CAPITOLO 13

2174 Words
Come prima cosa della giornata, sarei dovuta passare da Rafe per un saluto, era da una settimana che rinviavo e mi dimenticavo di andarlo a trovare, così dato che oggi non avevo ne la voglia, ne l'interesse di vedere le Olimpiadi, ci sarei passata in mattinata. Ancora ero sbalordita dalla mia capacità di dimenticarmi in fretta le cose, era da giorni che rimandavo qualsiasi cosa che non riguardasse queste stramaledette Olimpiadi, che oramai aveva riempito le nostre giornate, solo per aiutare mio fratello con i preparativi, che dovevano essere sempre impeccabili e insopportabilmente perfetti messi al punto giusto. Successivamente sarei dovuta passare anche dalla nonna Hayley. La dovevo ringraziare per il meraviglioso abito che mi aveva fatto confezionare, che fra parentesi, aveva fatto invidia a molte altre donne al ballo, oltre che gran stupore. Talmente era luccicante e dorato che faceva brillare la sala più delle luci stesse che con la loro luce calda, rendevano luminosa la grande stanza. Sapevo che sarebbe rimasta contenta per la visita che le avrei fatto, e sicuramente si sarebbe messa a parlare del ballo per sapere come fosse andata la serata e se avessi avuto qualche corteggiatore o uomo che mi avesse chiesto di ballare. Dopotutto anche lei era una donna, e le piaceva un sacco parlare di questi eventi a cui sicuramente avrebbe voluto partecipare come i vecchi tempi. Ma purtroppo la sua vecchiaia e quella di nonno gli impedivano di muoversi come anni prima. Ormai i loro muscoli erano spesso intorpiditi e le loro articolazioni gli facevano spesso male. Proprio per queste loro condizioni di salute stavano spesso a casa e non si muovevano frequentemente e di sicuro non avrebbero potuto partecipare a questo tipo di eventi. -Narah vieni subito qua! Ti devo parlare- Ruven mi chiamò in salotto, subito mi diressi nel salone e mi fermai davanti a lui, che era seduto sul divano in modo scomposto, mi guardò da testa a piedi per un paio di volte -ah, hai avuto la decenza di metterti qualcosa di più consono- mi guardò con le labbra distorte. Mi guardai un attimo il vestito, era uno simile a quello che indossavo il giorno prima, cambiava solo il colore. Quello che indossavo in quel momento era verde, mi arrivava fino sopra la caviglia, così da essere più comoda negli spostamenti. Senza aver bisogno di preoccuparmi di dove mettessi i piedi, con la paura di calpestare la gonna, o senza doverla alzare ogni volta. E delle scarpe con il tacco dello stesso colore del vestito -dimmi, di cosa dovevi parlarmi?- chiesi guardandolo truce, non mi piaceva affatto cosa stava incominciando a dire, e non ero intenzionata a stare la a prendermi insulti da parte di mio fratello ed inoltre non avevo intenzione di stare a discutere sul mio vestiario. Incrociai le braccia sotto il seno e spostai il peso del corpo su una gamba, lasciando l'altra flessa. Con la punta dell'occhio vidi anche comparire Eirik, che dopo aver sceso tutte le scale, rimase fermo davanti ai primi gradini delle scale. Molto probabilmente curioso di sapere come mai io e Ruven ci stavamo guardando. -mi spieghi doveri quando tuo figlio se ne stava in giro a scorrazzare in mezzo al campo di combattimento delle Olimpiadi?- avevo un tono terribilmente fastidioso. -mi sono distratta un attimo, e non l'ho trovato vicino a me- risposi di mala voglia. Non mi andava di discutere di prima mattina -come mai ti interessa?- chiesi di rimando io sbattendo il piede, che non sosteneva il peso del mio corpo, a terra. -non parlarmi così- mi punto l'indice addosso alzandosi in piedi con uno scatto che quasi mi fece spaventare e fare un paio di passi all'indietro -ad ogni modo, l'ho voluto sapere perché sono tuo fratello, e come sai ho diritto di tenere tutto sotto controllo- continuò dopo aver stretto le braccia al petto muscoloso. Mi misi a ridere, e Ruven di fronte a me mi guardò accigliato -sei mio fratello? E da quando in qua lo ammetti?