Capitolo 5

2242 Words
Maria sapeva che l’unico modo per salvare i suoi figli era contattare sua madre. Decisa a farlo, cercò di ricordare l’incantesimo che le era stato insegnato tanto tempo prima. Con il frammento di vetro che ancora stringeva tra le dita, si incise leggermente un dito e lasciò cadere una goccia di sangue sulla superficie riflettente. Con voce ferma, pronunciò le parole: "Sangue del mio sangue, io ti invoco. Sangue del mio sangue, ascolta la mia richiesta d’aiuto." Appena l’ultima sillaba lasciò le sue labbra, il vetro si illuminò, e davanti a lei apparve l’immagine di sua madre. Alla sua vista, Maria non riuscì a trattenere le lacrime: solo in quel momento si rese conto di quanto le fosse mancata. Sua madre la guardò con un sorriso pieno d’amore, ma il suo sguardo si velò di preoccupazione quando notò quanto Maria fosse magra e provata. "Cosa succede, Maria? Dove ti trovi?" chiese con apprensione. Maria si asciugò le lacrime e inspirò profondamente prima di rispondere: "Ho bisogno del tuo aiuto. I miei figli sono in pericolo. L’esercito del Silenzio li sta cercando... Ti prego, solo tu puoi salvarli." Gli occhi della donna si fecero ancora più intensi. "Non temere, li cercherò in ogni specchio del mondo finché non li troverò. Ma tu? Cosa ne sarà di te?" Maria scosse la testa con determinazione. "Non preoccuparti per me. Troverò un modo per fuggire. Non mi arrenderò finché non sarò di nuovo con loro." Un’ombra di tristezza attraversò lo sguardo di sua madre. "Sono fiera di te, Maria. E mi dispiace averti lasciata sola in tutti questi anni." Maria le rivolse un sorriso pieno di affetto. "Hai fatto la cosa giusta. Se fossi rimasta con noi, non avrei mai trovato la forza che ho adesso. Mi sarei sempre appoggiata a te." Le due donne si guardarono un’ultima volta, un attimo sospeso nel tempo. Poi, mentre si dicevano addio, una lacrima silenziosa scivolò lungo il viso di Maria. … Nel frattempo, Carlo Salvati era stato prelevato dal luogotenente senza sapere dove lo stesse portando. Un’angoscia crescente gli serrava lo stomaco: temeva che il generale Smith avesse deciso di sbarazzarsi di lui. Come avrebbe fatto la sua famiglia senza di lui? Il solo pensiero lo terrorizzava, ma non poteva permettere che quell’uomo se ne accorgesse. Non avrebbe mai mostrato paura davanti a quegli uomini: lo doveva alla sua famiglia. Quando entrarono in una stanza, Carlo si guardò attorno. Sembrava uno studio. Davanti a lui c’era una scrivania metallica e, accanto, un divano di pelle nera che stonava con l’arredamento spartano. Il luogotenente seguì il suo sguardo e sorrise. "Volevo dare un tocco personale al mio studio." Poi, senza aggiungere altro, si avvicinò e gli tolse le manette. Carlo lo guardò stupito. "Perché mi ha liberato? Non ha paura che possa aggredirla?" chiese con diffidenza. L’uomo scoppiò a ridere. "Non credo che tu possa fare del male al tuo vecchio amico, Vera Volpe." Carlo spalancò gli occhi per lo stupore. Solo una persona lo aveva sempre chiamato così: Vittorio Crescentini, il suo migliore amico dai tempi delle elementari. Ma Vittorio era morto anni prima. Improvvisamente, davanti ai suoi occhi, il volto del luogotenente svanì e lasciò il posto a quello di Vittorio. I suoi occhi neri e penetranti erano sempre gli stessi, così come il tratto severo del viso. Solo qualche spruzzo di grigio sulle tempie testimoniava il passare del tempo. Carlo impiegò qualche istante a riprendersi dallo shock, poi chiese con voce roca: "Com'è