Capitolo Tre

1418 Words
Le strette assi di legno oscillavano sotto i piedi di George, inclinandosi prima da un lato e poi dall'altro, l'acqua scura che emergeva ribollendo dal fango e si riversava sulle tavole sottili, macchiandogli gli stivali. Avanzando con la massima cautela, si diresse verso il gruppo di bambini che stavano riempiendo i loro secchi. Gli uccelli marini ruotavano sulla sua testa, distendendo le ali bianche ed emettendo strida assordanti. Un'ondata di terrore gli si rovesciò addosso, mozzandogli il fiato. Un bambino gli passò accanto con un secchio traboccante, poi un altro, rischiando di farlo precipitare dall'asse nell'impazienza di raggiungere la baracca situata sulla spiaggia in cui veniva fatta bollire la salamoia. Quelle cosiddette pentole di sale erano più rudimentali di quelle più vicine alla riva, pozze poco profonde scavate al di sopra del livello dell'acqua e circondate da grosse pietre per impedire al fango in perenne movimento di filtrare all'interno. George si inginocchiò sul bordo di pietra di una pozza e immerse un secchio nella spessa acqua salmastra, deponendolo accanto a sé prima di tornare a ripetere l'operazione con l'altro secchio. La luce si stava rapidamente attenuando, il sole si stava inabissando dietro l'orizzonte in un tripudio di pennellate rosa e arancioni. Le navi danesi tirate a secco non erano più che delle sagome scure, gli alberi che svettavano simili a pali neri contro il cielo. Benché fosse solo settembre, l'aria della sera conteneva già il gelo dell'autunno. George rabbrividì nella tunica sottile che indossava. Dato che le maniche erano umide, spruzzate di acqua salata, se le rimboccò fino ai gomiti per evitare che si bagnassero ancora di più. Per viaggiare verso settentrione, suo padre aveva ordinato a George e suo fratello Marc di rinunciare a tuniche e pantaloni eleganti per sostituirli con indumenti più umili, in modo da non richiamare l'attenzione. I servi del loro castello situato sulla costa meridionale- la loro nuova casa inglese che era stata donata al suo genitore per ricompensarlo della lealtà dimostrata nei confronti di Guglielmo il conquistatore- erano stati ben contenti di procurare ai due ragazzi dei vestiti pratici e modesti. Una tunica di lana grezza, dei pantaloni di un marrone scuro. Le uniche cose che George aveva conservato dalla sua precedente esistenza erano dei gioielli che conservava in un cassettone, e un anello che era appartenuto a sua madre omega come lui. "Venite, signore!" gli gridò una bambina all'estremità dell'asse. "La marea sta salendo! Dovete tornare subito indietro!" Guardandosi intorno, George si rese conto che tutti i bambini si erano allontanati e si stavano dirigendo verso la riva. Scoccò un'occhiata al fiume. L'acqua sciaguattava e ribolliva, mentre la spumeggiante marea cominciava a riempire i profondi crepacci che solcavano le paludi. La circolazione del sangue gli faceva formicolare i piedi, era rimasto inginocchiato troppo a lungo. Affrettandosi a rialzarsi, indugiando un istante per riacquistare l'equilibrio sull'asse traballante, si chinò per sollevare i secchi. Gli dolevano le braccia, come se qualcuno gliele avesse tirate con forza, rendendole due volte più lunghe del normale. A breve distanza da lui, alcuni bambini si erano fermati, i corpi denutriti stretti l'uno contro l'altro. Udì un gemito, poi un altro, e affrettò il passo verso di loro, portando i due secchi pesanti. La bambina che gli aveva gridato di tornare indietro era caduta nel fango ed era immersa fino alle ginocchia nella spessa melma vischiosa. "Come ha fatto a finire là dentro?" domandò George in tono severo, osservando i piccoli volti pallidi e smunti, striati di sporcizia. I bambini parvero perplessi per un attimo, come se non lo avessero compreso. Ci era abituato, del resto, dato che, per quanto si sforzasse di mascherare l'accento straniero, era incapace di pronunciare in modo corretto la lingua sassone. Ripeté la domanda, più adagio stavolta, e infine un bambino gli rispose. "è stato lui, signore." indicò un altro ragazzino. "L'ha spinta nella pozza. Lei lo stava canzonando, vedete" "Capisco." Lo interruppe George bruscamente. notando che il viso della bambina era impallidito per la paura mentre si dibatteva nel fango, spazzandolo via inutilmente con le mani. Mettendo giù i secchi, si allontanò dall'asse con l'intenzione di tirarla fuori. "Oh, no!" gridò il bambino per metterlo in guardia mentre George raggiungeva la palude. George affondò all'istante, i suoi piedi scomparvero, seguiti dai