- chiesi con fare retorico. Per ventidue anni, non lo avevo mai sentito dire che fosse mio fratello, mi aveva sempre trattata come una ragazza qualsiasi che non facesse parte della famiglia. Ruven continuò a guardarmi male, si stava arrabbiando e questo lo stavo notando dal modo in cui stava indurendo il suo sguardo, serrando la mascella e assottigliando lo sguardo, facendo sì che i suoi bellissimi occhi mi guardassero in modo freddo e distaccato. Le mani per non stingerle in due pugni, le mise in tasca, anche per evitare di mettersi a gesticolare, penso. Mi chiesi a cose stesse pensando. Si era mai accorto di come mi trattava? Si era reso conto che quello che avevo detto era la verità? Non sapevo se mi trattava così solo perché gli andava di farlo o perché aveva uno scopo ben preciso, ed era proprio questo che mi incuriosiva. Volevo capire il motivo del suo comportamento nei miei confronti. -non ti permettere Narah!- sentire il mio nome pronunciato dalla sua bocca quasi mi fece tremare. -hai vissuto sempre in questa casa! Non ti ho mai sbattuto fuori da questa dimora, nemmeno quando scoprì che nella nostra vita ci sarebbe stato Evan!- cominciò a gesticolare, facendo sì, che il suo intento di evitare di sbracciarsi, mettendo le mani in tasca, fallisse. Rimasi pietrificata, come poteva dire questo? Era anche suo nipote. Senza nemmeno accorgersene, forse, mise in mezzo anche Evan, che effettivamente non centrava nulla in questa discussione. Se Ruven aveva qualche diverbio con me, non serviva mettere in mezzo mio figlio, e questo lui lo sapeva benissimo. Però lo faceva a posta, secondo me, perché sapeva che mi avrebbe fatto male, sapeva che ci avrei sofferto, e questa cosa mi dava terribilmente fastidio. Il fatto che tirasse in mezzo Evan, erte a lui in una posizione, secondo lui, più alta, così da essere "intoccabile". Non sapendo che se avessero toccato mio figlio, sarei andata di matto, proteggendolo con canini e artigli, come farebbe qualsiasi madre con il proprio cucciolo. Mi aveva dato un colpa basso, era vero, ma avrei risposto a dovere. Quasi le lacrime minacciarono di uscire, ma non diedi l'opportunità a loro di scorrere libere sulle mie guance, ripetendomi spesso che non c'era bisogno di piangere per delle parole buttate per aria, con l'unico scopo ti offendere. -perché? Cosa ti ho fatto di male io zio?- una piccola voce si intromise fra di noi. Sgranai gli occhi ancora più sorpresa. No, non doveva sentire ciò e ad essere sincera, non avevo avvertito minimamente la sua presenza. Mi sentì terribilmente in colpa, avrei potuto di certo evitare che ascoltasse queste parole, per me dolorose, non immaginai nemmeno quanto lo fossero per lui. Improvvisamente vidi i suoi occhi lacrimare, facendo spezzare il il mio cuore in due. Mi avvicinai a lui con piccoli passi cercando di mantenere la calma, non capendo se lo facessi più per me stessa o per il piccolo cucciolo a pochi passi da me -no tesoro...- feci un altro passo, ma il cucciolo che ci stava guardando insistentemente con tante domande che, gli si vedeva, gli stavano passando davanti agli occhi chiari, come i miei. Lo vidi scuotere la testa, asciugarsi invano le lacrime che nonostante tutto continuavano a scendergli dagli occhi e poi lo vedi correre via. -no! Evan!- lo richiamai cominciando a seguirlo, ma fui fermata subito da Eirik che mi poggiò una mano sulla spalla. -lascia, ci vado io- annuì velocemente con il cuore che batteva velocemente, come un cavallo impazzito. Quasi mi misi a tremare dalla paura, paura che Evan non si fidasse più di me, che non volesse più rivolgermi la parola. E anche se non ero io quella che avrebbe dovuto sentirsi in colpa, ma bensì Ruven, avevo una terribile paura e rabbia che quasi mi portava a spaccare qualsiasi cosa, specialmente la faccia di mio fratello. -hai visto cosa hai fatto?- chiesi alzando la voce in preda alla rabbia, che piano piano stava conquistando ogni cellula del mio corpo, cominciando a farlo fremere. Il mio intento di evitare di discutere se n'era andato in frantumi come un vaso che cade a terra. -e tu dici di essere mio fratello?