Tu, solo tu.
Sei l’alba che colora i miei giorni,
La stella cadente nei cieli oscuri,
Il respiro a cui affido l’eterno.
Una verità che canto al mondo intero:
Tu regni, unico impero nel mio petto.
…
La pioggia batteva contro i vetri come mille dita impazienti. Marco fissava il soffitto, il cuore un groviglio di cicatrici e ricordi. Fuori, Milano era un quadro sfocato di luci e ombre, ma dentro quell’appartamento silenzioso, esisteva solo il vuoto. Il vuoto lasciato da fallimenti artistici, promesse infrante, notti passate a inseguire fantasmi di riconoscimento. Poi, la porta si aprì.
Luca entrò con il respiro affannato, i capelli bagnati che gli ricadevano sulla fronte, le mani occupate da buste della spesa che gocciolavano sul pavimento. "Scusa il ritardo, il tram era un incubo", mormorò, sorridendo nonostante la stanchezza che gli segnava gli occhi.
Marco non rispose. Lo guardò. Guardò come Luca posava le buste con cura, come staccava il cappotto bagnato appoggiandolo con attenzione, come asciugava meticolosamente ogni goccia caduta a terra. Azioni semplici, quotidiane. Eppure, in quel momento, furono come colpi di scalpello su marmo grezzo. Ogni gesto di Luca scolpiva via un frammento del gelo che si era insediato nel petto di Marco.
"Marco?" La voce di Luca era un fiume caldo in una landa ghiacciata. "Stai di nuovo... là?"
"Là" era il posto oscuro dove Marco spesso si rifugiava, un abisso di insicurezze e dubbi che minacciava di inghiottirlo. Marco annuì, incapace di parlare, la gola serrata.
Luca non chiese altro. Attraversò la stanza, il rumore dei suoi passi ovattati sul parquet. Si sedette sul divano accanto a Marco, così vicino che il calore del suo corpo irradiava attraverso il tessuto della maglietta. Non lo toccò subito. Offrì solo la sua presenza, solida e inamovibile come una roccia contro la marea.
"Ricordi quella volta a Venezia?" iniziò Luca, la voce bassa e calda nel crepuscolo dell'appartamento. "Quella nebbia fitta, quando ci eravamo persi per ore? Credevo che saremmo finiti in Canal Grande."
Un sorriso fugace sfiorò le labbra di Marco. "Tu continuavi a dire che sentivi il profumo dei biscotti, che ci avrebbe guidati da qualche pasticceria."
"E avevo ragione!" esclamò Luca, un barlume di trionfo negli occhi scuri. "Abbiamo trovato quel minuscolo forno, ricordi? E abbiamo mangiato frittelle appena fatte sotto un portico, bagnati fino all'osso, ridendo come pazzi."
Il ricordo, vivido e dolce, sciolse un altro pezzo del ghiaccio dentro Marco. Luca aveva questo potere: estrarre frammenti di luce perfino dalle notti più buie, trasformare il fango della vita in qualcosa di prezioso. Era la sua bussola quando tutto perdeva senso, il suo porto sicuro quando le tempeste interiori infuriavano.
Luca si spostò lentamente. Un braccio si avvolse attorno alle spalle di Marco, un gesto naturale come respirare. Marco si lasciò cadere contro di lui, la testa appoggiata sulla sua spalla, il naso seppellito nel tessuto morbido della sua felpa che portava ancora l'odore della pioggia e del suo profumo pulito, di legno e sapone. Il mondo esterno – la pioggia insistente, le luci della città, le ombre delle sue paure – si sfocò, ridotto a un rumore di fondo.
"Marco," sussurrò Luca, le labbra che sfioravano i capelli di lui. "Dimmi."
Non era un ordine. Era un invito, un ponte gettato sopra l'abisso. Marco chiuse gli occhi, cercando le parole nel groviglio di emozioni. Sentì il battito costante del cuore di Luca contro il proprio fianco, un tamburo regolare che scandiva il ritmo della vita, della loro vita.
E le parole arrivarono. Non quelle razionali, ponderate. Quelle che sgorgavano dal nucleo incandescente del suo essere, dalla fonte più pura e incontaminata del suo cuore.
