Sogno Fatato

1781 Words
Mi desto nel cuore della notte, in un soprassalto, L'incubo ancora caldo, un gelido assalto. Rivivo il passato che s'è dissolto in volo, Interrogo il domani, solo e incerto. Lotto per afferrarlo, quel futuro ignoto, Quando un coro d'estate scioglie ogni devoto Timor: son le cicale, il loro canto arguto, Che mi culla e mi porta, dolcemente muto, Nel regno d'un sogno fatato e assoluto. … La stanza di Matteo era un forno, nonostante la notte. L’aria pesante, immobile, sembrava fatta di velluto bagnato. Un sudore freddo gli incollava la camicia alla schiena, residuo dell’incubo che lo aveva scagliato fuori dal sonno con un rantolo strozzato. Ancora gli batteva forte il cuore, un tamburo impazzito contro le costole. Rivivevo il passato che s'è dissolto in volo, pensò, gli occhi fissi al soffitto buio. Frammenti di ricordi dolorosi – promesse infrante, sguardi che si spegnevano, la sensazione di essere rimasto indietro mentre il mondo, spietato, andava avanti – gli si aggrovigliavano nella mente come rovi. E il futuro? Un abisso nebuloso, una domanda senza risposta che lo faceva sentire minuscolo e sperduto. Interrogo il domani, solo e incerto. Lotto per afferrarlo... E poi, come un miracolo, arrivarono loro. Un frinire lieve, poi più insistente, infine un coro potente che squarciò il silenzio opprimente. Son le cicale, il loro canto arguto. Era un suono antico, viscerale, che sembrava pulsare all'unisono con la terra stessa. Non era solo rumore; era un richiamo, un’invocazione estiva. Matteo chiuse gli occhi, concentrandosi su quel brusio ipnotico. Era come se migliaia di piccoli archetipi vibrassero nell’oscurità, tessendo una rete sonora che lo avvolgeva, lo sollevava, lo allontanava dalle ombre della sua mente. Il respiro gli si fece più lento, più profondo. Il sudore freddo sulla pelle parve sciogliersi, sostituito da una tiepida carezza immaginaria. Che mi culla e mi porta, dolcemente muto... La transizione fu impercettibile. Un attimo era sulla sua schiena, nel letto umido, e il successivo si trovava in un luogo di luce soffusa e calore dorato. Non era un posto riconoscibile, né reale nel senso comune. Era un prato sconfinato sotto un cielo crepuscolare perenne, dove l’erba era più morbida del velluto e l’aria profumava di miele e di terra calda. E soprattutto, c’era lui. Luca. Apparve come un’emanazione stessa del sogno, materializzandosi pochi passi più in là. Non indossava nulla, la sua pelle abbronzata luccicava nella luce ambra come bronzo antico. I capelli scuri, mossi da una brezza inesistente, incorniciavano un viso dai lineamenti forti eppure incredibilmente dolci, illuminati da occhi del colore del cielo prima di un temporale, grigio-blu e profondi come oceani sconosciuti. Un sorriso appena accennato gli incurvava le labbra, un sorriso che prometteva comprensione, riparo, e qualcosa di più... qualcosa di elettrico. Matteo rimase senza fiato. Non era la prima volta che Luca abitava i suoi sogni più profondi, ma ogni apparizione era un pugno nello stomaco, una vertigine di desiderio e di pace mista. Era la sua ancòra, la sua fata – maschia e potentissima – in quel sogno fatato e assoluto. "Sei di nuovo fuggito?" chiese Luca, la voce un basso caldo che risuonava direttamente nelle ossa di Matteo, più un’emozione percepita che un suono udito. Si avvicinò, i suoi passi non facevano rumore sull’erba irreale. "L'incubo..." riuscì a dire Matteo, la sua voce onirica un sussurro roco. "Il passato... mi strangola. E il futuro... è una nebbia." Luca fu davanti a lui in un istante. L’aria tra loro sembrò condensarsi, carica di un’energia primordiale. "La nebbia si dirada," mormorò, sollevando una mano. Le dita