15. THE TRUTH (first time)

1565 Words
«Grazie.» disse William, sorridendo mentre beveva la cioccolata che Edward gli aveva offerto per cercare di tranquillizzarlo dato che da quando aveva fatto la confessione di volergli parlare di tutto sembrava un pezzo di legno. Era sicuro di volergli parlare ed era anche certo che parlargli dei suoi vari problemi l'avrebbe aiutato a sfogarsi e l'avrebbe fatto sentire meglio, eppure aveva paura di perderlo. Quella vita non era per niente facile e vista sua madre, anche William poteva tranquillamente essere scambiato per una persona inaffidabile.  «Figurati.» gli rispose Edward sorridendo, «Ma se ti turba possiamo anche non parlarne, okay? Non sei obbligato, Will.» cercò di convincerlo ancora una volta. Non voleva che William si innervosisse, perché ciò poteva portare ad un altro pianto, altre lacrime e altri singhiozzi e sinceramente Edward era stanco di vederlo piangere solo per colpa della merda che lo circondava. Non era giusto. «Voglio parlarne.» ribadì William, facendo poi un respiro profondo per calmarsi e guardando la cioccolata calda tra le sue mani, «È che non so da dove iniziare.» osservò, concentrandosi mentre Edward stava in silenzio per permettergli di riordinare i pensieri. William continuava a chiedersi come potesse avere tutta quella pazienza con lui. Doveva tenerci davvero molto, perché un'altra persona gli avrebbe sputato in faccia dopo tutta quell'attesa. O forse William era solo abituato a frequentare le persone sbagliate. «Avevo circa tre anni quando iniziò tutto. I miei mi hanno avuto quando ancora frequentavano il liceo e le loro famiglie ovviamente non accettavano il tutto; quindi, erano scappati di casa e avevano deciso di vivere da soli. Ma ovviamente erano ancora adolescenti inesperti e i soldi non piovono dal cielo.» cominciò con tono basso. Non voleva che qualcuno sentisse le loro conversazioni e nonostante fossero in un posticino appartato (scelto appositamente da Edward) non voleva dare spettacolo. «Mia madre mi stava dando da mangiare quando mio padre tornò a casa dopo lavoro. Era sballato, completamente andato e le disse di provare, lui si sentiva meglio, era riuscito a superare l'ennesimo licenziamento dal posto di lavoro grazie a quella "piccola meraviglia". Che poi non era altro che droga. Era la prima volta che si spingeva oltre l’abuso di alcool.» fece una smorfia, «Inizialmente lei si rifiutò ma poi lui insistette e insistette e mia madre si lasciò convincere, volendo scappare da quella che era diventata la sua vita. È più o meno qui che comincia tutto, perché dopo ciò, che mi è stato raccontato da mia madre durante uno dei suoi momenti da "madre dell'anno che chiacchiera col figlio", il tutto è peggiorato. Mio padre è sparito, si è volatilizzato. Mia madre ha cominciato a bere, farsi di qualunque cosa possibile, portare uomini sconosciuti a casa per "colmare il vuoto" a detta sua, che le aveva lasciato Jason. Avevo solo sette anni quando ha rischiato la prima overdose.» si concentrò sul colore della cioccolata, cercandone le varie sfumature solo per non pensare troppo a quei momenti ed evitare di piangere. Edward poggiò la mano sulla sua, occupata a stringere forse in modo troppo forte la tazza e gli accarezzò piano le dita, riuscendo poi a spostarla e prenderla tra le sue, continuando ad accarezzarla per dargli conforto senza dire nulla. Sapeva che se l'avesse interrotto si sarebbe zittito. «E non capivo cosa avesse, non lo sapevo e cercavo di capire ma ero piccolo, chiamai la vicina che al tempo faceva parte del giro di mia madre. Ricordo che ero certo fosse un medico per come era riuscita a gestire la situazione, ora come ora potrei dire che avesse dei contatti con chissà che tipo di persone e fosse riuscita a curare mia madre in una sorta di ospedale illegale o che so io. Era una regola: mai chiamare i soccorsi perché mi avrebbero portato via da lei e senza lei non potevo vivere, a detta sua. Tutt’oggi è così. È come se io fossi il padre di mia madre, perché non si sa gestire, si trasferisce di qua e di là quando le va, usando i soldi che quei pazzi che la frequentano le danno. Io- lei è così stronza, cazzo. Non le importa di me, della mia felicità. Mi vuole portare via da qui, via da te e io non credo di potercela fare ancora una volta, Edward. Non -non credo di potermi fermare dal- dal-» tremò appena e il riccio si alzò immediatamente sedendosi nella poltroncina accanto a William e lasciando che questi si accoccolasse contro di lui tirando su col naso. «Hai provato?» chiese Edward, riferendosi chiaramente al suicidio. Aveva capito, come sempre. Lo capiva con una facilità disarmante, sembrava che sapesse sempre ciò che doveva dire, ciò che intendesse. «Una volta.» sussurrò William, stringendo la maglia del riccio in due pugni con nervosismo, «A-avevo quattordici