possibile? Pensavo fossi morto... Cosa ti è successo in questi quindici anni?" Vittorio gli indicò una sedia. "Siediti. Ti racconto tutto." Carlo si accomodò, e il suo amico iniziò a parlare. "Tutto è iniziato la sera in cui mi hanno catturato. Hanno provato a piegarmi con minacce e t*****e, ma non ho ceduto neanche per un secondo. Poi, una mattina, quando mi sono svegliato, ho trovato la guardia che doveva sorvegliarmi addormentata accanto alla mia cella. Non mi sono lasciato sfuggire l’occasione: gli ho sfilato le chiavi dalla cintura, ho aperto la porta e sono scappato. Per non farmi riconoscere, ho assunto le sembianze della guardia e mi sono mosso tra i corridoi come se fossi uno di loro. A chiunque mi fermava dicevo che avevo appena terminato il turno. Sono riuscito a uscire e ho preso la prima macchina che ho trovato. Ma non ci hanno messo molto a capire che ero fuggito e hanno iniziato a inseguirmi. A quel punto, ho capito che non potevo tornare a casa: i miei genitori sarebbero stati in pericolo. L’unico modo per distruggere l’organizzazione era infiltrarmi e sgretolarla dall’interno. Così ho usato i miei poteri per creare un mio clone, identico a me in tutto e per tutto, anche nel DNA. Poi ho cambiato il mio aspetto e mi sono arruolato nell’Esercito del Silenzio. In breve tempo, sono diventato il braccio destro del comandante Smith, il padre dell’attuale generale. Quando il vecchio Smith si è ritirato per una grave malattia, il figlio ha preso il comando e io ho mantenuto la mia posizione al suo fianco." Proprio in quel momento, qualcuno bussò alla porta. Vittorio si voltò e, con un leggero bagliore, il suo volto tornò a essere quello di un giovane biondo dagli occhi verdi. "Avanti." disse con tono deciso. Un giovane soldato entrò nella stanza. "Il comandante Smith la vuole nel suo studio." "Va bene." rispose Vittorio, poi si voltò verso il soldato e aggiunse sottovoce: "Riporta il prigioniero nella sua cella, ma non fargli del male." Dopo l’uscita di Vittorio, il giovane si avvicinò a Carlo, gli rimise le manette e lo condusse di nuovo nella sua prigione. … Il Comandante Adam Smith era furioso. Non poteva credere che i fratelli Salvati fossero riusciti a fuggire. La rabbia lo divorava mentre lanciava qualsiasi oggetto gli capitasse a tiro. Un bicchiere andò in frantumi contro il muro proprio nel momento in cui il luogotenente entrava nella stanza. L’ufficio era un caos: sedie rovesciate, documenti sparsi ovunque. Il luogotenente raccolse una sedia dal pavimento e, con un’espressione impassibile, si avvicinò al comandante. "Mi ha fatto chiamare, signore? Di cosa ha bisogno?" chiese con voce calma. Adam si voltò di scatto, gli occhi iniettati di sangue, la furia che gli bruciava nelle vene. "Devi trovarti dei soldati più competenti!" ringhiò. "I figli dei prigionieri sono riusciti a scappare! Qualcuno li ha aiutati e voglio sapere chi! Indaga su questa coppia di anziani." Afferrò un fascicolo e lo gettò verso il luogotenente. Quest’ultimo lo aprì e, con un tuffo al cuore, riconobbe subito le foto. Erano i suoi genitori. Un brivido gli percorse la schiena. Quindi erano stati loro ad aiutare i fratelli Salvati a fuggire. Doveva trovare un modo per avvertirli prima che fosse troppo tardi. L’unica possibilità era sviare le indagini e ottenere l’aiuto dei coniugi Salvati, gli unici in grado di mettersi in contatto con sua madre e suo padre. Si riprese dalla sorpresa, alzò lo sguardo dal fascicolo e disse con fermezza: "Farò del