Sei la luce che squarcia il buio,
la stella più vivida nell’etere,
il sole che scioglie il gelo sul mio cuore,
la pioggia che lava le mie ferite,
la luna che accarezza l’oscurità.
Tu solo illumini la mia notte,
tu solo regni in questo petto.
Ti amo: nulla più conta al mondo.
…
La pioggia batteva contro i vetri del loft, disegnando percorsi lucenti sul cristallo. Fuori, Milano era un quadro sfocato di luci ambrate e ombre mobili. Marco fissava quelle gocce scivolare, le dita strette attorno a un quaderno sgualcito. Le parole della poesia gli bruciavano in petto come tizzoni vivi.
Ti amo: nulla più conta al mondo.
L’ultimo verso gli pulsava nelle vene. Eppure, restava inchiodato al divano, il quaderno un peso morto sulle ginocchia. Era stato Luca, quella luce che squarciava il buio della sua esistenza grigia, a insegnargli che le emozioni non vanno rinchiuse. "Scrivi ciò che senti, Marco. Anche se hai paura", gli diceva, mentre gli sistemava i capelli ribelli dietro l’orecchio con un gesto che faceva vacillare il mondo.
Una chiave girò nella serratura. Marco trasalì, nascondendo frettolosamente il quaderno tra i cuscini. Luca entrò, bagnato dalla pioggia improvvisa, i capelli neri appiccicati alla fronte. L’aria si riempì dell’odore di ozono e del suo profumo di legno di sandalo.
"Che ci fai al buio?" chiese Luca, la voce roca dalla stanchezza. Accese una lampada, e la luce calda scolpì il suo sorriso stanco.
"Niente. Aspettavo te." La menzogna di Marco suonò fragile.
Luca si avvicinò, gli occhi grigi come la tempesta fuori, penetranti. Notò il movimento goffo, il cuscino spostato. Senza parole, sfiorò la copertina del quaderno che spuntava dalla fessura. Marco trattenne il fiato.
"Mi nascondi qualcosa, cuore mio?" La domanda era un sussurro, carico di una tenerezza che spezzava ogni difesa.
Marco chiuse gli occhi. Poi, lentamente, estrasse il quaderno e glielo porse, le dita tremanti. "È.… è per te."
Luca lo prese con delicatezza, come fosse reliquia. Si sedette accanto a lui, la spalla calda contro quella di Marco. Aprì il quaderno e iniziò a leggere. Silenzio. Solo la pioggia a fare da colonna sonora mentre gli occhi di Luca scorrevano i versi, riga dopo riga. Marco guardava il profilo dell’uomo amato, il modo in cui le sue labbra si muovevano leggere, le sopracciglia che si alzavano impercettibilmente alla quarta strofa, le pupille che si dilatavano all’ultimo verso.
Quando alzò lo sguardo, gli occhi di Luca luccicavano. "Sei la pioggia che lava le mie ferite..." mormorò, la voce rotta. "Marco..."
"È vero," sussurrò Marco, il coraggio finalmente libero. "Sei tu che mi hai mostrato come si vive, Luca. Prima di te... era tutto buio. Eri tu, solo tu."
Luca posò il quaderno. Non servivano più parole. Una mano salì a carezzare la guancia di Marco, il pollice che tracciava l’arcata del sopracciglio, la tempia, la linea della mascella. Un tocco che era promessa, gratitudine, adorazione. Poi, piegò la testa. Il primo bacio fu un contatto leggero, un brivido di pioggia su pelle calda. Il secondo, più profondo, un’esplosione di sete repressa.
Marco rispose con un gemito strozzato, le mani che si aggrapparono alla maglia bagnata di Luca, attirandolo a sé. Si persero nel bacio, un vortice di lingua, denti, respiro condiviso. Era come cadere e volare insieme, la poesia prese vita nel calore delle loro bocche, nel frenetico battere dei cuori all’unisono. Luca lo schiacciò contro i cuscini, il corpo possente che copriva quello più esile di Marco, proteggendolo, possedendolo.
"Ti amo," mormorò Luca contro le sue labbra, tra un bacio e l’altro. "Da sempre. E tu... sei la mia luna."
La pioggia continuava a scrosciare, ma dentro quel loft, illuminato solo dalla lampada e dall’intensità di ciò che bruciava tra loro, c’era solo luce. La luce di due anime che, in sette versi e un bacio infinito, avevano trovato il loro universo.
Fine