lunghe e callose sfiorarono la tempia di Matteo, dove il dolore del risveglio violento pulsava ancora. Il tocco fu una scossa di puro sollievo, un balsamo che scioglieva immediatamente la tensione. "Ascolta solo loro ora. Ascolta la vita che canta." Il frinire delle cicale, qui, era una sinfonia perfetta, avvolgente, il battito cardiaco stesso di quel mondo onirico. Matteo chiuse gli occhi, abbandonandosi a quel tocco, a quel suono. La mano di Luca scivolò lungo la sua guancia, ruvida eppure infinitamente tenera, poi sul collo, sentendo il polso accelerato che sotto quelle dita iniziava a calmarsi. "Luca..." sospirò Matteo, il nome una preghiera. "Dimmi," incoraggiò Luca, avvicinandosi ancora. I loro corpi non si toccavano, ma Matteo poteva sentire il calore che emanava, come un fuoco di brace, e il profumo intenso, maschile, di sole e pelle sudata che lo avvolgeva. "Ho paura," confessò Matteo, aprendo gli occhi. Si ritrovò immerso in quello sguardo grigio-blu, un vortice in cui era disposto a perdersi per sempre. "Paura di non riuscire a raggiungerlo, quel futuro. Paura di rimanere impigliato nel passato." "La paura è solo ombra," disse Luca, la voce più bassa, più intima. La sua mano sinistra trovò il fianco di Matteo, un palmo caldo e fermo contro la pelle sottile della maglietta che Matteo indossava nel sogno (ma che già sembrava dissolversi al contatto). "La luce è qui. Ora. In questo respiro." La sua destra scivolò dietro la nuca di Matteo, le dita che si intrecciarono nei suoi capelli, un possesso gentile ma innegabile. "Nel nostro respiro." Il mondo reale – la stanza soffocante, gli incubi, le incertezze – svanì completamente. Esistevano solo il prato dorato, il canto ipnotico delle cicale, e Luca. Il corpo di Luca che si inclinava verso il suo. Il calore che diventava un’ustione dolce sulla pelle. Il profumo che intontiva. Lo sguardo che prometteva non solo consolazione, ma possessione, fusione, un oblio totale. Quando le loro labbra si incontrarono, fu come un’esplosione silenziosa. Non un bacio timido, ma una rivendicazione profonda, passionale. Le labbra di Luca erano calde, salate, insistenti. Reclamavano, esploravano, offrivano. Matteo rispose con un gemito soffocato, aprendosi come un fiore alla luce implacabile del sole. Le sue mani, prima inerti ai fianchi, si aggrapparono alle spalle larghe e muscolose di Luca, sentendo il potere contenuto in quei muscoli, la forza che lo sosteneva e insieme lo dominava. La lingua di Luca invase la sua bocca con un languore ardente, un sapore di estate e di desiderio puro. Era un bacio che bruciava via ogni dubbio, ogni paura, ogni pensiero. Era un bacio che era un viaggio, un’estasi, un ritorno a casa. Matteo perse ogni cognizione di sé. Si fuse con il sogno, con il canto, con lui. Le mani di Luca erano ovunque, maestose e sapienti. Sfilarono la maglietta inesistente con un gesto fluido, le dita ruvide tracciarono sentieri di fuoco sul petto, sull’addome, sulla schiena. Ogni tocco accendeva nervi sopiti, evocava un bisogno primordiale che Matteo non aveva mai osato confessare nemmeno a sé stesso. Si inarcò contro di lui, un’offerta totale, mentre il bacio si approfondiva, diventando più disperato, più bramoso. Il corpo di Luca era una roccia contro il suo, un rifugio e una prigione dorata in cui voleva rimanere per sempre. Sentiva ogni contrazione muscolare, ogni linea perfetta contro la propria pelle. Il respiro affannoso di Luca contro la sua guancia, i suoi morsi sommessi sul labbro inferiore, le sue dita che affondavano nella carne dei fianchi di Matteo per avvicinarlo ancora di più... era un turbine sensuale che annullava ogni cosa. "Luca..." gemette Matteo, staccandosi per