mio meglio per ottenere informazioni su queste due persone. Con il suo permesso, inizierò subito le ricerche." Adam annuì con impazienza. "Il permesso è accordato." Non appena il luogotenente lasciò la stanza, Adam si avvicinò alla scrivania, aprì un cassetto e ne estrasse una vecchia fotografia. Rimase a contemplarla per alcuni istanti, il suo sguardo si fece torbido, quasi ossessivo. Le sue dita sfiorarono con delicatezza l'immagine, come se accarezzasse il volto della persona ritratta. Poi, con un sorriso crudele, sussurrò a denti stretti: "Un giorno sarai mio, Riccardo Salvati. Farò di tutto per catturarti, anche se dovrò eliminare ogni singola persona che ami." … Appena usciti dal portale, i fratelli Salvati si ritrovarono in un garage polveroso. Davanti a loro c’era una macchina vecchia, una berlina blu metallizzata dal colore ormai scrostato. Non era certo il massimo, ma era l’unica possibilità per allontanarsi il più in fretta possibile. Senza perdere tempo, caricarono i loro pochi effetti personali nel bagagliaio e si prepararono a partire. Teo si voltò verso Riccardo con un’espressione tesa. "Riccardo, è troppo pericoloso andare all’aeroporto. Meglio prendere la strada fino in Portogallo e da lì imbarcarci su una nave per l’America. Una volta arrivati, cercheremo mia madre. Lei ci aiuterà e saremo finalmente al sicuro. L’Esercito del Silenzio non potrà raggiungerci laggiù." Riccardo annuì. "Hai ragione, è l’unica soluzione." Aprirono la porta del garage e salirono in macchina, partendo senza indugi. Intorno a loro, solo distese di campagna. La città doveva essere molto lontana. Sapevano che i Crescentini possedevano da generazioni una casa nelle Langhe, ed erano certi che quel garage ne facesse parte. Ma non c’era tempo per pensarci. L’unica cosa che contava era allontanarsi il prima possibile. All’improvviso, il cellulare di Teo iniziò a squillare. Lui, impegnato a guidare, lanciò un’occhiata a Riccardo. "Rispondi tu." Riccardo prese il telefono e rispose. "Pronto?" Dall’altro capo della linea, una voce familiare. "Pronto, Riccardo? Sono Sergio Assisi, il vicepresidente dell’azienda. Vorrei parlare con Teo. Me lo puoi passare?" "Sta guidando, ma ti metto in viva voce." Premette il pulsante e posò il telefono sul cruscotto. "Pronto, Sergio, sono io. Di cosa volevi parlarmi?" chiese Teo, senza distogliere lo sguardo dalla strada. "Te ne sei andato così all’improvviso… Che diavolo è successo?" Teo sospirò. "Sergio, dobbiamo andarcene. L’Esercito del Silenzio è sulle tracce dei miei fratelli e io non posso lasciarli nei guai. So che, mentre sarò via l’azienda sarà in ottime mani. Mi fido di te." Ci fu un attimo di silenzio dall’altro lato della linea, poi Sergio rispose con tono grave: "Non preoccuparti. Mi occuperò di tutto. Ma voi fate attenzione e trovate un posto sicuro il prima possibile." "Abbiamo bisogno del tuo aiuto, Sergio." continuò Teo. "Puoi procurarci dei biglietti per una nave diretta in America? Partiremo dal Portogallo, credo che ci arriveremo tra una settimana." "Consideratelo fatto. Voi pensate solo a stare al sicuro." Teo accennò un sorriso. "Grazie, Sergio. Sei sempre un amico fidato." Dall’altra parte della linea, l’uomo sospirò. "Per me siete come dei figli. Da quando vostro padre è sparito, la mia priorità è stata solo la vostra sicurezza." "Ti ringrazio di cuore." rispose Teo. "Ora dobbiamo andare." "Va bene. State attenti." La chiamata si interruppe. Riccardo e Teo si scambiarono uno sguardo veloce. Il