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1391 Words
"Il nostro appuntamento erafissato per questo pomeriggio, Roger. Non per domani, non per laprossima settimana, ma per oggi. Apri bene le orecchie che te loscandisco più lentamente. O-G-G-I. Ti è più chiaro adesso o devoforse ripetertelo in un'altra lingua a tua scelta?" Santos sollevò lo sguardo conaria preoccupata quando il suo principale entrò a passo di caricanell'ufficio, ringhiando furibondo al cellulare. Oh-oh. Chissà che è ilmalcapitato che si sta beccando questa lavata di testa... Santos fece due più due esobbalzò sulla sedia, realizzando che doveva trattarsi del clientedelle quattordici. Ovvero di Roger Tyler,professione rockstar planetaria da milioni di dischi. Uno che erariuscito nel miracolo di diventare una leggenda mentre era ancoravivo e in perfetta salute. "No, non me ne frega un c..." Jerome Jackson Beaumont siinterruppe appena in tempo, controllando la sua furia, quando si reseconto che Santos lo stava ascoltando, suo malgrado. "Non me ne frega un accidentedi niente del tuo "imprevedibile contrattempo dell'ultimominuto", Roger. Sei stato tu a chiedermi, anzi per l'esattezzaa supplicarmi di realizzare il servizio fotografico per il tuoprossimo album. Quindi deciditi e fallo anche in fretta: o tipresenti qui oggi pomeriggio all'orario che avevamo stabilito, oppurepuoi scordarti l'intera faccenda, per quello che mi riguarda. Ecominciare pure a cercarti un altro fotografo". JJB ( Così lo chiamavanoconfidenzialmente i giornalisti mondani, ma nessuno che tenesse allapropria incolumità si sarebbe azzardato a rivolgersi direttamente alui in quel modo) ascoltò la risposta dell'altro per circa duesecondi- quasi un record, valutò Santos- prima di interromperlo. "Hai cinque minuti, Roger, nonuno di più, per risolvere il tuo "Imprevedibile contrattempo" erimandare l'incontro rovente con chissà qualche ragazzo avvenenteche avrà attirato la tua attenzione stavolta, spegnere i tuoibollori, prima di richiamarmi per confermare che sarai qui allequattordici in punto, esattamente come previsto. E con questo non hoaltro da aggiungere, mio caro". Detto ciò, Jerome JacksonBeaumont lanciò il cellulare sulla scrivania, come fosse un frisbee,in direzione di Santos che, dopo quasi un anno di allenamento, loafferrò con sicurezza prima che cadesse a terra e si frantumasse inmille pezzi. E come prima cosa controllò cheJackson avesse effettivamente chiuso la conversazione. Un'accortezza minima di cuipurtroppo il suo boss si dimenticava spesso. Offrendo allo sventuratointerlocutore, rimasto in linea dall'altra parte, anche uninvolontario secondo round di imprecazioni e/o contumelie varie. Santos gli rivolse un'occhiatadi riproverò. E ripensò alla prima volta che lo aveva incontrato. "Mi chiami soltanto Jackson".Gli aveva ordinato senza troppi complimenti, quando Santos avevacominciato a lavorare per lui, più o meno un anno prima, a suorischio e pericolo. "Non Jerome, mai. Né tantomeno Beau, glieloproibisco. Detesto i diminutivi. O signor Beaumont. Jackson e basta.Ricevuto?" Intimidito, Santos aveva presonota mentalmente. Adesso non gli dava più del lei, ma se ne guardavabene dal violare quella prima regola ferrea. "Jackson, sarebbe meglio chelasciassi a me il compito di prendere le telefonate" E di solitoera così, in effetti. Sfortunatamente, però, si era dovutoallontanare, tre minuti tre d'orologio, il minimo sindacale, per unavelocissima sosta alla toilette, lasciandogli così campo libero. Ed ecco il risultato. Jackson gli rivolse un sorrisoimpertinente, mentre si appoggiava con fare indolente al bordo dellasua scrivania, spostando il barattolo portapenne con una manata. "Tu dici? Non capisco perché.Non sono forse bravo come segretario?" "Urka. Il migliore incircolazione. A quest'ora saresti rimasto senza un solo cliente". In realtà non era così. Lagente faceva la fila per accaparrarsi JJB. Nonostante le sue manierea dir poco stravaganti. Non c'era una spiegazione logica, riflettéSantos. Quell'uomo era uno specialista assoluto nel trattare male lepersone. Eppure, più le strapazzava, piùle insultava o, peggio, le ignorava manco fossero trasparenti, e piùqueste tornavano a cercarlo. Come se ci avessero preso gusto,dopo ogni sfuriata si presentavano davanti a lui devote e deferenti,con la coda tra le gambe. E tutto questo perché lui eraJerome Jackson Beaumont, uno dei fotografi più famosi del mondo, unartista pluripremiato, osannato dalla critica, inseguito dalle retitelevisive, le cui opere erano esposte nelle gallerie d'arte piùesclusive e nei palazzi reali. In fondo non era poi un drammadover sopportare qualche villania se poi alla fine poteviaggiudicarti una foto originale di Jerome Jackson Beaumont. E anche il suo fascinoindiscusso lo aiutava non poco a farsi perdonare ogni sgarbo. Specialmente