polpacci e dalle ginocchia. "Oh, Mio Dio, no!" gridò inorridito nel rendersi conto dell'errore che aveva commesso. La tunica si bagno completamente, e la gelida melma gli attanagliò il petto. "Non avreste dovuto farlo!" gridò un altro bambino. "Quel fango è pericoloso, vi risucchierà. è per questo che usiamo le assi. Per evitare di scomparire" George trasse un lungo, tremulo respiro. Nell'ansia di raggiungere la bambina, se n'era dimenticato. Il sudore prese a scorrergli sotto il copricapo, colandogli sul collo. Avrebbe voluto toglierselo, percepire l'aria fresca sulla pelle. si impose di non cedere al panico. Accanto a George, la bambina piangeva a dirotto, il viso smunto imbrattato di lacrime e sudiciume. "Ti tirerò fuori da qui." gli assicurò George in tono fiducioso. Insinuandogli le mani sotto le braccia scarne, tirò e sollevò, ignorando il fatto che così facendo stava affondando sempre di più, finché non udì una sorta di risucchio, un suono gratificante. Il fango aveva allentato la presa intorno alle gambe della bambina, pensò con enorme sollievo. "Striscia sullo stomaco lungo l'asse." gli ordinò. La bambina lo fissò con aria dubbiosa. "E voi, signore?" "Chiedi a qualcuno di venire a prendermi, quando avrai raggiunto la riva." rispose lui. "Cercate qualcuno che mi aiuti." gridò agli altri bambini, che stavano osservando la loro compagna scivolare sul fango fino a raggiungerli. Annuirono all'unisono, indicandolo, poi annuirono ancora una volta nell'allontanarsi. Mentre una folata portava via le loro voci stridule, un'ondata di vulnerabilità, insidiosa e minacciosa, lo pervase. In quel paesaggio brullo, spazzato dal vento, era completamente solo, immerso nel fango fino alle cosce, incapace di muoversi. I secchi di salamoia che aveva lasciato sull'asse parvero beffarsi di lui. Quanto tempo avrebbero impiegato, i bambini, ad avvisare qualcuno? E quel qualcuno sarebbe venuto? Il padrone della salina non aveva simpatia per lui, intuiva che c'era qualcosa di singolare nel suo atteggiamento, sebbene gli avesse propinato la stessa storia che, al pari del padre e del fratello, aveva raccontato a tutti durante il viaggio dal meridione. Erano tre sassoni che si stavano recando a nord presso alcuni parenti, dopo che i normanni li avevano derubati di tutto ciò che avevano posseduto. Poteva darsi però che la sua incapacità di parlare in modo corretto la lingua avesse finito per tradirlo. George tentò di sporgersi in avanti, di giacere prono sulla melma, annaspando con le mani per cercare di afferrare un ciuffo di canne. Il fango filtrava attraverso la sua tunica, freddo e bagnato contro lo stomaco. A poco a poco, lentamente; tirò le canne e vi si aggrappò, nella speranza di percepire un sia pur piccolo movimento intorno ai piedi e alle gambe, un segno che indicasse che il fango stava allentando la presa. Alla sua destra il fiume gorgogliava, un suono sinistro, l'acqua si riversava al di sopra delle pietre che circondavano le pentole di sale, cominciando a riempirle. La marea si stava alzando in fretta, ora. Atterrito, George fissò l'acqua che avanzava verso di lui. Affondare nel fango non era il suo unico timore. Al momento, annegare travolto dalla marea sembrava un'opzione assai più probabile. Alzando lo sguardo, cercò e trovò le sagome che affollavano la riva, pallidi spettri nel fioco chiarore dell'imbrunire. I bambini dovevano ormai aver raggiunto gli adulti e stavano certo chiedendo loro di andare a prenderlo. Si, doveva essere ciò che stava accadendo. Mentre si raddrizzava, quel pensiero gli procurò un certo conforto, inducendolo a continuare a fissare le assi, augurandosi che qualcuno, chiunque, venisse a salvarlo. Poi, con suo sommo sgomento, il gruppo di persone che si era radunato accanto alle baracche si allontanò. Nessuno si volse nella sua direzione. Tutti si stavano dirigendo verso i danesi che erano appena sbarcati, le braccia tese verso di loro in un gesto di benvenuto. Grida gioiose e acclamazioni echeggiarono attraverso la palude. Distratti dall'arrivo dei danesi, si erano dimenticati di lui, o non erano stati nemmeno informati della situazione in cui si trovava. Nessuno stava arrivando. Il panico l'attanagliò al pensiero che sarebbe morto lì, il fiato gli si mozzò in gola alla vista della marea, sempre più alta, finché tutta l'aria compressa nei polmoni non eruppe in un grido disperato. Continuò a urlare, agitando freneticamente le braccia in direzione della riva, dal momento che ne andava della sua vita.
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