"Sei solo tu..." iniziò, la voce roca, un filo di suono nell'aria carica. "Non una presenza tra tante. Sei... il terreno sotto i miei piedi quando sento di cadere. Sei la mia vita, Luca. Non un capitolo, non un frammento. Il respiro stesso."
Fece una pausa, cercando l'aria, sentendo le braccia di Luca stringerlo un po' più forte.
"Nei momenti difficili... quando il buio mi acceca e tutto sembra perduto... sei tu la luce. Non una torcia accecante. Una stella. Fissa, fedele. Quella che trovo sempre quando alzo gli occhi, disperato. Mi guidi. Mi salvi. Sempre."
Sollevò la testa, trovando gli occhi di Luca. Occhi scuri, profondi come pozze di notte, ma in cui ardeva una fiamma intensa, riflesso della passione che Marco stava versando in parole.
"Sei la persona," continuò, la voce che acquistava forza, passione, "a cui voglio bene con una feroce, disperata, totale dedizione. Non è un sentimento gentile, Luca. È un incendio. È un'ossessione. È.… tutto ciò che ho, che sono."
Trattenne il respiro. Il mondo sembrò fermarsi. La pioggia tacque. Esistevano solo loro due, sul quel divano, nel cerchio magico della loro intimità.
"L'unica cosa, l'unica verità che posso gridare a questo mondo indifferente..." La sua mano si alzò, tremante, a sfiorare la guancia di Luca, sentendo il calore della pelle sotto le dita. "...è che dentro di me, nel mio cuore, nel mio sangue, nelle mie ossa... ci sei solo tu. Solo. Tu. Un impero. Un universo intero."
L'ultima sillaba si perse nel minuscolo spazio che ancora li separava. Marco vide qualcosa spezzarsi negli occhi di Luca. Una barriera di tenerezza, di comprensione, di amore così profondo che fece male.
Luca non disse "anch'io". Non ne ebbe bisogno. La sua risposta fu un movimento lento, inevitabile come la marea. Una mano si posò sulla nuca di Marco, calda e ferma. L'altra gli sfiorò la mascella. Poi, Luca si chiuse quel minuscolo spazio.
Il loro primo bacio non fu un'esplorazione timida. Fu una conflagrazione. Un incontro di labbra assetate, disperate, che si cercavano con la furia di naufraghi che finalmente toccano terra. Era bagnato dalle lacrime che Marco non sapeva di aver versato, salato dalla verità delle sue parole. Le mani di Marco si aggrapparono alla felpa di Luca come a un'ancora di salvezza, mentre quelle di Luca lo tenevano stretto, lo sostenevano, lo possedevano con una dolce ferocia.
Era un bacio che bruciava via le ombre, che affermava ogni sillaba della poesia sussurrata. Era passione allo stato puro: un vortice di bisogno, gratitudine, adorazione e una possessività feroce, dolce. Era la traduzione fisica di "Sei solo tu nel mio cuore".
Quando finalmente si separarono, per respirare, per esistere ancora come individui, le loro fronti rimasero unite. Il respiro si mescolava, affannoso, caldo.
"Marco..." sussurrò Luca, la voce rotta da un'emozione profonda. "Quelle parole... sono la cosa più bella e spaventosa che tu mi abbia mai donato."
"È la verità," mormorò Marco, sfiorando le labbra di Luca con le sue, ancora una volta, un tocco leggero carico di promessa. "La mia unica, eterna verità. Sei solo tu. Sempre."
Fuori, la pioggia aveva smesso. Attraverso le gocce che rigavano il vetro, le prime luci dell'alba cominciavano a tingere il cielo di un rosa pallido. Dentro, sul divano stretti l'uno all'altro, nel silenzio carico del dopo tempesta, Marco e Luca non avevano bisogno della luce del sole.
Avevano la loro stella. La loro vita. La loro luce.
Avevano solo l'un l'altro. E in quel momento, in quel perfetto, passionale rifugio, era tutto l'universo di cui avevano bisogno.
FINE