Luca si trovava nella sua cella di vetro, immerso in un silenzio irreale. Il gelo dell’ambiente sembrava insinuarsi nelle ossa, ma il freddo più insopportabile era quello che sentiva dentro di sé. I ricordi della sua famiglia, del fratellino Carlos, lo tormentavano incessantemente. Non sapeva più nulla di lui e l’angoscia per la sua sorte gli stringeva il petto come una morsa.
Un suono flebile, un lamento appena percettibile, lo distolse dai suoi pensieri. Si girò verso la cella accanto e vide Clairy, la piccola prigioniera, rannicchiata sulla branda. Tremava visibilmente, il respiro irregolare e il viso madido di sudore. Luca si accostò al vetro trasparente, ignorando l’inquietudine che lo pervadeva.
"Clairy? Sono Luca, mi senti?"
La bambina socchiuse gli occhi, e Luca sentì un brivido percorrergli la schiena. Non erano più del colore che ricordava. Ora brillavano di un argento liquido, simili a un cielo tempestoso prima che la furia della natura si scatenasse. Lentamente, Clairy si alzò, barcollante, e si avvicinò alla porta della cella. Luca trattenne il fiato quando vide le sue piccole mani posarsi sul vetro.
Un impulso elettrico si propagò lungo la superficie, ma anziché respingerla, sembrava alimentarla. Le vene sulle sue braccia si illuminarono di una tenue luce argentea, e per un istante la stanza fu pervasa da un'energia quasi palpabile. Era come se il sistema di sicurezza non avesse alcun effetto su di lei.
"Clairy..." sussurrò Luca, colmo di stupore.
Non fece in tempo a riflettere oltre. Una presenza alle sue spalle lo fece trasalire. Un uomo, alto e imponente, lo osservava con occhi di ghiaccio. Non l’aveva sentito arrivare, e questo lo metteva a disagio.
"Ora sei libero," annunciò con voce ferma. "L’imperatore ti ha scelto. Sarai trattato come un ospite nelle mie stanze."
Luca rimase senza parole. Non sapeva se fidarsi. Nessuno conosceva davvero l'imperatore, era un'ombra, un'entità temuta ma mai vista. L’idea di passare da prigioniero a ospite lo turbava profondamente.
Ma non poteva pensare solo a sé stesso. Si girò verso Clairy, ancora debole ma incredibilmente potente. "Vi prego, lasciatela andare con me. Ha bisogno di aiuto. Se i suoi poteri si risvegliano completamente in questo stato, potrebbe essere pericolosa."
Colton, il comandante, osservò la bambina per un lungo istante. Luca non poteva saperlo, ma in quegli occhi freddi si accese qualcosa. Comprensione. Empatia. Una conoscenza silenziosa di ciò che Clairy stava attraversando.
Infine, annuì. "Va bene. Ma solo perché l'imperatore mi ha chiesto di renderti le cose più facili."
Aprì la cella, e Clairy, priva di forze, crollò a terra. Luca si mosse per aiutarla, ma Colton fu più veloce, sollevandola senza sforzo tra le braccia. "Seguimi."
Luca obbedì, seguendolo lungo un corridoio che sembrava infinito. L’aria era carica di elettricità, e l’illuminazione fredda gettava ombre lunghe e minacciose sulle pareti metalliche. Arrivarono a un ascensore di vetro. Salirono, e mentre si elevavano, la vista della città sotto di loro si svelò in tutta la sua desolazione.
Edifici distrutti, strade in rovina, vestigia di una guerra senza tempo. "Che cosa è successo qui?" domandò Luca, incapace di distogliere lo sguardo.
Colton rimase in silenzio per un momento. Poi, con una calma che celava un peso antico, rispose: "Non è successo nulla di recente. Questa è solo la memoria della guerra. Nessuno ha ricostruito perché nessuno deve dimenticare."
Luca rabbrividì. C'era qualcosa di profondamente inquietante in quella filosofia.
Arrivati ai piani superiori, furono accolti da un ambiente diverso. L’appartamento del comandante era elegante ma austero, dominato da colori scuri e linee pulite. Colton posò Clairy su un ampio letto e chiamò immediatamente un medico.
Quando la dottoressa entrò, Luca notò il suo sguardo. Occhi attenti, forse troppo attenti, posati su Colton con un'intensità che non si sforzava di nascondere. Ma il comandante sembrava ignorarla completamente.
"Chi è questo?" domandò la donna, fredda, indicando Luca.
Colton non le diede spiegazioni. "Non è affar tuo. Fai il tuo lavoro."
La dottoressa si irrigidì, ma non protestò. Esaminò Clairy con attenzione, poi si voltò verso Colton. "Febbre altissima. Ho somministrato qualcosa per abbassarla. Controllatela ogni ora. Se non migliora, dovrete portarla in ospedale."
"Va bene," rispose Colton con tono distante.
La dottoressa esitò, come se volesse dire qualcosa, ma alla fine si limitò ad andarsene, lasciandoli soli. Colton si voltò verso Luca, il suo sguardo più morbido del solito. Gli porse un cellulare.
"Se hai bisogno di qualcosa, chiamami."
Poi si voltò e se ne andò senza aggiungere altro.
Luca rimase solo con Clairy, il cui respiro ora sembrava più regolare. Ma la sua mente era in subbuglio. Colton non era come gli altri soldati. Aveva qualcosa di diverso. Qualcosa che lo turbava e lo attraeva al tempo stesso.
Dall'altra parte della città, Colton sedeva nel suo ufficio, i pensieri rivolti a Luca. Non era solo attrazione. Era qualcosa di più profondo, qualcosa che non riusciva a comprendere. E questo lo inquietava.
Improvvisamente, la porta si spalancò. Un soldato entrò trafelato, il volto pallido.
"Comandante! L’imperatore Smith è stato assassinato dai ribelli."
Colton si immobilizzò. Il gelo si insinuò nella sua anima. Se l’imperatore era morto, il caos sarebbe esploso. E la prima cosa che doveva fare era proteggere Luca, prima che qualcuno scoprisse chi fosse davvero.
Si alzò di scatto e corse fuori dall’ufficio. Il destino di Luca era appena diventato ancora più pericoloso.