Monotona è la notte senza stelle a danzare,
Monotoni i giorni di sole, se nessuno è lì a cui brillare.
Monotona la vita senza un amore che accenda l’esistenza,
Questo, solo questo, è la nostra eterna ricerca e speranza.
…
La vita di Alessio scorreva come un fiume in secca.
Sveglia alle 6:47, doccia fredda, treno affollato che lo sferragliava verso un lavoro di cifre e silenzi.
Le serate erano vuote come il cielo sopra Milano: nubi spesse che inghiottivano le stelle, lasciando solo un velluto nero, opaco, monotono.
Anche i weekend erano deserti.
Giorni di sole accecante che battevano sui marciapiedi vuoti,
mentre i caffè brulicavano di gruppi allegri, di mani che si sfioravano, di sguardi complici.
Lui osservava da lontano, con un nodo in gola.
Monotonia, pensava, è vivere senza che nessuno ti rubi un respiro.
Un giovedì di pioggia battente cambiò tutto.
Alessio cercò riparo in una minuscola libreria vicino al Duomo, "L'Angolo di Poe".
L'odore di carta antica e legno bagnato lo avvolse.
Ed ecco Gabriele, in piedi su una scaletta a riordinare volumi.
Jeans sbiaditi, maglione di lana larga, capelli ricci color ebano che sfioravano le sopracciglia.
Quando saltò giù, un libro cadde.
Ariel di Sylvia Plath, aperto su una poesia macchiata di caffè.
«Il mio sogno è di cadere senza fine / in un universo che non ha fondo», lesse Alessio a voce alta, raccogliendolo.
Gabriele lo fissò. Occhi verdi come muschio dopo la pioggia.
«Sei il primo che non lo posa come fosse veleno», sussurrò.
Una scintilla.
Da allora, Alessio visse nell’attesa delle 19:15.
Dopo l’ufficio, correva da Gabriele.
La libreria divenne il loro santuario:
tra gli scaffali di quercia, scoprirono i corpi prima delle anime.
Il primo tocco fu un incidente.
Mentre Gabriele allungava la mano per Leaves of Grass,
le dita di Alessio gli sfiorarono il polso.
Un fulmine.
Si guardarono, il respiro mozzo.
«Monotonia», mormorò Gabriele, incollando le labbra all’orecchio di lui,
«si scioglie quando trovi chi trasforma un istante in eternità».
La passione esplose come un inchiostro rosso su carta bianca.
Baci rubati dietro le tende di velluto, mentre la pioggia batteva sui vetri.
Mani frementi sotto le maglie, bocche che esploravano colli, clavicole, l’arco dei fianchi.
«Sei la stella che cercavo nel buio», ansimò Alessio,
mentre Gabriele lo spingeva contro l’ " Esistenzialismo ",
slacciandogli i jeans con dita febbrili.
«Mostrami tutto», ordinò Gabriele, la voce un grugnito.
«Voglio sentire che esisti.»
Una notte di ottobre, Gabriele chiuse la libreria e lo condusse sul tetto.
Il cielo era una coperta di piombo, senza un astro.
«Chiudi gli occhi», comandò, sdraiandolo su un plaid di lana.
Poi iniziò a scoprirlo, lentamente.
Labbra che mordicchiavano le palpebre.
Lingua che percorreva il solco tra i pettorali.
Denti che serravano i capezzoli, mentre le mani spogliavano Alessio dei vestiti,
come fosse una rilegatura preziosa da svelare.
«Apri gli occhi», sussurrò Gabriele.
Sopra di loro, migliaia di lucciole artificiali—
le lucine di un drone che Gabriele aveva programmato—
danzavano in spirali d’argento.
«Le stelle sono qui», ringhiò, salendogli sopra.
«In ogni gemito che ti strappo, in ogni brivido che ti regalo.»
Si amarono con furia e poesia.
Gabriele lo penetrò con un grido soffocato, le dita intrecciate alle sue.
«Più forte», implorò Alessio, scavando le unghie nella schiena di lui.
«Voglio sentire che mi spezzi.»
I corpi si scatenarono in un ritmo ancestrale:
spinte, sudore, morsi che marchiavano la pelle come sigilli.
Gabriele lo sollevò, incollandolo alla ringhiera,
mentre Milano pulsava sotto di loro in un brusio lontano.
«Sei la mia rivoluzione», singhiozzò Alessio, sull’orlo del precipizio.
«La fine di ogni monotonia.»
Quando raggiunsero l’apice, le lucciole artificiali esplosero in una supernova bianca.
All’alba, stretti nel plaid,
Alessio osservò il primo raggio di sole filtrare dalle nuvole.
Gabriele dormiva con la testa sul suo petto,
un graffio rosso che gli segnava la spalla.
«Hai acceso le mie stelle», sussurrò Alessio, baciandogli i ricci.
«Anche quando il cielo è vuoto.»
Da allora, la vita non fu più un fiume in secca.
Fu un oceano di gesti piccoli e grandiosi:
colazioni con i libri aperti sul tavolo e il miele che colava sulle dita,
serate a leggere poesie ad alta voce, nudi sul pavimento,
risate che squarciavano i giorni di sole, mentre correvano in centro,
mano nella mano, inseguendosi come ragazzini.
Perché l’amore, scoprirono,
è l’unica stella che non tramonta mai.
FINE