anni e mia madre quel giorno era particolarmente andata. Continuava a ripetere di quanto sarebbe stato fantastico stare da sola senza pesi mentre si divertiva. Ho sempre saputo di essere un peso, ma speravo di continuo che mi dimostrasse di amarmi, d-di volermi un minimo di bene. Io le volevo bene, Ed.» non riuscì a fermare le lacrime che scesero copiosamente dai suoi occhi azzurri ed Edward lo strinse a sé baciandogli la testa, «Le volevo bene ma ora non so cosa provo. Perché dovrei provare un qualcosa per la donna che mi ha ucciso pian piano prima mentalmente e ora anche fisicamente? Non credo di farcela senza te accanto.» sussurrò, lasciandosi coccolare da Edward. «Sono qui e non vado da nessuna parte. Tu non andrai da nessuna parte, piccolo, ricordi che te l'ho promesso?» lo rassicurò quest'ultimo ma William scosse la testa, «Non posso scappare da lei. Ogni volta che provo succede qualcosa di brutto perché senza di lei sono vulnerabile.» ripeté poi, come se fosse una battuta studiata da copione. Edward aggrottò le sopracciglia, «In che senso?» chiese poi, accigliandosi maggiormente quando «Vengo picchiato, una volta stavo per essere rapito, un-» «Aspetta aspetta. Tu scappi?» chiese di nuovo il riccio, mettendosi improvvisamente dritto contro lo schienale. «Te l'ho detto, mamma dice che la gente là fuori è crudele e che devo fare attenzione alle persone con cui sto.» aggiunse con lo stesso tono di poco prima. Sembrava un bambino a cui avevano inculcato quella convinzione, come se fosse una regola importante o di valore. La ripeteva come un mantra, una poesia studiata a memoria, parole che probabilmente neanche erano chiare, ma talmente radicate che ormai era quasi automatico ripeterle e convincersene ogni volta di più. «Quindi se tu ti allontanassi...» «Potrebbero uccidermi.» affermò William, annuendo e asciugandosi le lacrime di poco prima per ripulire il viso. Lo disse con una tranquillità tale che ad Edward si raggelò il sangue nelle vene. «Sai chi sono queste persone?» chiese flebilmente il riccio e l'altro scosse la testa, «Non ne ho idea, ma non sono mai le stesse. Ho provato una decina di volte a scappare in questi anni, ma non ci sono mai riuscito.» William portò istintivamente una mano sulla propria guancia, quella che era stata schiaffeggiata quella mattina solo perché aveva provato a ribattere ed opporsi alle strambe idee della madre. «È stata lei?» chiese Edward, notando il movimento. William annuì piano, «Stamattina. Non voleva che ribattessi e che provassi a non seguirla a Santa Monica. Mi ha ricordato anche che mi sbatterebbero in un orfanotrofio se lei se ne andasse quind-» il cellulare di Edward squillò e il riccio lo tirò fuori facendo per attaccare ma appena lesse il nome sul display si alzò rapidamente e guardò William, «È importante, non sparire, torno subito.» disse, baciandogli la fronte ed uscendo fuori dalla caffetteria. William lo seguì con lo sguardo, confuso, ma non fece domande e lo osservò mentre fuori, oltre la vetrina, parlava al cellulare in modo nervoso e con foga, agitando la mano libera come un dannato. Sembrava arrabbiato, furioso. Ed il tutto era accaduto in quanto? Cinque minuti? Possibile che William fosse stato troppo preso dai suoi problemi per pensare anche a Edward? E se anche lui avesse avuto dubbi, problemi in casa (cosa abbastanza possibile ricordando la conversazione con Michael) ma non gliene avesse parlato per non farlo sentire peggio? Non doveva pensarla assolutamente così! William l'avrebbe aiutato, ovviamente, in ogni singola cosa se solo glielo avesse chiesto. «Eccomi.» si ripresentò Edward qualche minuto dopo, facendo sussultare l'altro che non si era accorto del suo rientro, troppo preso dal porsi mille domande su cosa stesse succedendo al riccio. «Tutto bene?» chiese William, guardandolo dal basso mentre Edward prendeva nuovamente posto accanto a lui. Il riccio annuì fingendo un sorriso, «Andrà tutto a meraviglia.» affermò con tono strano. William annuì piano e poggiò la testa sulla sua spalla, «Sai che come io parlo con te dei miei problemi tu puoi parlarmi dei tuoi, vero?» sussurrò, cercando la mano del riccio. Edward annuì, «Lo so, non è questo il caso.» disse soltanto prima di sporgersi verso l'altro e baciarlo. William sgranò gli occhi non aspettandosi un simile gesto improvviso e ricambiò il bacio circondando il collo del ragazzo con le braccia e approfondendolo. Appena si separarono, William sorrise, «Questo era per?» chiese, alzando un sopracciglio. Edward alzò le spalle, «Perché mi andava.» rispose semplicemente, baciandolo ancora una volta. Era ovviamente un modo come un altro di cambiare argomento, ma Edward sapeva che prima o poi le cose sarebbero precipitate e quando sarebbe successo, nessun bacio avrebbe potuto risolvere.
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