L’interno della casa era avvolto da un silenzio innaturale. Ogni passo sul pavimento in legno sembrava attutito, come se il suono venisse assorbito dalle pareti. L’aria era pesante, intrisa di un odore indefinibile: non era polvere, non era muffa… era qualcosa di più sottile, qualcosa che si insinuava nei polmoni come un sussurro.
Ben si passò una mano sulla nuca, irrequieto. "Dovremmo almeno accendere qualche luce. È un po’... inquietante qui dentro."
Mark, il manager, sfoderò il cellulare e controllò il segnale. Nulla. Nessuna linea. Nessun Wi-Fi. "Fantastico. Siamo davvero isolati."
Trevor sbuffò, incrociando le braccia. "Magari è una buona cosa. Così finalmente potremo lavorare senza distrazioni."
Ben gli lanciò un’occhiata tagliente. "Oh, certo. Perché tu sei sempre concentrato sul lavoro, vero?"
Trevor strinse la mascella, ma non rispose. Luke, il batterista, osservava la scena con una certa ansia. Non sopportava l’atmosfera tra loro due: tensione costante, parole non dette, sguardi troppo intensi. Sapeva che tra loro c’era qualcosa di irrisolto, ma quella casa… quella casa sembrava amplificare ogni piccolo attrito.
Jasper e Antony, invece, si muovevano con più sicurezza. Erano abituati a stare insieme, a capirsi con uno sguardo. Jasper si avvicinò a un vecchio camino e sfiorò il marmo freddo. "Sembra che nessuno ci abbia vissuto da anni. Ma non c’è polvere. Non capisco."
"Magari qualcuno viene a pulire?" suggerì Luke, ma la sua voce non era convinta.
Mark scosse la testa. "Dubito. Il proprietario non ha mai risposto alle nostre chiamate. È come se questa casa… si fosse affittata da sola."
Un silenzio carico di inquietudine cadde sul gruppo. Nessuno voleva ammetterlo, ma tutti avevano sentito qualcosa di strano dal momento in cui erano entrati.
Poi, la porta della cucina si chiuse da sola.
Il rumore fu netto, un colpo secco che riecheggiò per tutta la casa. Jasper si voltò di scatto. "Che cazzo è stato?"
Mark si affrettò a minimizzare. "Sarà il vento. Oppure la casa si sta assestando."
"Non c’era vento." La voce di Antony era piatta, ma aveva un’ombra di preoccupazione.
Luke, che fino a quel momento era rimasto in disparte, si sentì improvvisamente osservato. Si voltò di scatto, ma dietro di lui non c’era nulla. Solo il lungo corridoio che portava al piano superiore, avvolto da un’ombra innaturale.
Cercò di ridere per sdrammatizzare. "Va bene, ragazzi. Diciamo che… almeno è un posto suggestivo per scrivere un album."
Ben annuì lentamente, ma i suoi occhi continuavano a scrutare le pareti. "Già. Speriamo solo che non ci crolli addosso."
…
Dopo aver portato le loro cose nelle rispettive stanze, il gruppo si prese un attimo per esplorare la casa.
Le camere erano spaziose, arredate in uno stile che sembrava fuori dal tempo. Nessuna traccia di modernità. Letti antichi, specchi con cornici in legno intagliato, armadi pesanti che scricchiolavano quando venivano aperti.
Mark si prese la stanza più vicina alla scala, Luke quella accanto. Jasper e Antony condividevano una camera, così come Ben e Trevor.
"Sembra un albergo d’altri tempi," commentò Antony, sfiorando le lenzuola di seta sbiadita.
"O un museo," aggiunse Jasper. Poi si fermò di colpo. "C’è qualcosa di strano."
Antony lo guardò, confuso. "Cosa?"
Jasper indicò l’armadio. "Era aperto quando siamo entrati?"
Antony corrugò la fronte. Non ne era sicuro, ma un brivido gli corse lungo la schiena. Si avvicinò, posò la mano sul legno e lo spinse lentamente. L’anta si chiuse con un cigolio lungo e basso.
In quel preciso istante, la porta della loro camera si spalancò di scatto.
Si voltarono di scatto. Il corridoio era vuoto.
Nessuno aveva toccato la maniglia.
Antony deglutì. "D’accordo. Questa casa inizia a farmi schifo."
Jasper annuì, sentendo la pelle d’oca risalirgli lungo la nuca.
…
La sera scese velocemente sulla casa. Dopo una cena silenziosa, il gruppo si ritirò nelle proprie stanze. Nessuno voleva ammetterlo, ma c’era un’ansia sottile che strisciava tra loro, insinuandosi come un veleno invisibile.
Poi arrivò la mezzanotte.
Nel silenzio della casa, un suono si propagò nell’aria. Un sussurro. Un sibilo.
Luke si svegliò di colpo. Qualcosa lo aveva svegliato. Qualcosa di impercettibile.
Si mise seduto sul letto e ascoltò.
Passi.
Nel corridoio.
Si alzò, cercando di non fare rumore. Aprì lentamente la porta della sua stanza e guardò fuori.
In fondo al corridoio, vicino alle scale, c’era una figura.
Sembrava una donna, con un vestito lungo e scuro. I capelli cadevano sulle spalle, ma il volto… il volto era sbagliato. Sfocato. Distorto.
Luke trattenne il respiro. Poi la donna si voltò lentamente verso di lui.
E sorrise.
Un sorriso che non era umano.
Luke fece un passo indietro, il cuore impazzito nel petto. Sbatté contro il letto, fece per gridare, ma quando guardò di nuovo nel corridoio...
Non c’era più nessuno.
Solo l’oscurità.
E un sussurro lontano, quasi impercettibile.
"Vi stavo aspettando."