauso si levò dai tavoli di tutte le case, ed Hermione notò che molti dei suoi compagni erano addirittura commossi dalle parole della preside. Quanto li invidiava! Purtroppo lei aveva solo sentito un brivido lungo la schiena, e avrebbe preferito non dover ricordare certe cose.  "Non è stato male come discorso, vero ragazzi?" commentò Neville, seduto vicino a Ron. "Sicuro." rispose il rosso "Soprattutto la parte sul perdono..." aggiunse ironico, scambiandosi un'occhiata con Harry, alla quale egli rispose complice. "Di che parlate?" chiese Hermione, che riuscì a cogliere il gioco di sguardi. "Ron è convinto che la McGranitt abbia riammesso Malfoy solo perché i genitori hanno pagato... Anche se sapete già che io non la penso proprio così." rispose Harry. "Suo padre non è ad Azkaban?" pronunciò Ginny, mentre afferrava un pezzo di carne dal sontuoso banchetto. "Sì, ma si dice che sia stata la madre a finanziare gran parte dei lavori di ristrutturazione qui ad Hogwarts, e che l'abbia fatto solo per far riammettere Malfoy." aggiunse Ron. "Io non credo che sia così." rispose Ginny, attirando l'attenzione degli altri tre. "Draco non è mai stato come loro, lo sappiamo tutti. In più Harry ha più volte detto che Narcissa lo ha aiutato durante la guerra. Forse si è ritrovata dentro a qualcosa più grande di lei, proprio come Draco." "Si, sappiamo cos'ha detto Harry. Non è grazie a lui se adesso quei due criminali sono liberi?" rispose Ron, pungente. "So quello che faccio." replicò Harry, serio. "Ma guardalo..." disse Ron, volgendo lo sguardo al tavolo dei Serpeverde. "Ce l'ha scritto in faccia il gran mostro che è. Non è accettabile che sia qui, che cammini nei nostri stessi corridoi, che respiri la nostra stessa aria." Mugugnò stringendo la forchetta con la mano destra. "Tu cosa ne pensi Hermione?" chiese Ginny. La ragazza rimase in silenzio. Non aveva pronunciato una parola a riguardo perché non sapeva nemmeno cosa pensare. "Niente. Non penso assolutamente niente." disse prima di alzarsi e abbandonare il proprio posto, senza nemmeno completare il pasto. Riuscì a sentire il commento di Ron man mano che si allontanava dal tavolo, un qualcosa del tipo "Ma che problemi ha?". Le sembrava assurdo che nemmeno il suo ragazzo si rendesse conto di quanto il dolore l'avesse spenta, e di quanto a volte le sue stesse considerazioni fossero superficiali. Camminò velocemente, diretta verso la torre orientale. Si rifugiò nella sua stanza, chiudendosi a chiave. Si lasciò scivolare lungo la porta, fino a sedersi con la schiena appoggiata al legno ghiacciato. Scoppiò in lacrime. Le stanze, i profumi, il cibo, perfino i mattoni di Hogwarts le ricordavano quanto avesse sofferto. Per tutta l'estate non aveva fatto altro che soffocare il suo dolore, la sua solitudine, la sua paura, ma ora si sentiva incredibilmente vulnerabile. Non ne aveva mai parlato con nessuno, dato che le sembrava ridicolo scaricare il peso sui Weasley, che avevano perso Fred, o addirittura su Harry, che finalmente dopo tanti anni sembrava aver trovato un po' di pace. I suoi singhiozzi furono interrotti da un picchiettio: qualcuno aveva bussato alla sua porta. "Vattene via." pronunciò con un filo di voce, senza nemmeno sapere chi ci fosse dall'altra parte. "Sono io." riconobbe la voce di Harry, e decise di lasciarlo entrare.  L'apertura della porta rivelò un volto preoccupato. Quando lo vide così affranto per lei, non riuscì a fermare nuove lacrime, che iniziarono a scendere copiose. Lui varcò la soglia, richiudendola dietro di sé. "Vieni, siediti con me." disse, accomodandosi sul grande letto al centro della stanza. Hermione fece come le fu detto. "Ti va di parlarne con me?" chiese. Quella voce vellutata di dolcezza sembrò quasi avvolgere la ragazza. Lei non fu in grado di rispondere. Avrebbe tanto voluto farlo, avrebbe voluto scaricarsi dei suoi dispiaceri, ma avrebbe significato dividere il dolore a metà con lui, e si sarebbe sentita tremendamente in colpa. "Posso fare qualcosa per te?" chiese di nuovo Harry, capendo quanto fosse combattuta. Hermione si limitò a scuotere la testa, e lui la trascinò in un abbraccio. Non si era mai sentita più a casa che in quel momento, e pianse ancora, questa volta per la commozione e per la gratitudine. Molte volte si era chiesta cosa avesse fatto per meritare un amico così vero. Lui non la lasciò sola finché non glielo chiese lei, dicendo di voler andare a dormire. "Mi dispiace se ti ho fatto preoccupare Harry." gli disse sulla soglia. Il suo amico scosse la testa sorridendo, e le chiese: "Stai meglio adesso?" Lei annuì sinceramente. "Sappi che la questione non è finita, non voglio che tu stia così male. Uno dei prossimi giorni ci facciamo una bella chiacchierata." concluse, prima di sparire per le scale della torre. Hermione chiuse la porta e si coricò, cercando di non pensare a nulla.
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