viaggio era appena iniziato. Riccardo prese il cellulare di Teo e terminò la chiamata. Non fece in tempo a posarlo che Teo, con un gesto inaspettato, abbassò il finestrino e lo lanciò fuori. Il telefono scomparve tra la polvere della strada sterrata. Riccardo si voltò di scatto, fissandolo con occhi sbarrati. "Ma che diavolo…" Teo incontrò il suo sguardo e, con tono deciso, disse: "Ne compreremo un altro. Se ci hanno rintracciato, almeno così li confondiamo per un po’." Riccardo annuì lentamente, ancora sorpreso. Poi distolse lo sguardo e si voltò verso il finestrino, osservando il paesaggio che scorreva veloce. Il pensiero di ciò che li aspettava gli appesantiva il petto. Non sapeva cosa sarebbe successo da quel momento in poi, ma una cosa era certa: qualunque sfida li attendesse, l’avrebbero affrontata insieme. … Sergio Assisi riagganciò il telefono con un sospiro pesante, poi premette un pulsante sulla scrivania. "Signorina Sereni, venga subito nel mio ufficio." Dopo pochi minuti, la porta si aprì e la segretaria fece il suo ingresso con il solito passo deciso. Era una donna di mezza età, con il vizio insopportabile di impicciarsi della vita altrui. Nessun pettegolezzo sfuggiva alle sue orecchie, eppure, nonostante la sua fama di ficcanaso, la sua efficienza l’aveva sempre tenuta ben salda alla sua posizione. "Mi dica, signore, di cosa ha bisogno?" chiese con tono educato, anche se il luccichio nei suoi occhi tradiva la curiosità. Sergio si massaggiò le tempie, poi rispose con tono autoritario: "Convoca subito una riunione con tutti i dirigenti. Ci sono questioni urgenti da discutere." La donna annuì prontamente. "Provvedo subito." Uscì dall’ufficio e si diresse verso la sua scrivania per iniziare a chiamare i dirigenti. Proprio mentre stava per sollevare la cornetta, la porta si spalancò ed entrò Karen, la segretaria personale del presidente. "Che succede?" chiese avvicinandosi con aria inquisitoria. La signorina Sereni non si fece pregare. "Il vicepresidente ha convocato una riunione. A quanto pare, il presidente sta scappando in America con i suoi fratelli. Andranno in Portogallo per imbarcarsi su una nave. Si dice che l’Esercito del Silenzio li stia cercando... soprattutto i fratelli più piccoli. Ma che rimanga tra noi." Karen sorrise in modo appena percettibile. "Non ti preoccupare, non lo dirò a nessuno." Le rivolse un cenno condiscendente e uscì dall’ufficio con passo sicuro. Appena arrivata alla sua scrivania, chiuse la porta e compose un numero. Dopo qualche squillo, una voce dall’altro capo rispose: "Pronto, qui è il centralino dell’Esercito del Silenzio. In cosa possiamo aiutarla?" Karen si schiarì la voce e assunse un tono preoccupato e concitato. "Devo segnalare una cosa importante. So dove si stanno dirigendo alcuni ricercati. I fratelli Salvati stanno andando in Portogallo per imbarcarsi verso l’America. Sono pericolosi... devono essere fermati. Soprattutto Riccardo Salvati... lui ha tentato di uccidermi." La voce all’altro capo rispose con fermezza. "Grazie per la segnalazione. Agiremo immediatamente." La comunicazione si interruppe. Karen abbassò lentamente il telefono, un sorriso maligno si dipinse sulle sue labbra. Si lasciò cadere sulla poltrona, incrociò le mani e sussurrò tra sé: "Presto sarà la tua fine, Riccardo Salvati. E quando sarai nelle mani dell’Esercito del Silenzio, Teo sarà finalmente mio." Una risata fredda e soddisfatta riecheggiò nel suo ufficio.
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