gli uomini. Perché JJB aveva uncaratteraccio, vero, ma era anche dannatamente attraente. Un metro e ottantotto di muscolisnelli e abbronzati, messi in risalto dalle magliette aderenti e daijeans che erano la sua divisa abituale- quel giorno si era messo unat-shirt blu e un paio di denim neri- occhi limpidi e blu come uncielo azzurro e senza nuvole in un giorno d'estate, zigomi forti ealti, naso dritto e affilato come una lama e una bocca cosìspudoratamente sensuale che sarebbe stato necessario farlo girare conun segnale di pericolo attaccato al collo, del tipo: Attenzione,baciare con moderazione. E come se questo non bastasse,Jackson aveva anche dei lunghi e morbidi capelli biondi che gliarrivavano quasi alle spalle, come spettinati dal vento, del coloredel miele e con dei favolosi riflessi zucchero caramellato. Una meraviglia per cui le donnesarebbero disposte a spendere una fortuna, andando dai parrucchieripiù costosi in ogni parte del pianeta. Insomma JJB era burbero eirascibile e aveva la lingua tagliente , ma e giudizio unanime delpubblico, era anche uno schianto d'uomo. Pochi minuti dopo averloincontrato, Santos aveva compreso che era esattamente come lodescrivevano. Unico, perfezionista. E assolutamente geniale. Gli era bastato altrettanto pocotempo, però, anche per sapere con certezza che, se ci si metteva,era assolutamente insopportabile. E ci si metteva spesso. Giravano anche parecchipettegolezzi piccanti sul suo conto, naturalmente. E Santos ne era alcorrente. Impossibile non esserneinformato, del resto. Chi non aveva mai letto i resoconti dettagliatidelle eccentricità di Jerome Jackson Beaumont nelle rubriche digossip dei maggiori quotidiani o notato le sue foto, sempre in dolcecompagnia, pubblicate a pagina intera sulle riviste patinate? L'agenzia di collocamento chegli aveva proposto il contratto, l'aveva avvertito che non sarebbestato un incarico facile. Dei tre assistenti che gli avevano mandatoil mese prima, due si erano ripresentati dopo quarantotto ore con inervi piuttosto scossi, giurando che non sarebbero mai più tornati aBeaumont House, nemmeno per il triplo dello stipendio. Il terzo non si era proprio piùvisto. Santos non si era fattoscoraggiare da quei precedenti, ed era andato dritto per la suastrada. L'impiego era molto ben remunerativo e non solo. Nellostipendio era compreso l'uso gratuito dell'appartamento indipendentesituato al piano terra della lussuosa dimora londinese in cui vivevae lavorava Jackson. E per lui, che a quel tempo eraalla ricerca urgente di una casa, questo era stato un incentivo piùche sufficiente per spingerlo ad accettare il posto, nonostante lapessima fama che caratterizzava il suo datore di lavoro. Assolutamente meritata. Eh già, perché Santos avevascoperto molto in fretta che Jerome Jackson Beaumont era davveroarrogante e impossibile come gli avevano raccontato. Con una sola eccezione. Suo figlio Daniel, sei anni. Considerando che Jackson non siera mai sposato- e nelle rare interviste dichiarava sempre che ilmatrimonio non rientrava nei suoi programmi. ( Manco morto era il suomotto), l'identità della mamma di Danny restava avvolta nel mistero. Un mistero che Jackson avevaripetutamente rifiutato di chiarire. Quando i giornalisti chiedevanospiegazioni riguardo a quel bel bambino che, a dodici mesi, eracomparso all'improvviso nella sua vita, cinque anni prima, larisposta, a volte annoiata , più spesso glaciale, era sempre lastessa: Qua l'è la prossima domanda? Visto che la madre del bambinonon era ovviamente più presente nella vita di Jackson e di Danny, lasua identità non era rilevante per Santos. Questo, tuttavia, nonsignificava che anche lui non provasse una certa curiosità sul suoconto. Era impossibile non chiedersi come mai fosse sparita in quelmodo. Rinunciando non solo a suo figlio, ma anche al papà, il ricco,bello e carismatico Jerome Jackson Beaumont. Danny era un bambino piuttostoalto per la sua età, con capelli biondi come il grano, occhi dellostesso azzurro intenso di quelli di Jackson e un'indole dolcementebirichina che conquistava tutti. Primo fra tutti proprio suopadre, che si faceva in quattro per accontentarlo, oltre a diventareun zuccherino. Bé, forse zuccherino non era iltermine più adatto da usare per descrivere Jackson, ma insommal'idea era quella. JJB adorava il piccolo Danny, e il bambino adoravalui. Anche Santos se n'erainnamorato, dal primo giorno che aveva messo piede a Beaumont House. Del figlio, non del padre, siachiaro. Aveva già pagato- e molto caro-lo sbaglio di essersi innamorato di un uomo etero. Ma aveva imparatola lezione. E non aveva intenzione di ripetere quell'esperienzadolorosa. Jackson Beaumont, poi, era un uomo da cui si doveva restarebene alla larga, sentimentalmente parlando. E cosi aveva fatto Santos.
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