- lo guardai schifata per qualche secondo. -sono tuo fratello e vostro Alpha, e ciò mi impone di prendermi cura di tutti voi ogni giorno, oltre che del branco- il tono e le mani serrate in due pugni, talmente stretti che le nocche diventarono bianche, di Ruven faceva capire a tutti, anche se eravamo rimasti solo noi due, che si stesse trattenendo. Risi nervosamente -tu non sei mio fratello e non lo sei mai stato! Per una vita non mi hai minimamente considerato! Non dire che ti sei preso cura di me, perché fino ad adesso da te non ho avuto altro che sguardi glaciali e atteggiamenti da parte tua che continuavano a dirmi cosa ci fosse di sbagliato in me, quindi, smettila di ripeterlo, perché non cambierai le cose, e non riuscirai a convincere ne me, ne te stesso- riuscì a dire con una calma che non sapevo di poter avere in un momento del genere, feci per andarmene e facendo un passo di l'atomi bloccai continuando a fissarlo -ah, e non dire che ti prendi cura della tua famiglia, perché non riesci nemmeno a prenderti cura di te stesso. Per te esiste solo il lavoro- Sospirai pesantemente e me ne andai davvero stavolta, fermandomi dopo aver compiuto un altro paio di passi. Con lo sguardo ancora basso, notai delle scarpe a poca distanza da me, aggrottai le sopracciglia. Alzai lo sguardo, lo feci passare sopra le scarpe, facendo attraversare ai miei occhi tutte le gambe, poi alzandolo lo sguardo sempre di più, riuscì a riconoscere i due uomini, della sera prima, che mi si presentarono davanti. Avevano anche loro, gli sguardi attaccati alla mia figura in un espressione mista tra curiosità, preoccupazione e... rabbia? Non ero sicura di essere riuscita ad interpretare quelle emozioni in modo corretto, ma in ogni caso mi sembrava strano che l'Alpha Orvar provasse rabbia nei confronti di Ruven, senza nemmeno sapere tutta la storia. Gli guardai bene con ancora un cipiglio in volto, e spontaneamente nella mia mente non feci che pensare a quanto tempo fossero lì ad ascoltare. Possibile che avessero ascoltato tutto? In cuor mio speravo che non avessero capito nulla. Non sapevo perché, ma il fatto che lui sapesse che in che rapporti fossi con mio fratello, mi infastidiva. Dopotutto io non sapevo nulla di lui, e il fatto che avesse appena assistito ad una discussione mia e di Ruven mi alterava parecchio. In ogni caso cercai di non pensarci, magari non era qui a posta per sentire la nostro animato diverbio, ma per affari suoi. Dopo qualche attimo, rilassai i muscoli facciali, che per un attimo mi parvero intorpiditi per via del troppo tempo che avevo passato a tenerli contratti. Prese un paio di grossi respiri per cercare di calmarmi e poi, passo dopo passo, con il ticchettio dei tacchi, mi allontanai da quella sala, dove l'aria aveva cominciato a farsi pesante e la tensione aveva iniziato ad essere palpabile. Mentre mi allontanavo velocemente da casa mia, cercai di riscuotermi da quei pensieri, che mi avevano attanagliato la mente, come una giornata piena di nuvole grigie, senza lasciarmi uno spiraglio di mente lucida per poter anche solo respirare aria fresca o intravedere uno spiraglio di luce che mi potesse condurre fuori da quel cielo scuro, cercando di farmi pensare ad altro. Avevo molto da fare quel giorno, non avevo voglia di stare rinchiusa nei miei pensieri, che continuavano a crescere nella mia mente. E specialmente non volevo passare questa giornata precludendomi di sbrigare le mie faccende. Mentre mi addentravo in paese, fra le tante persone che rendevano vivace le strade, le voci che si alzavano nell'aria allegra, e le cose esposte davanti alle vetrine dei negozi, rendevano l'atmosfera allegra e festosa. Senza contare che tutti fossero in fermento per prepararsi alle Olimpiadi, che sarebbero iniziate fra un po'. Non feci altro che pensare ad Evan. Questa sera, avrei dovuto parlarci. Il fatto che avesse sentito tutto ciò che suo zio avesse detto, capivo benissimo che avesse potuto ferirlo. Dopotutto il fatto che avesse detto che lo aveva "accettato" voleva dire che lui non lo volve, come se lo avesse ospitato in casa come se fosse un cucciolo di lupo abbandonato alla sua sorte. Sbuffai sonoramente, nonostante cercassi di sembrare agli occhi dei miei concittadini serena. Tutti al mio passaggio si inchinavano e mi salutavano sorridendo, e non volevo far notare loro che fossi alterata. Dopotutto loro con me erano sempre gentili e solari, mi dispiaceva trattarli male, anche se non era assoluta mia intenzione. Passo dopo passo, calciavo la ghiaia sotto i miei piedi. Ero davvero scocciata oltre che nervosa. Non sapevo cosa avessi potuto dire ad Evan. Non sapevo se dovessi inventarmi delle scuse per difendere e scusarmi per il comportamento di Ruven, o se avessi dovuto comunque cercare di farlo stare tranquillo senza nominare ciò che aveva detto mio fratello.
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