Alex pov
> dissero i miei amici in coro per telefono.
Matthew e Kendal continuavamo a rompermi senza sosta da almeno dieci minuti.
La festa di Rebekah era una delle cose che assolutamente non potevi perderti se volevi rimanere nelle sue grazie e in quelle delle sue amiche cheerleaders.
Anche se, a cosa serviva a me una festa se già andavo o ero andato a letto con tutte loro o quasi? Ero l'eccezione in questa enorme beffa, questa enorme festa senza senso.
> risposi irritato.
> disse Matt sentendolo già in quota e riattaccò.
Ah alcool cosa non faceva, ti poteva rendere un perfetto idiota o un perfetto stronzo in pochi minuti.
Non avevo proprio voglia quella sera di stare in mezzo alla la gente.
Solitamente ero la star della serata, il casinista, lo "spezza cuori", non sicuramente il nonno noioso che preferiva starmene a casa a fumarmi qualcosa e a farsi massaggiare l'amico da qualche frivola pollastra.
Presi la mia Marlboro tra le dita e iniziai a fumare, aspirai la morte a pieni polmoni sentendolo bruciare per lo sforzo e quelle sostanze estranee e nocive.
La sera per fortuna non faceva così caldo come nel pomeriggio, negli ultimi giorni era difficili solo stare in casa a far niente, noi che però avevamo gli allenamenti e tanto di protezioni addosso stare sotto il sole cocente del pomeriggio non aiutava molto la lucidità di qualcuno.
Feci due passi verso un muretto e mi sedetti, nel mentre intravedi una biondina indaffarata. In qualcosa o qualcuno.
Si girò intenta ad annuire al vuoto, probabilmente parlava al telefono in quel momento non riuscivo bene a vedere tutti i dettagli, ma nonostante ciò non mi notò.
Era lei, quella di sta mattina intenta a parlare con qualcuno al telefono, ma non capivo con chi, lo intuii nel momento in cui fece due passi verso la mia direzione e lo schermo al suo orecchio si illuminò e la sua bocca iniziò a muoversi a raffica.
Si voltò verso di me non accorgendosi prima della mia presenza e mi fissò, aveva un abito che per quanto non fosse sconcio gridasse comunque "strappami e prendimi su quel muretto." E le mie parto intime concordavano in pieno con i miei pensieri.
La guardavo, anzi la fissavo proprio, ma in quel momento una mano si appoggiò alla mia spalla.
Rebekah.
> disse lei con voce stridula poi del solito da gallina che era.
> risposi noncurante della sua presenza acanto a me.
> chiese ammiccando un mezzo sorrisetto che non prometteva nulla di buono.
Mente si avvicinava a me posando la sua mano perfettamente smaltata sul mio petto e sui bottoni della mia camicia con insolita insistenza.
Non la sopportavo quando cercava di marcare il territorio, un territorio oltretutto inesistente.
Non ero suo, non ero di nessuno.
Non me ne vogliate, Rebekah è veramente bella, labbra piene, bionda, seno piccolo, ma sodo come i suoi glutei.
L'unico problema è che era insopportabile, una vera vipera da falsa reginetta del liceo, la solita stronza che poi finisce in malo modo.
> dissi con tono ironico.
Probabilmente non se ne accorse o fece finta, perché mi ficcò la lingua in bocca all'istante, passando la sua mano sulla lampo dei miei pantaloni con voracità.
Quella ragazza era ancora lì e ci guardava in modo disprezzante, lo potevo notare dalla sua espressione.
Per farle dispetto, non so neanche per quale motivo presi Rebekah e la portai dentro passandole a fianco con un sorriso malizioso.
Ero un coglione sì, ma alle ragazze di qua piacevo così, quindi perché sforzarmi?
La portai in camera sua, ormai conoscevo bene quella casa, Rebekah iniziò a spogliarsi e poi spogliò me.
Si fece sbattere per bene, perché tanto era l'unica cosa che sapesse fare, insieme al spettegolare e fare shopping.
Era una bambola gonfiabile il cervello lo usava solo per far passare dell'ossigeno e non sembrare un vegetale, era uguale a tutte le altre dopotutto.