un secondo per respirare, la fronte appoggiata a quella dell’uomo. I suoi occhi erano velati, la bocca gonfia e arrossata. "Non farmi svegliare. Ti prego." Luca lo guardò, uno sguardo intenso che sembrava vedere oltre la carne, nell’anima stessa di Matteo. Un sorriso trionfante e tenerissimo gli illuminò il viso. Le sue mani scivolarono lungo la schiena di Matteo, stringendolo in un abbraccio totale, possessivo, protettivo. Il loro torace nudo si premé insieme, pelle contro pelle, sudore contro sudore, battiti cardiaci che cercavano di sincronizzarsi. "Questo sogno è tuo, Matteo," sussurrò Luca, la voce un brivido caldo nell’orecchio. Le sue labbra sfiorarono il lobo, poi la linea della mascella, un fuoco liquido. "Finché le cicale canteranno, io sarò qui. A ricordarti la luce. A ricordarti il fuoco che hai dentro." Le sue mani scesero più in basso, afferrandolo con decisione, facendolo sobbalzare per il piacere improvviso e travolgente. "A ricordarti questo." La passione esplose di nuovo, più feroce, più necessaria. Non c’era più spazio per i pensieri, solo per la sensazione. Per il calore insopportabile che si generava dove i loro corpi si univano. Per il sapore di Luca sulla sua lingua. Per il suono roco dei loro respiri mischiati, un controcanto selvaggio e perfetto al coro incessante delle cicale. Matteo si abbandonò completamente, guidato da quelle mani forti, da quella bocca esperta, da quella presenza che riempiva ogni suo spazio vuoto, fisico e mentale. Urlò il nome di Luca nel prato dorato, un grido liberatorio che si perse nell’aria vibrante, mentre il mondo onirico tremava intorno a lui, saturo di piacere e di una promessa indicibile. … Matteo riaprì gli occhi nella sua stanza. L’alba stava appena tingendo di rosa il cielo fuori dalla finestra. Era solo, sudato, ma diverso. Il terrore dell’incubo era un ricordo lontano, sostituito da una strana calma, da una vitalità nuova che gli pulsava nelle vene. Il corpo era pesante, satollo di sensazioni intense che ancora echeggiavano nella sua carne. Il ricordo del bacio, del tocco, dell’abbraccio di Luca era vivido come un tatuaggio sull’anima. Il canto delle cicale, nella realtà, era cessato con l’arrivo dell’alba. Si alzò lentamente, andò alla finestra. L’aria del mattino era fresca, purificante. Guardò il sole che saliva, tingendo i tetti d'oro. Un sorriso timido, carico di un’emozione nuova, gli fiorì sulle labbra. Il futuro non era più solo una nebbia minacciosa. Era un orizzonte aperto, illuminato dalla memoria di un calore bruciante, dalla certezza di un rifugio trovato in un luogo inaspettato. Luca non era stato solo un fantasma onirico. Era stato una rivelazione, una mappa per un territorio interiore inesplorato. Sfiorò le proprie labbra, ancora sensibili, quasi aspettandosi di sentire la ruvidità di quelle di Luca. "Finché le cicale canteranno, io sarò qui." Le cicale reali tacevano, ma il loro eco risuonava potentissimo dentro di lui, insieme al ricordo di quelle mani, di quello sguardo, di quel corpo che prometteva un’estate infinita. Per la prima volta da mesi, Matteo non aveva paura del giorno che stava iniziando. Portava con sé un segreto ardente, un sogno fatato che non sarebbe svanito con la luce del sole. Era un seme piantato nell’oscurità, che ora chiedeva solo di crescere, alla luce della realtà. E Matteo, con un fremito di attesa e un desiderio rinnovato che bruciava più forte di qualsiasi timore, era pronto ad accoglierlo. La battaglia per il futuro era appena cominciata, ma ora aveva un alleato, un faro, un amante... anche se abitava solo nel canto delle cicale e nel profondo del suo cuore. Per ora. FINE
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